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Giro90
Zoom
La morte che fa audience
di ugo giansiracusa
Non voglio fare una questione morale.
La mia vuole essere una discussione sul rispetto
e soprattutto cercare di evidenziare alcuni aspetti
della televisione italiana (ma non solo) e del
suo rapporto con la morte.
Da un po' di tempo a questa parte
mi sono, infatti, convinto e persuaso di un certo
atteggiamento morboso e quasi "malato"
della televisione italiana - sia la RAI che Fininvest,
ma anche la nuova La7 - quando si parla della
morte. Dal caso di Cogne e ancora prima, dalle
immagini, che tutti abbiamo visto, delle torri
gemelle. Da qualche anno infatti vengono mandate
in onda trasmissioni come "Real tv"
in cui la morte diventa un prodotto, diventa spettacolo.
Da vendere agli sponsor e spettacolarizzata al
fine da divenire merce di scambio e attrattiva
per il pubblico. E infatti ciò che ci viene
propinata non è la semplice, noiosa e monotona
morte degli ospedali, dove la gente si spegne,
non è la morte per fame dei bambini dei
paesi poveri, non è la morte bianca dei
lavoratori dei cantieri e delle fabbriche. Quello
che appare sui nostri schermi è lo spettacolo
della morte. Ripreso in diretta dall'occhio distaccato
della videocamera. Serializzato. Immortalato.
Reso perenne. Trasmesso e ritrasmesso al rallentatore
per farci cogliere ogni singolo istante. La corsa
in auto e l'impatto fatale, la donna che si suicida
lanciandosi dal balcone, il criminale fuggitivo
che vistosi bloccato si spara... e la voce distaccata
del conduttore in studio che ci fa sapere che
non c'è stato nulla da fare... ed ora uno
stacco pubblicitario. Perchè ce li fanno
vedere, per farcene godere? mi viene da chiedere...
O ormai non siamo più capaci di distinguere
la morte finta dei film da quella vera e immutabile
della realtà?
Non potrebbero limitarsi ad incidenti spettacolari
in cui nessuno muore? Non potrebbero autocensurarsi?
Non dovremmo noi cambiare canale, o arrivare la
punto di spegnere il televisore? E invece restiamo
lì a fare un giro turistico sull'altra
sponda dello Stige, sapendo che poi ritorneremo
indietro. E nel frattempo il nostro Caronte ci
vende un set di pentole... senza coperchi... si
intende.
Mi interrogo sul rispetto della
morte e del dolore. Mi interrogo quando vedo una
nazione intera parlare e straparlare, dare giudizi
e condannare. Penso alle immagini di una ragazzina
di Novi Ligure, il volto coperto da una serie
di quadratini opachi (per rispetto della privacy
e della sua giovane età), che sale in macchina.
Immagine vista decine, centinaia di volte. Nei
telegiornali, nei programmi di approfondimento,
nei talk show. Penso alle immagini di una donna
che piange, davanti alla videocamera, parlando
della morte del suo bimbo di tre anni, diventata
un'icona, diventata un'immagine da copertina per
tutte le trasmissioni tv. L'immagine che si stacca
dal reale, come diceva Deborde. L'immagine che
diviene autoreferenziale. L'immagine che non significa
più nulla. E tutto ciò che possiamo
conoscere si blocca lì, a quel fermo immagine
diventato copertina patinata. Senza più
agganci con la realtà della persone che
era. Quello che ci resta è l'immagine,
solo l'immagine.
Ma ci tocca fare un'altra osservazione.
Sembra infatti che piano piano ci abituiamo al
peggio. I nostri occhi si assuefanno all'immagine
della morte. E se qualche tempo fa ci scandalizzavamo
ad una pubblicità che faceva vedere un
lenzuolo bianco, intriso di sangue, che copriva
un corpo senza vita. Adesso sembra che nulla riesca
più a scalfire i nostri sentimenti. Banchettiamo
allegramente alle nostre tavole, con la tv accesa
che manda, le ormai ordinarie, immagini di morte.
E nulla ci fa smettere di mangiare.
E per assurdo piu' noi ci abituiamo, più
la soglia del nostro disgusto si alza, più
la nostra indignazione si quieta e più
la tv - tutta - è costretta ad "alzare
il tiro" per recuperare e catturare la nostra
attenzione.
Mi sono costretto, un paio di giorni
fa, a vedere la trasmissione Fininvest "SK
Predatori di Uomini", dove SK sta per serial
killer. Ed eccoci giunti alla nuova frontiera
della spettacolarizzazione della morte. Un'intera
trasmissione dedicata alla morte. Alla morte più
feroce che si possa immaginare. Quella senza movente,
senza scopo, senza giustificazioni. Una trasmissione
che coprendosi di una parvenza di scientificità
ci mostra i rituali morbosi e macabri dei serial
killer di tutto il mondo. Come la vittima viene
scelta, le violenze che è costretta a subire,
le modalità della morte, le mutilazioni
al corpo, senza vita, da parte dell'assassino.
Con tanto di immagini, di ricostruzioni, di testimonianze.
Con tanto di poliziotto, in divisa, che spiega
la scena del delitto, come se fosse un nuovo gioco
a premi. E poi ecco lo spot. E di nuovo lo spettacolo
della morte che entra nelle nostre case.
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