segnali dalle città invisibili
 

Giro93 Dossier Acqua 2002
La mappa della vergogna
di Roberta Marilli e Alfio Ferrara. da: Itacanews

Alla fine Cuffaro ha ceduto. Strattonato dalla protesta popolare, è stato costretto ad approvare la mozione presentata dalle opposizioni e, dopo un incontro con i prefetti, ha riattivato le unità di crisi. Da oggi sarà possibile requisire i pozzi privati e si dovrà procedere rapidamente alla costituzione di un’autorità unica per la gestione delle acque.
Ma se restano queste le soluzioni proposte, l’efficacia della cosiddetta «task force» per l’emergenza idrica si presenta piuttosto deludente. In due mesi la squadra del commissario Cuffaro è riuscita soltanto a riproporre rimedi già prospettati dal generale Jucci, a fornire cifre accomodate per scaricare le responsabilità sui predecessori, a organizzare riunioni autoreferenziali pubblicizzate dai soliti uffici stampa compiacenti e ad assegnare progettazioni per migliaia di euro per i rifacimenti degli acquedotti Favara di Burgio e Gela – Aragona. I lavori, si dice, saranno appaltati entro il prossimo autunno. Staremo a vedere.
Vi proponiamo una mappa ragionata delle dighe e degli invasi siciliani. Della loro storia, del perché tutti o quasi non hanno mai raccolto tutti i milioni di metri cubi d’acqua che possono contenere.
Vi anticipiamo che non è tutta colpa del Buon Dio che non manda la pioggia...

PALERMO
Diga Poma. Potrebbe fornire acqua potabile a tutti i comuni, da Partinico a Palermo (capacità massima 70 milioni di metri cubi d’acqua). Invece raccoglie solo un decimo dell’acqua che potrebbe contenere: dopo la tragedia del Vajont, è necessario per il collaudo uno studio dell’onda di piena in modo da stabilire i possibili effetti di un crollo. Mai fatto.

Diga di Rosamarina, fra Termini Imerese e Caccamo. Venne inaugurata nel 1990 dall’allora Presidente della Regione Rino Nicolosi. Dopo il taglio del nastro si scoprì che nella diga non c’era acqua e che mancavano le condutture. Poi l’acqua arrivò ma era salata e allora si pensò di dotarla di un dissalatore interno. Può contenere fino a 40 milioni di metri cubi d’acqua. Oggi, dovrebbe essere collegata al potabilizzatore di Piana degli Albanesi. In ogni caso, l’acqua contenuta dalla diga non può essere utilizzata perché non è collegata all’acquedotto cittadino.

Diga dello Scanzano (gestita dall’Eas). Ha problemi alle paratie rimaste bloccate in seguito a una scossa di terremoto nel 1968! Se ci fosse un'inondazione, l'acqua tracimerebbe a valle travolgendo ogni cosa. Dovrebbe essere svuotata, per ripararla. L’anno scorso si sono stanziati 4 miliardi e 700 milioni per farlo. Ma non è stato ancora fatto.

Diga Garcia. Può contenere fino a 60 milioni di metri cubi di acqua. Costata centinaia di miliardi, è stata al centro di una lunga faida di mafia. Per anni inutilizzata, l'argilla del corpo centrale ha finito con l'asciugarsi e spaccarsi. Insomma, non serve.

Diga Blufi (appartiene all’EAS). Nel cuore delle Madonie. Avrebbe dovuto essere il “vaso comunicante” tra la diga Ancipa e quella del Fanaco e distribuire acqua alle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna. Quando nell’89 si cominciò a parlare della sua costruzione, le associazioni ambientaliste e gli abitanti della zona erano assolutamente contrari prevedendo che l’impatto ambientale sarebbe stato devastante. L’allora Assessore ai Lavori Pubblici, Totò Sciangula, per invogliarli disse che - oltre al lavoro - il bacino artificiale connesso alla diga avrebbe portato gare di canottaggio e windsurf (certo, in montagna, con tutto quel vento…). Alla fine si convinsero tutti e l’assessore giurò che sarebbero arrivate anche le svedesi in topless. nessuno pensava che oltre al danno ci sarebbe stata anche la beffa. L’investimento iniziale era di 300 miliardi. Altri 120 furono stanziati per completarla grazie a una manciata di varianti d’opera e perizie suppletive. Tra le imprese appaltanti l’Impresem dei Salamone e dei Miccichè, inquisiti per mafia.
Alcuni anni fa i lavori furono interrotti. Nel carteggio mancava la verifica di impatto ambientale e l’allora Ministro Ronchi fu irremovibile. Nel 2000, la Regione ha chiesto una deroga per asportare 4.000.000 di metri cubi di materiale di risulta dalle cave all’interno del Parco, tutte controllate dalla mafia. Non l’ha ottenuta. C’è poi in corso un contenzioso tra l’EAS che è l’ente appaltante e le imprese (ora rilevate dalla Coopcostruttori Ravenna). Pochi mesi fa, Jucci annunciò che voleva definitivamente risolvere il contenzioso. Ma il generale è stato congedato e adesso le stellette sono appuntate sul petto di Cuffaro: Presidente e Commissario straordinario.

AGRIGENTO
Ad Agrigento, il Comune non possiede una mappatura della rete idrica esistente. Per le riparazioni delle condutture ci si affida alla tradizione orale: il più anziano degli operai racconta a quelli più giovani i misteri dell’acquedotto. Verrà forse istituito un nucleo di cani-segugio.

Diga Furore. I lavori vanno avanti da vent'anni. Costo, finora: alcune centinaia di miliardi.
Attualmente la diga è vuota: hanno scoperto che era indispensabile un lavoro di manutenzione non previsto e mai realizzato. L’appalto non è stato ancora assegnato.

Diga di Fanaco. Capacità massima: 19 milioni di metri cubi. Contiene una quantità irrisoria d’acqua. In compenso è piena di fango. In ogni caso, ha problemi strutturali che non ne consentono il pieno utilizzo.

Laghetto di Gorgo. In teoria la sua capienza è di tre milioni e 400 mila metri cubi d'acqua. Ne contiene la metà. Stesso problema della diga Fanaco: un'enorme quantità di fanghiglia. Per rimuoverla occorre uno stanziamento di alcuni milioni di euro.

Serbatoio Arancio. Dovrebbe essere collegato con il lago Castello (spesa prevista 70 miliardi di vecchie lire). E’ già interconnesso con gli invasi Poma e Garcia. Il problema è la condotta Favara-Burgio. Deve essere rifatta ex-novo: spesa prevista 59 milioni di euro.

Diga Piana del Leone, interrata per tre quarti; potrebbe raccogliere milioni di metri cubi d'acqua, ne contiene al massimo due. Nell'ottobre del 1986 fu appaltato lo sfangamento e la pulizia del fondale: lavori per circa 33 miliardi. Non se ne fece nulla perché la ditta appaltatrice non ebbe le
autorizzazioni necessarie.

Minidissalatori di Porto Empedocle. Pochi mesi fa furono spenti. La Co.ge.dis aveva dimenticato di pagare una bolletta Enel di un miliardo e mezzo di lire. La Regione si è impegnata a saldare. Ma anche accesi, non sono più affidabili del mitico dissalatore di Gela (vedi dopo). Un giorno o l’altro verrà in visita Cuffaro e proverà a riparararli con le sue mani.

GELA
Diga Gibbesi di Naro. Costruita dall'EMS, è passata al Consorzio di Bonifica di Gela. La diga è vuota, va completata. Mancano gli stanziamenti per farlo.

Diga Disueri Ha meno di 1 milione di metri cubi d’acqua, ne potrebbe contenere fino a 14. Usata solo a fini irrigui. Quando fu costruita non ci si accorse che nell’invaso affluiva una vena di acqua intrisa di zolfo, e così le esalazioni di anidride solforosa hanno corroso alcune strutture portanti. Adesso è in fase di collaudo.

Diga Comunelli. Potrebbe contenere fino a otto milioni di metri cubi ma è soggetta da anni ad interramento. Le pendici del bacino inoltre sono franabili. E’ semivuota. Capacità massima: 8 milioni di metri cubi. L’anno scorso il Servizio nazionale dighe lanciò un ultimatum: se non si provvede a rimuovere il fango dovrà essere abbattuta.

Dissalatore di Gela. Gestito dall’Agip Petroli. Finalmente l’attesa è finita. Il quinto modulo e il quinto bis (appalto iniziale:70 miliardi) sono stati attivati. In compenso, il quarto, il terzo, etc. etc. vanno in tilt a rotazione. A volte anche tutti insieme. L’acquedotto che dà l’acqua dissalata a Gela, Niscemi, Licata, Campobello di Licata, Palma di Montechiaro e Agrigento è pieno di buchi. Un giorno sì e l’altro pure l’erogazione è sospesa per le riparazioni. Nei pressi di Licata, ultimamente alcuni agricoltori non hanno resistito alla tentazione di irrigarsi i campi: altri buchi. Denunciati, non sono né i primi né gli ultimi. L’estate scorsa altri, ignoti, ci provarono con picconi e colpi di fucile.

ENNA
Invaso Olivo. Il potabilizzatore non funziona.
Invaso di Pozzillo. Capacità massima: 113 milioni di metri cubi. Ne contiene appena 10. E’ necessaria un’opera di sfangamento degli scarichi e della presa di fondo della diga. La condotta Ancipa-Pozzillo funziona poco e male.

Diga Ancipa. Insieme a Blufi e Pietrarossa è il simbolo del malgoverno della Sicilia e dell’intreccio tra grandi appalti e mafia. Si trova nel territorio di Troina. L'invaso(capacità massima 30 milioni di metri cubi) è di proprietà dell'Enel che, attraverso cinque centrali in cascata, produceva energia elettrica. Poi il governo regionale stipulò un accordo con l'Enel per attingere acqua dalla diga che attraverso un potabilizzatore dovrebbe servire vari comuni nelle province di Enna, Caltanissetta, Messina, Catania. I lavori di costruzione, iniziati nel 1949 (allora alcuni operai vi persero la vita, ci sono delle lapidi a ricordarlo) furono interrotti per molti anni. Erano finiti i soldi. Negli anni ’80 per il completamento: si stanziarono 1500 miliardi di lire, fondi della Cassa del Mezzogiorno e dell’Agensud. I lavori furono bloccati in seguito ad un esposto di Legambiente. La magistratura appurò che l’azienda titolare dell’appalto, la Lodigiani-Cogei del gruppo Rendo, aveva operato senza alcuna autorizzazione urbanistica. Per di più l’appalto per il completamento dell’acquedotto fu assegnato senza preoccuparsi delle crepe che già interessavano il muro di sbarramento della diga. Microfissurazioni termiche che sono rimaste lì da allora. In queste condizioni, la diga non sopporta la pressione di una grande quantità d’acqua. Alcuni mesi fa, Jucci aveva incontrato i responsabili dell’ “Enel Green Power” ed era partito l’iter di assegnazione dell’appalto. Visti i precedenti, si annunciano tempi lunghi. Devono poi essere risanate la galleria Troina-Grottafumata, il canale allacciante di Ancipa e il canale di Quota 100, la dorsale della Piana di Catania, lungo 14 chilometri.

CATANIA E CALTAGIRONE
Premessa: l’acqua in provincia di Catania è gestita da tre consorzi di bonifica: Catania, Caltagirone ed Enna. Il Consorzio di Bonifica di Catania non ha nel suo territorio alcun invaso, ma si serve dell’acqua dell’invaso Pozzillo, Ancipa, Ogliastro, Don Sturzo e del Lago di Lentini.

Diga Pietrarossa. I lavori iniziano nell’89. E’ la specializzata ditta Lodigiani-Cogei del gruppo Rendo ad aggiudicarsi l’appalto. Per la sola diga, progettata a fini irrigui, lo stanziamento iniziale della Cassa del Mezzogiorno fu di 170 miliardi di lire. Iniziano i lavori, la successiva inchiesta accerterà che non c’erano i visti della Soprintendenza. Siamo nel ’90. Scava e scava, gli operai si imbattono nei resti di una villa d’età romana. Scatta una prima inchiesta della Procura di Enna. Ma la ditta continua a lavorare per altri tre anni. Del resto un verbale della sezione archeologica dice che non c’è alcun reperto (strano: tre giorni prima un altro verbale parlava di frammenti di ceramiche…). Il sito - è ovvio - subisce danni irreparabili. Ma nel ’95 spunta un’altra grana: lesioni della struttura, colpa dello smottamento del terreno, dice l’impresa. Secondo i magistrati della Procura di Caltagirone, invece, i tecnici, i funzionari e l’ impresa costruttrice avrebbero concertato una truffa per ottenere un ulteriore finanziamento di circa venti miliardi per riparare un danno causato – diceva l’impresa - dal terremoto del 1990. Nel corso dell’inchiesta è stato appurato che le lesioni sono state provocate da errori nella costruzione. Passano altri tre anni: la ditta, abusivamente efficiente, non si ferma un giorno. Agli inizi del ’98 la procura di Enna mette sotto sequestro il cantiere ed emette gli avvisi di garanzia per 12 indagati: abuso, rifiuto di atti d’ufficio, deturpamento di bellezze naturali e archeologiche. Tra gli altri, anche i nomi dei tre funzionari della soprintendenza che firmarono il sopralluogo-tutto-a-posto-continuate-pure-scusate-il-disturbo.


CALTANISSETTA
“Non c’è bisogno di un generale dei Carabinieri, che non sa pronunciare nemmeno Caltanissetta con due «s» per avere l’acqua in città ogni quattro giorni.” Il capogruppo di Alleanza Nazionale all’Assemblea Regionale, Giovanni Sfalanga pare ne avesse fatto una questione di sano campanilismo: il continentale generale Jucci, nominato da poco Commissario per l’emergenza idrica, andava rimosso. Fosse solo per quell’imperdonabile difetto di pronunzia. E nonostante Jucci fosse destinato a conseguire, di lì a poco, il risultato concreto di far avere in città l’acqua ogni tre giorni grazie all’impiego delle autobotti dell’Esercito.
Adesso per fortuna, il rischio di un’invasione nordista è rientrato. Jucci è stato deposto, al suo posto è stato nominato il sicilianissimo Presidente, Caltanissetta è tornata ad essere pronunziata con due esse. E l’acqua ha ripreso ad essere erogata ogni quattro giorni. Tutto come prima, insomma.

Comicità di regime. La situazione di Caltanissetta, invece, continua a non far ridere. Il Consorzio di Bonifica di Caltanissetta non gestisce alcun invaso. L’acqua per gli usi idropotabili è fornita dall’Eas attraverso l’acquedotto del Fanaco, quello delle Madonie-Est e quello dell’Ancipa. Viene raccolta nel serbatoio Cozzo di Guardia (che è piccolo e dovrebbe essere ampliato, il progetto c’è, si aspetta il finanziamento della Regione) e da lì distribuita. L’Eas assicura di far arrivare 160 litri d’acqua al secondo.
In realtà, nei rubinetti nisseni ne arrivano 45 litri di meno. Sempre al secondo. Si perdono in parte dalle falle delle condotte fatiscenti, in parte da quelle del sistema burocratico. Ancora più fatiscente, se possibile: per ogni riparazione il Comune, prima di intervenire, fa le segnalazioni all’Eas di Caltanissetta che, costantemente in bolletta, le gira alla sede centrale di Palermo. Da Palermo mandano a dire che quelli dell’ufficio tecnico del Comune non hanno inviato la planimetria e che senza di quella non sanno dove mettere le mani.
Le condotte ridotte a un colabrodo non sono l’unico problema della crisi idrica nissena. Ci sono sparizioni consistenti di acqua – trenta litri al secondo, quanta potrebbe rispondere al fabbisogno di un paese di media grandezza – che avvengono lungo tratti dell’acquedotto dell’Ancipa alto. Ci sono ritardi nel deliberare il completamento dell’avantidiga di Blufi, che il Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti - ricordate? Quello che diceva che è opportuno scendere a patti con la mafia – vuole a tutti i costi inserire in un appalto più sostanzioso. Giusto per avere qualche cosa in più da offrire, quando riuscirà a sedersi alla tanto auspicata tavola rotonda per patteggiare con la mafia.
Ci sono, insomma, molti elementi su cui ragionare. Lo sta facendo, tra gli altri, la Procura di Caltanissetta. Nel Duemila è stata aperta un’inchiesta per accertare le responsabilità rispetto alla crisi idrica. Un troncone dell’indagine pochi mesi fa si è concluso con l’iscrizione nel registro degli indagati di Alberto Tulone, ex-caporeparto Eas, accusato di interruzione di pubblico servizio e inadempimento di pubbliche forniture. Era l’ottobre di due anni fa, quando arrivò al Comune di Caltanissetta un annuncio dell’Eas-diretta all’epoca da Tulone, che l’acqua da lì in avanti sarebbe stata distribuita ogni sei giorni e non più ogni quattro. Non veniva data alcuna spiegazione del motivo di tale decisione. La mattina successiva arrivó un altro messaggio, con cui il presidende dell’Eas, Vincenzo Liguori, annullava la frettolosa disposizione del suo dipendente. Non abbastanza, per salvare dai guai Tulone, che è stato rinviato a giudizio dal giudice delle udienze preliminari, Leopoldo Di Gregorio. Il processo dovrebbe aprirsi il 15 luglio prossimo.

TRAPANI
Dissalatore di Nubia. E’ gestito dall’Eas. Lo sapevate che ci sono intere zone (Valderice, Paceco, Custonaci, Erice, Napola, le Egadi etc.) di questa parte della Sicilia che, per l’acqua, dipendono unicamente da un grande e inefficiente dissalatore? Si trova in contrada Nubia, nella zona Asi (aria sviluppo industriale).Tra guasti (una volta scoppia una caldaia, un’altra le alghe, inspiegabilmente, entrano negli ingranaggi delle pompe di sollevamento) e manutenzione più o meno straordinaria si blocca, in media, nove giorni su sessanta. L’anno scorso, a maggio, per sostituire una caldaia e collaudare quella nuova, restò fermo per un mese e mezzo. Le autobotti dei privati sono l’unica alternativa: e questo dà, ai privati, la possibilità di imporre a loro discrezione tariffe giorni e orari di distribuzione. I dirigenti dell’Eas sostengono che la colpa di molte delle frequenti interruzioni è dell’Enel, che toglie senza preavviso la corrente. Quelli dell’Enel, secondo copione, declinano ogni responsabilità.

Acquedotto di Montescuro-Ovest
Serve l’intera Valle del Belice. Dipende in gran parte dall’invaso Garcia, e dal suo potabilizzatore, che avrà pure un sistema computerizzato di supervisione ma di quelli poco affidabili. Per di più, il potabilizzatore, di cui è proprietaria l’Eas, è gestito da una società privata, la Di Vincenzo. Entrambe pare abbiano l’abitudine di non pagare i dipendenti, che sono costretti a scioperare, complicando ulteriormente i processi di distribuzione dell’acqua. Come se non bastasse, anche quest’acquedotto rientra a pieno titolo nella categoria dei colabrodo (in alcuni tratti si registrano perdite fino all’80%). Bisognerebbe sostituire interi chilometri di condotta. Jucci aveva progettato di sostituire i tratti più fatiscenti, spendendo poco alla volta, purché i lavori iniziassero in tempi brevi. Cuffaro dice che ha già stanziato varie migliaia di euro per rifarla tutta ex-novo. Staremo a vedere.
Serbatoi Paceco, Trinità, Rubino, Zafferana. Tutti per usi irrigui. Il Servizio Nazionale Dighe non ne autorizza il riempimento. Mancano i collaudi. Potrebbero contenere quasi cinquanta milioni di metri cubi d’acqua. Ne hanno appena due-tre milioni ciascuna. Sono gestite dal Consorzio di Bonifica. Pochi mesi fa, un Giudice del Lavoro di Trapani ha ritenuto illegittima, ordinandone l’immediata revoca, l’assunzione da parte del Consorzio di sedici dipendenti. I dirigenti dell’ente non avevano informato le rappresentanze sindacali. Non è che l’avessero dimenticato; il fatto è che si doveva fare in fretta, altrimenti scadevano i tempi per usufruire del finanziamento regionale per i lavoratori a termine. Cuffaro&co. avevano firmato il decreto legge il 28 gennaio 2001, lo avevano spedito ai Consorzi il 31 gennaio. Il termine ultimo era il giorno stesso. Prendere o lasciare.

SIRACUSA
Invaso di Lentini. Si estende su una superficie enorme. Costato oltre 800 miliardi di lire, potrebbe contenere 127 milioni di metri cubi d'acqua, ne contiene tra i quindicimila e i trentamila. L’invaso nasce sovradimensionato. Dovrebbe servire ad irrigare i terreni delle province di Catania e Siracusa ma anche ad approvvigionare le aree industriali di Siracusa e Catania. L'infrastruttura, costruita dall'ex Casmez, era di proprietà del Ministero dei Lavori Pubblici. Ora come opera (in linea teorica) compiuta, dovrebbe passare in concessione alla Regione, attraverso il Ministero per le Politiche Agricole. La gestione è affidata al Consorzio di Bonifica di Siracusa. L’acqua dovrebbe arrivare al lago da tre sistemi: il Salso-Simeto, l’Ancipa, e la diga Ogliastro, quest’ultima perennemente a secco. Tanto che si pensa di travasare qui parte delle riserve della diga Nicoletti, provincia di Enna. Se non ci fosse l’acqua del Simeto l’invaso sarebbe una specie di immenso acquitrino.
In ogni caso, il volume invasato non può essere utilizzato a pieno perché gli impianti di sollevamento sono troppo piccoli. Agli agrumeti della zona ci pensano i proprietari di pozzi privati, che, è ovvio, fanno affari d’oro. Per le altre colture i danni non si contano.

RAGUSA
Invaso Ragoleto. Sul fiume Dirillo, gestito dall’Agip petroli per uso industriale. Fino a poco tempo fa, non poteva fornire acqua per i sedimenti e il fango che avevano otturato gli scarichi di fondo e le opere di presa del corpo diga. Ora ha ripreso a funzionare, ma l’acqua ivasata finisce presto. Non serve solo le industrie, ma anche il Consorzio di Bonifica. Del resto, essendoci moltissime colture ortofrutticole protette, cioè serre, la stagione irrigua dura tutto l’anno. In sostanza, i raccolti dipendono dai pozzi privati. Le spese di produzione aumentano, e si sommano a quelle, non indifferenti del trasporto. Certo, sarebbe diverso se ci fossero strade e ferrovie efficienti. Che mancano, ovviamente.

MESSINA
Isole Eolie
Il Dissalatore di Lipari e le navi-cisterna. Un metro cubo d’acqua prodotto da un dissalatore costa circa due euro e cinquanta. Se, invece, l’acqua arriva a un’isola con una nave cisterna, il suo costo a metro cubo è di quasi otto euro. Le Eolie possono contare solo sul dissalatore di Lipari, ma mancano le condutture sottomarine per raggiungere le altre isole. Quella tra Lipari e Vulcano è stata iniziata ma mai finita.
In queste condizioni, il ricorso alle navi-cisterna è obbligatorio. Si parla di un business da sedici milioni di euro all’anno. Se poi l’unico dissalatore che c’è si blocca, o non funziona a pieno regime, come è capitato la scorsa primavera, i guadagni sono ancora più alti. Da anni, l’appalto per le Eolie bandito dal Ministero della Difesa) viene vinto sempre dalla stessa ditta, la Vemar di Napoli. Quest’anno, però se l’era aggiudicato la Finaval, proprietà del Gruppo Fagioli. Quelli della Vemar, chiaramente delusi, presentano alla Procura della Repubblica una denuncia contro gli avversari. L’accusa: non hanno navi sufficienti e quelle che hanno non sono adatte. Di fatto la Finaval fino a pochi mesi prima era specializzata nel trasporto di sostanze chimiche. L’Asl, preleva campioni d’acqua dall’unica nave che aveva caricato l’acqua dall’acquedotto di Messina e sentenzia: quell’acqua non è potabile. Alla Finaval cominciano a parlare di “complotto”, ma il Ministro Martino le revoca l’appalto. Subentra la Vemar.

 

 

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