segnali dalle città invisibili
 

Giro93 Il Ponte di Messina: dibattito
La manifestazione contro il Ponte

di otello urso

Il portale del duomo di Messina è stato restaurato in occasione del Giubileo del 2000.
Si tratta di una grande opera scolpita su una lamina di argento, che raffigura una serie di scene dell’epopea della chiesa messinese.
Durante l’ultimo restauro, però, è stata aggiunta una nuova immagine: il Papa, questo Papa, Giovanni Paolo II, è rappresentato di fronte a braccia aperte mentre accoglie in seno una moltitudine di pellegrini che gli vanno incontro attraverso un grande ponte.

Nel quartiere periferico di Ganzirri ci sono ancora due laghetti artificiali: servivano per la coltivazione delle cozze. Il corteo del sette luglio che ha concluso la settimana di mobilitazione contro la costruzione del ponte sullo stretto di Messina è partito da lì e le oltre mille persone che hanno partecipato alla manifestazione ci hanno fatto un mezzo giro intorno prima di percorrere i 5 chilometri che separano Ganzirri da Punta Faro, il luogo dove un pilone alto più di 300 metri dovrebbe ancorare alla costa siciliana l’enorme struttura di ferro e cemento del ponte sullo stretto.

Il laghetto aveva un’atmosfera irreale: case scalcinate e barchette di pescatori infiammate da un bel tramonto di inizio luglio su un’acqua stagnante e fetida, in bilico tra poesia e degrado.
Gli organizzatori, il Messina Social Forum erano soddisfatti: “Sono anni che non si vede tanta gente a Messina per una manifestazione”, continuavano a ripetere.
Punta Faro è un piccolo borgo di pescatori ampliatosi negli anni attraverso i rimaneggiamenti delle case in tipico stile mediterraneo: un po’ di risparmi e si costruisce un altro piano o si mette l’alluminio anodizzato alle finestre che fa tanto moderno. Resta comunque un borgo periferico abitato soprattutto da miticultori, pescatori ed ex emigranti.

Quando il corteo ha attraversato chiassoso le stradine strette del paese gli abitanti, quelli che realmente sono mancati alla manifestazione, erano tutti affacciati alle finestre: non guardavano distaccati, ma partecipi. Si perché gli abitanti di questi due quartieri che saranno cancellati dalla rete di piloni tiranti viadotti di servizio, ferrovie e svincoli aerei a quadrifoglio come nei film americani, discutono dibattono e si dividono sul ponte. E un ruolo centrale nella campagna che mafia potentati economici e mezzi di informazione stanno facendo per soffocare sul nascere qualsiasi opposizione popolare ce l’ha l’immaginario, l’idea di modernità. Si lavora sui sogni della gente per preparare il campo ad una follia architettonica ed economica disastrosa, ma vantaggiosissima per alcuni.
L’idea che si vuol far passare è che il ponte sia moderno, anzi avveniristico, che i turisti verranno da tutto il mondo per ammirarlo, e che porterà ricchezza e benessere per tutti.

Nelle raffinate animazioni che sulla rete mostrano il ponte sullo stretto non si vede mai cosa succederà alle coste. Solo il ponte. Solo la struttura nuova algida e fiammante che, dicono, porterà sviluppo e benessere per tutti.
Ma non è facile modificare i bisogni e i sogni della gente: quando il corteo è passato per Punta Faro molte delle persone affacciate ai balconi, famiglie intere con nonna e bambini applaudivano e rispondevano che no,non volevano il ponte ma che volevano l’acqua.
E’ questa è la chiave, si tenta di spacciare un immaginario di progresso per legittimare un affare che porterà distruzione delle economie locali e della città di Messina.

E invece Messina ha bisogno di un’economia locale che valorizzi le coste sviluppando turismo e pesca, contrapposta alla logica delle grandi opere che darà lavoro per qualche anno a molta gente e lascerà dietro di se disoccupazione e desertificazione culturale sociale ed economica.
Il 13 luglio di quest’anno è stato inaugurato ufficialmente il parco letterario Horcinus Orca, un esempio di come la cultura possa diventare strumento di lavoro e di sviluppo turistico. Farà lavorare certamente meno persone che i cantieri del ponte, ma forse darà loro lavoro per tutta la vita.
Sabato 6 luglio una delle iniziative previste è stata la traversata dello stretto fatta con uno strano trabiccolo marino: un serf a pedali.

I partecipanti al campeggio, un centinaio di persone provenienti da tutto il sud hanno aspettato il manifestante nautico sulla spiaggia di Punta Faro.
Ne abbiamo approfittato tutti per starcene a poltrire in spiaggia. Si tratta di una splendida spiaggia fatta di piccoli sassi bianchi levigati dal mare, da cui si vede la Calabria. Si vede proprio bene con le sue baiette le montagne verdi e marroni che precipitano in un mare azzurrissimo e la Salerno Reggio Calabria che proprio in quel punto trafigge una collina. Il mare ha le correnti veloci dello stretto che lo puliscono continuamente, la ricchissima fauna di quel luogo: delfini pesci spada tonni e dei piccoli pesci argentati che volano sul pelo dell’acqua.
Steso al sole ho provato ad immaginare come sarebbe diventato quel posto dopo la costruzione del ponte. Quella spiaggia piena di gente, sarebbe stata semplicemente vuota. Vuota e invasa di fango e detriti. Il sole non avrei potuto prenderlo perché in quel punto sarebbe caduta l’ombra fredda delle due grandi campate del ponte. Il rombo dell’autostrada sarebbe stato continuo. Poi io in quel posto probabilmente non ci sarei mai potuto neanche arrivare a meno di affrontare un lungo viaggio tra sterpaglie e paludi attraversando a piedi svariati raccordi autostradali e fasci di binari, per giungere poi in un luogo diventato spettrale, un paesaggio ormai morto.

La verità è che per fare il ponte bisogna stravolgere completamente Messina.
E anche questo è un affare enorme. Ma per stravolgere una città cancellando interi quartieri e distruggendo l’assetto urbanistico, che significa distruggere relazioni sociali economie e memoria, bisogna agire sull’immaginario.
Perché ti sottraggano la tua città, perché tu non ti ribelli bisogna raccontarti che l’autostrada che spianerà la tua casa è un bene superiore: superiore perché moderno e collettivo, cioè anche tuo.

In qualche modo è anche vero che il ponte dovrebbe essere un bene pubblico: lo stato dovrebbe contribuire per oltre il 60 % alla realizzazione dell’opera. Peccato solo che la società Ponte sullo stretto veda tra i suoi più grandi azionisti la famiglia Franza, quella dei traghetti Caronte, un ovvio risarcimento a chi sullo stretto è riuscito a scalzare la concorrenza delle Ferrovie dello Stato. E guarda caso i proprietari dei grandi giornali siciliani stanno intensificando la campagna in favore del ponte.

Al termine di una intensa settimana di spettacoli iniziative di protesta e assemblee viene da chiedersi se la vera lotta non sia innanzi tutto una guerra di sogni. La fera del romanzo di D’Arrigo o il demonio Caronte contro il piccolo sogno di acqua casa e lavoro delle signore di Punta Faro.
Ma in termini di immaginario sappiamo bene che il nemico è forte. I mezzi di informazione siciliani, il partito della mafia e il governo stanno lavorando tutti per se stessi, cioè per il bussines del ponte. Lo stretto da sempre è terra di manipolazione di miti.
E allora chi sa se quella nuova placca inserita senza troppo clamore sul portale del duomo di Messina non sia lì a sancire un nuovo immaginario, immaginario di denaro per pochi e di morte per tutti gli altri..

 

Il Progetto
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