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Giro91
Segnali di
fumo
Segnali di fumo di fine maggio
di pina la villa
sabato 18 maggio 2002
In questi giorni a Torino La Fiera del Libro.
Quest'anno il tema è il tempo. Il tempo
del racconto senza il quale non sarebbe possibile
pensare nessuna forma di narrazione.
Penso a Laurence Sterne e alla prefazione di Carlo
Levi al suo romanzo La vita e le opinioni di Tristram
Shandy gentiluomo (Oscar Mondadori, 1974). La
prefazione di Carlo Levi, per l'edizione einaudiana
del 1958, è tra le cose migliori su Shandy
, romanzo che Sterne scrisse nel 1760.
Levi parte dall'incomprensione del pubblico per
un suo racconto dal titolo Orologio. Quando scelse
il titolo pensava che tutti dovessero cogliere
il riferimento al testo di Shandy, invece nessuno
lo colse. Nessuno aveva letto la celebre frase:
"Scusa caro, non hai dimenticato di caricare
l'orologio?" con la quale Shandy inizia il
lungo racconto dal suo concepimento - sottolineato
da quella inopportuna frase della madre - alla
sua nascita, che è in pratica la maggior
parte del romanzo.
Dice Levi: "E' l'invenzione della durata,
che si sostituisce al tempo, e costringe a una
vaga corsa dietro alla sfuggente realtà,
e scioglie e distrugge la struttura e il tempo
del romanzo, i limiti dei personaggi e la loro
psicologia, con quasi due secoli di anticipo.
[
]La morte sta nascosta negli orologi, come
diceva il Belli; e [
] Shandy non vuol nascere,
perché non vuol morire. Tutti i mezzi,
tutte le armi sono buone per salvarsi dalla morte
e dal tempo. Se la linea retta è la più
breve tra due punti fatali e inevitabili, le digressioni
l'allungheranno: e se queste digressioni diventeranno
così complesse, aggrovigliate, tortuose,
così rapide da far perdere le proprie tracce,
chissà che la morte non ci trovi più,
che il tempo si smarrisca, e che possiamo restare
celati nei mutevoli nascondigli.[
] La nascita
di Tristram Shandy è un capolavoro di rifiuto.
Ci vogliono più di duecento pagine perché
il bambino venga alla luce [
] e nasce travestito
da un nome camuffato, e rifiutando ancora il naso,
e ciò che gli sarà tolto, ebraicamente,
dalla distrazione della prima donna che lo ha
preso in braccio, con la complicità di
una finestra a ghigliottina.[
] Se il parricidio
è il modo più ovvio di rifiuto del
tempo, il Tistram Shandy non è che un costante
parricidio. Tutto quello che il padre desidera
e vuole, è contraddetto e non si avvera.
Il padre è il tempo, la sua legge è
rifiutata. Ad essa se ne contrappone un'altra:
un altro tempo, che è quello della fantasia:
un tempo lunghissimo, quasi eterno".
martedì 21 maggio 2002
Al collegio docenti un collega ha proposto l'adozione
del libro di testo di Rosario Villari - certo
è stato rinnovato dopo il salutare richiamo
di Berlinguer sulla storia del novecento. Dice
il collega che finalmente c'è di nuovo
la storia raccontata. In realtà come è
scritto nella quarta di copertina del libro, Villari
ha voluto riproporre il primato della storia politica.
Quasi incoraggiato da questa proposta, subito
l'altro collega di storia, di diversa formazione
ma più o meno della stessa generazione,
ha proposto l'adozione del manuale di De Rosa,
ovviamente anche questo rinnovato. E' il ritorno
alle appartenenze, alla sicurezza dei punti di
riferimento e delle, "rassicuranti",
letture del mondo.
Entrambe le proposte, tutte le proposte, vengono
approvate.
Con gioia soprattutto quelle della giovane collega
al primo anno di insegnamento dopo la vittoria
al concorso. Li cambia tutti, dalla geografia
alla grammatica all'antologia alla storia della
letteratura. Con piglio sicuro ed entusiasta.
C'è forse, in queste scelte, anche un fondo
di ribellione per la scuola come sta diventando,
per il ruolo dei docenti come si sta prefigurando.
Per esempio, circa 160 insegnanti stipati nell'aula
magna non ancora ristrutturata, sono costretti
ad ascoltare proposte di adozione di libri di
cui sconoscono l'utilità e l'opportunità.
Né c'è il tempo e la voglia di discuterne
o di accapigliarsi sulle scelte. Per cui, per
una forma estrema di rispetto ( o di disprezzo)
di se stessi tutto viene approvato, purché
finisca. Purché finisca una riunione inutile
e lunghissima, in un caldo pomeriggio di maggio.
Letta - durante il collegio docenti
- l'intervista di Maria Nadotti a Ryszard Kapuscinski
sul buon giornalismo nel libro dal titolo Il cinico
non è adatto a questo mestiere edizioni
e/o, 2002. Alla fine del testo c'è una
conversazione fra i giornalista polacco e uno
scrittore e critico d'arte inglese, John Berger
svoltasi nel corso di un convegno organizzato
a Milano dalla rivista Linea d'ombra nel 1994
dal titolo Vedere, capire, raccontare: letteratura
e giornalismo alla fine di un secolo.. Si parla,
fra l'altro, di arte. Si dice, pressappoco, che
solo dall'arte possiamo aspettarci una lettura
del nostro tempo che le categorie storiografiche
non riescono a spiegare. E l'arte è, oggi,
necessariamente un'opera collettiva. In primo
luogo perché vi sono implicati il creatore
e il fruitore.
Dice inoltre Berger "Forse è il momento
di fare delle distinzioni tra i racconti e forse
anche di abolire, almeno per il momento, la parola
fiction. La fiction fu inventata nel XIX secolo,
quando la gente trascorreva lunghe serate accanto
al camino, passando il tempo a leggere il mondo".
A immaginarselo, forse. Pensiamo a Salgari. Oggi
è diverso. Non abbiamo più bisogno
di storie inventate per immaginare e leggere il
mondo. Siamo sommersi dalle informazioni e dalla
disinformazione. Ecco perché è importante
la figura del testimone. "Ryszard Kapuscinski
è un corrispondente estero, un giornalista,
un viaggiatore. Non fa parte degli autori di fiction,
però è uno dei rari grandi narratori
del nostro tempo. A parte la sua cultura e il
suo cuore è un grande narratore perché
si trova sul posto con il suo corpo, e mostra
ciò che accade ad altri corpi. Nei suoi
racconti ci sono i gusti, il respiro che alita
dietro le parole, la paura, la fatica, la vecchiaia,
il ricordo di una madre. Nessuno dei quali compare
nelle notizie. Da tutto questo materiale fisico,
nasce un'essenza: il senso del destino".
Perché raccontiamo, si chiede ancora Berger.
"Come i cammelli attraversano il deserto,
i racconti attraversano la solitudine della vita,
offrendo ospitalità all'ascoltatore o cercandola.
Il contrario di un racconto non è il silenzio
o la meditazione, bensì l'oblio. Sempre,
sempre, fin dall'inizio, la vita ha giocato con
l'assurdità. E poiché l'assurdo
è il padrone del mazzo di carte e del casinò,
la vita non può far altro che perdere.
Eppure, l'uomo compie delle azioni, spesso coraggiose.
Tra quelle meno coraggiose, ma nonostante questo
efficaci, c'è l'atto del raccontare. Questi
atti sfidano l'assurdità e l'assurdo. In
che cosa consiste l'atto del raccontare? Mi sembra
che sia una permanente azione di retroguardia
contro la permanente vittoria della volgarità
e della stupidità. I racconti sono una
dichiarazione permanente del vissuto in un mondo
sordo. E questo non cambia. E' sempre stato così.
Ma un'altra cosa che non cambia è il fatto
che di tanto in tanto si verificano dei miracoli.
E noi conosciamo i miracoli grazie ai racconti."
Ovviamente occorre attenzione. "Se si presta
attenzione, è possibile che quell'esperienza
ci venga trasmessa, è possibile che quell'esperienza
venga trasmessa al narratore, allo scrittore e
poi, attraverso l'attenzione del lettore, ritorni
alla vita. [
] Se questo è il ciclo,
il ruolo del narratore diventa quello del portatore
che trasporta qualcosa da un punto all'altro.
Se non si resiste alla tentazione di non essere
modesti, si perde la capacità di prestare
attenzione".
Sul Manifesto di oggi Pino Ferraris recensisce
il libro di Ermanno Rea, La dismissione, Rizzoli.
Di Rea ho letto Mistero napoletano, su Francesca
Spada e l'Ultima lezione su Federico Caffè.
Sono tutte biografie, anche quest'ultima, che
ricostruiscono attraverso la vita di un personaggio
tutto il suo mondo, in pratica un pezzo di storia,
nel caso di Francesca Spada la Napoli del PCI
negli anni cinquanta, nel caso di Federico Caffè
gli anni ottanta della solitudine di un riformista
tra università ed economia. La dismissione
racconta il caso dello smantellamento dell'Italsider
di Bagnoli attraverso il racconto, la biografia
narrata al narratore da parte di un operaio che
ha voluto partecipare appunto alla "dismissione",
Vincenzo Buonocore, tecnico d'area delle colate
continue. Un po, credo, quello che ha fatto
anche Maria Attanasio nel romanzo del 1999, Di
Concetta e le sue donne, in cui Concetta raccontava
a Maria il Pci e le donne negli anni settanta
a Caltagirone, e quello che ha fatto - l'articolo
è sempre oggi sul Manifesto - Cristina
Comencini narrando la vicenda di Carlo Giuliani
attraverso il racconto della madre nel film Carlo
Giuliani, ragazzo, presentato ieri a Cannes. Dice
Cristina Comencini "Il mio è un film
politico, che attraverso la voce di una sola donna
parla alla gente in profondità, proprio
perché c'è la possibilità
di conoscere da vicino una sola persona. Non credo
che ci sia un limite tra fiction e documento,
e penso anzi che scegliere una voce aiuti a raccontare
meglio".
L'idea è anche nel testo di Eleni Varikas,
sulla necessità di usare le biografie per
conoscere la storia delle donne al di là
degli stereotipi e/o del silenzio della storiografia,
ma anche, l'idea del metodo storico come metodo
indiziario ( ne parlava già Carlo Ginzburg)
cioè, semplicemente, l'importanza del piccolo
per capire il grande, l'importanza del dettaglio
per capire l'insieme.
venerdì 24 maggio 2002
"Facciamo che la memoria di
Falcone continui ad essere scomoda a tutti"
(Pietro Grasso il 23 maggio, anniversario della
strage di Capaci, a Palermo)
Libera e i magistrati ricordano
Falcone a Palermo davanti a tremila persone (solo
tremila titola il Manifesto, ma nell'articolo
si parla di un numero superiore a quello degli
altri anni, come per la manifestazione dell'altra
sera a piazza Verga. La sinistra non più
impegnata al governo trova finalmente la voglia
di tornare in piazza a ricordare).
Venerdì 31 maggio 2002
La presentazione del libro di Ermanno Rea, La
dismissione, anche a Catania, è l'occasione
per fare il punto sulle riflessioni di queste
settimane a partire dal tempo del romanzo, dal
Tristram Shandy e dalle riflessioni di Berger
e Kapuscinski.
Difficile per esempio stabilire un confine tra
romanzo e saggio, fiction e storia. Non è
assolutamente un problema, dice Rea. E sono d'accordo
con lui. Quello che lui ha fatto è, come
diceva Berger, farsi raccontare e raccontare a
sua volta, una storia, delle storie. Che diventano
"vere" a prescindere dalle bugie e dall'invenzione
che occorrono all'organizzazione della narrazione,
alla "finzione" del racconto. Acquistano
cioè una verità più profonda
di quella della semplice cronaca. Per Rea il rapporto
tra storia, inchiesta e finzione in realtà
non si pone perché quello che a lui interessa
è vedere come la storia ricada sulla persona,
in una parola come si costruisce un destino.
Breve digressione: destino è
parola che in greco era grave: Ananke, il Fato.
E l'ineluttabilità del destino è
alla base della tragedia. La tragedia di oggi
non è però al teatro greco di Siracusa,
dove il 29 sono andata a vedere "Le baccanti"(di
Euripide, per la regia di Luca Ronconi), rappresentazione
così falsa da far ridere o almeno da far
dire a tutti quelli che avevano studiato Aristotele
al liceo, "non c'era patohs". Talmente
noiosa da far esplodere il teatro in un applauso
liberatorio alla fine dello spettacolo e da far
commentare a una ragazza "A mia ccà
non mi virunu ppi ddeci anni, finu a quannu mi
maritu". Ma la colpa non è tutta di
Ronconi.
Il fatto è che se per i
greci il rapporto con la divinità è
sentito come parte del proprio destino, così
non è oggi. La tragedia, o il mito, come
pure si diceva ieri alla presentazione del libro,
sono nel libro di Rea, nella figura dell'operaio
che deve smantellare la fabbrica pezzo a pezzo,
ed è come smontare pezzo a pezzo la propria
vita, come ha detto Vincenzo Bonavolontà
(nome dell'operaio alla cui storia si ispira il
libro) al suo narratore.
La tragedia è nella scenografia reale di
Bagnoli, in quel lungo tratto di costa paradossalmente
salvata dalla speculazione edilizia proprio dall'esistenza
dell'impianto e che oggi deve essere preservata.
La storia e il destino del singolo,
del singolo in quanto vive in un tempo e in un
luogo preciso, abitato da altri, i cui destini
incrociano il suo.
A presentare il libro lo storico
Nino Recupero, i critici letterari Attilio Scuderi
(università di Catania) e Silvio Perrella
(università di Napoli), oltre ovviamente
all'autore, Ermanno Rea, sguardo e orecchie attente,
sentiva parlare di sé e del suo libro quasi
incuriosito, smorzando qualche volta i toni un
po troppo seriosi o enfatici o "brillanti"
dei commentatori - tutti di grande livello, comunque
- rispondendo con semplicità alle elucubrazioni
a volte eccessive delle domande del pubblico.
Un evento culturale di rilievo a Zoculture, nello
spazio delle Ciminiere, ex raffineria di Catania.
Sabato 1 giugno 2002
"Mi sento come la figlia del re che nessuno
riesce a fare ridere" dice Giuliana Saladino
nel suo libro Romanzo civile, in cui parla della
morte dell'amico Rocchi, ma anche della fine,
negli anni ottanta, del suo impegno politico.
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