segnali dalle città invisibili
 

Giro88 Palestina aprile 2002
Senza scelta: chi non resiste non vedrà la pace

di MAHMOUD DARWISH

Ci troviamo di fronte ad una guerra per la guerra, il cui unico obiettivo
sembra essere quello di riprodurre se stessa. Tutti sanno che, e ancor più
in questo caso, la spada non può distruggere l'animo di un popolo. Gli
Arabi hanno offerto ad Israele una pace collettiva in cambio del suo ritiro
da un quinto della nostra patria storica. Israele ha risposto il giorno
successivo a questa generosa offerta, dichiarando la guerra totale al
popolo palestinese, all'immaginazione araba.

Daremo la prova ancora una volta che noi siamo più forti moralmente. Non
abbiamo altra scelta. Lasciamo che i rapporti di forza continuino a dettare
le loro cronache al di fuori della dialettica delle idee e delle leggi, ma
presto tutti si accorgeranno che chi non è capace di resistere non riuscirà
neppure a realizzare la pace!

Vediamo in ogni località un crimine, in ogni strada degli uccisi, su ogni
muro vediamo sangue che grida, vediamo dei vivi privi delle minime
condizioni di vita, vediamo martiri privati del semplice riposo delle
tombe, ma soprattutto vediamo la volontà di un popolo a cui non rimane
nessuna altra scelta che la resistenza. Tra il battito di un cuore ferito e
l'altro ci chiediamo: fino a quando applaudiremo un Cristo che sale al
Golgota?

Che cosa è rimasto del concetto classico del conflitto arabo-israeliano se
non il suo aspetto Palestinese per colorire questo panorama rosso-nero con
i colori di questa impotenza neutrale? Quanto temiamo per il grido di
Yasser Arafat di finire sul legno delle icone? Questo grido è pieno delle
bellezze del martirio da compensare il lavoro di un'intera nazione in un
Venerdì Santo che sembra senza fine, le lacrime rinfrescano lo Spirito,
puliscono il corpo dalle punture del sale, tutti gli spettatori piangenti
aspettano il momento della trasmissione in diretta di quell'attimo nel
quale l'eroe tragico siglerà la propria dignitosa fine, il momento in cui
egli completerà tutti gli elementi del mito, ossia di finire martire e
martire e martire...

No, il palestinese non ha bisogno di sentirsi sempre solo, egli non vuole
il ruolo di vittima sacrificale e soprattutto oggi il palestinese desidera
vivere al di fuori della metafora, il palestinese desidera vivere nel luogo
dove è nato, vuole liberare il suo spazio geografico ed umano dalla
pressione delle mitologie e dalla barbarie dell'occupazione e dal miraggio
di una finta pace che non ha portato se non rovine. Ma il suo diritto alla
vita, alla vita normale cioé, in un margine più stretto del sogno e più
largo dell'incubo, è assediato dalla realtà israeliana armata con le
sciocchezze razziste e la modernità bellica, è assediato dal destino
americano che ha posto il mondo sulle corna di un toro scatenato ed ha
annullato totalmente ogni distinzione tra Israele e America, ed è anche
assediato da un servilismo assoluto che ha privato il sistema politico
arabo persino della loquacità della questua e della capacità di assecondare
la rabbia delle sue piazze.

Ci domandiamo quante volte dovrà essere assediato il palestinese perché il
mondo arabo si senta anch'esso assediato, per accorgersi di essere
prigioniero come lui, ma senza resistenza? I teleschermi ci hanno spiegato
tutto, il nostro sangue scorre in ogni casa e su ogni coscienza, chi non
diventa oggi, nel suo cuore, un palestinese, d'ora in poi non potrà più
riconoscere la sua identità morale.

Questo non perché valori, significati cancellati e nascosti da un consumo
quotidiano ideologizzante di notizie su un processo di pace privo dei
contenuti di giustizia e libertà siano tornati a vivere, ma perché la
volontà di un popolo si è definitivamente liberata dai semplici calcoli di
guadagno e di perdita, si è liberata dal pessimismo del pensiero ed ha
liberato l'unico significato della nostra esistenza umana, che è la
libertà.

Il palestinese non ha altra scelta. Di fronte a questo progetto di
sterminio politico portato avanti dall'occupazione israeliana, forte delle
risorse americane, egli ha scelto il progetto di resistenza, di
sopportazione, qualunque sia il costo. Ha le spalle al muro, sì, ma i suoi
occhi sono puntati sulla speranza, la speranza che si irradia da una forza
d'animo che confonde i più.

Viene da chiedersi: qualcuno dei potenti, seduti li in alto si è soffermato
sulle cause di tutto ciò? Ha riflettuto? Le piazze, la gente hanno smesso
di porsi questa domanda. In realtà il vero quesito è un altro: c'è qualcuno
che ancora possa credere che in questa area vi è un popolo superfluo, il
popolo palestinese? Questo perché la stessa domanda di liberazione e di
libertà viene oggi posta a tutti dal sangue palestinese. Una domanda forse
eccessiva per un mondo che dovrebbe essere diviso semplicemente tra chi
subisce la schiavitù e chi l'accetta di buon grado.

La guerra israeliana totale, contro il territorio palestinese, contro
l'anima palestinese, ha spalancato le porte a tutte le domande possibili
sui rapporti tra arabi e israeliani, tra arabi e americani. Israele invece
sostiene che la sua guerra è un conflitto per la sopravvivenza e che la
guerra per la fondazione di Israele non è ancora finita. Quando finirà? Ciò
non significa soltanto che l'obiettivo di eliminare il Movimento Nazionale
Palestinese non è mai uscito dalla loro agenda pur nel contesto del
processo di pace e che la sopravvivenza stessa palestinese è minacciata.

Tutto questo ci porta all'inizio del conflitto, alla riflessione, a volte
sarcastica, su tutto quello che abbiamo fatto in questi anni e che ha
cambiato la nostra concezione della natura del conflitto.

Israele dichiara così guerra anche all'idea stessa di pace. Che cosa
minaccia la sua esistenza per difendersi con questa violenza? Che cosa
minaccia realmente Israele? E' la guerra mai dichiarata dagli arabi o
piuttosto la pace offerta dagli stessi arabi?

La menzogna è necessaria per unire la società israeliana intorno alle sue
mitologie, è necessaria per deformare la concezione di un conflitto tra una
occupazione che sta per finire ed una resistenza che quasi sta per vincere.
Ma se l'occupazione è la condizione base, il cuore della esistenza
israeliana, allora ci troviamo davanti ad un nodo che non si può
sciogliere.

Noi, come palestinesi, siamo interessati a difendere la nostra esistenza
nazionale ed umana, di difendere i confini di questa esistenza... Abbiamo
le spalle al muro, sì, ma non abbiamo scampo, non abbiamo scampo, dobbiamo
difenderci.

Poeta palestinese (traduzione di Samir Al-Qaryouti)

 

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