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Giro88
Movimento
Sudan: Lettera di Padre Kizito
agli amici
Amani a II, n. 1 aprile
2002
Nairobi, 20 marzo 2002
Cari Amici,
Mancano ormai pochi giorni a Pasqua. Domani vado
sui monti Nuba, e vorrei riuscire a mandarvi qualche
notizia prima di partire.
Non so da dove incominciare, perché le
cose che sono successe dall'ultima mia lettera
sono tante. A Koinonia, Kivuli ed alla Casa di
Anita da metà dicembre ad oggi abbiamo
poi avuto tanti amici che ci hanno visitato e
fatto dono di un po' del loro tempo che sarebbe
veramente difficile elencarli tutti... Allegra
invasione. In Zambia, a Lusaka, il progetto Mthunzi
continua a crescere. Ormai abbiamo oltre sessanta
ex-bambini di strada che stanno con noi, senza
contare quelli che seguiamo ed aiutiamo e che
stanno con la famiglia. Per fortuna la Koinonia
dello Zambia ha grandi spazi così che abbiamo
potuto subire quest'allegra invasione senza troppi
traumi. Io sono stato a Lusaka subito dopo Natale
e mi sono trovato di fatto costretto a restare
quasi tutto il tempo insieme ai bambini, perché,
a causa delle elezioni presidenziali, si temeva
violenza nelle strade. La violenza fortunatamente
non c'é stata: il nuovo presidente, seppur
contestato, ha preso il potere mentre noi abbiamo
terminato il 2001 e iniziato il 2002 con i canti,
le danze, il teatro fatto dai bambini e una messa
sotto i grandi manghi appena fuori casa. Scoppia
la pace!
In gennaio sono andato sui Monti Nuba.
Mi hanno accompagnato Don Donato e Luca del Movimento
Shalom, che ha diversi gruppi sparsi per la Toscana,
e Jens e Christoph, due giovanissimi (19 e 21
anni) volontari tedeschi che sono a Kivuli per
un anno. Per me, certamente anche a causa degli
anni che passano, é stato il viaggio più
faticoso. Per ragioni di sicurezza siamo atterrati
molto lontani da dove abbiamo il nostro progetto
scolastico, arrivando dal Kenya alle tre del pomeriggio
del 15 gennaio. Ci siamo messi in moto alle quattro
ed abbiamo camminato fino a mezzanotte: le ultime
ore nell'oscurità quasi totale, perché
non c'era la luna e non potevamo usare le torce
essendo il nostro percorso molto vicino ad una
guarnigione governativa. Esausti, ci siamo buttati
su un pagliericcio senza neanche la forza di preparare
qualcosa da mangiare. Alle sette del mattino dopo,
col sorgere del sole, ci siamo messi di nuovo
in marcia. Abbiamo camminato sotto un sole impietoso,
con qualche sosta per mangiare dei biscotti e
riprendere fiato, fino alle sette di sera, quando
finalmente siamo arrivati in una zona che conoscevo,
la capanna di Musa Arat a Kujur Shabia. Quella
sera abbiamo fatto un pasto decente (riso e fagioli)
e sono andato a dormire con la certezza che ormai
eravamo a solo sei ore di cammino dalla meta.
Inoltre il mattino successivo, dopo un paio d'ore
di cammino, ormai in pianura, abbiamo avuto la
bella sorpresa di un'auto fuoristrada che i nuba
ci hanno messo a disposizione per completare il
tragitto. Abbiamo trovato il Koinonia Centre delle
Montagne Nuba in piena attività. La scuola
con oltre 500 bambini, che vengono anche da due
ore di cammino di distanza, era in piena funzione
e la gente era impegnata a costruire una nuova
scuola, un istituto per maestri, come avevamo
promesso alla comunità nuba che ci aveva
chiesto di aiutarli a migliorare il livello dell'insegnamento
in tutte le scuole. I nuba ci hanno assegnato
un'area molto vasta, e la costruzione di quello
che, in onore di Yusuf Kuwa abbiamo deciso di
chiamare Yusuf Kuwa Teachers Training Institute,
era già a buon punto. In questa scuola
abbiamo avviato dei corsi di due anni per formare
maestri di scuole elementari. É un progetto
impegnativo come risorse e come personale. Tutto
il nostro personale, il responsabile del progetto
e i maestri qualificati per questo lavoro, é
africano: sudanese, keniano e ugandese. La gente
del luogo ha lodato incessantemente il lavoro
dei nostri, ma la cosa più bella che abbiamo
sentito, il 19 gennaio, é stato l'annuncio
che lo SPLA dei Monti Nuba e il governo avevano
firmato un cessate il fuoco. Eravamo tutti radunati
per guardare i festeggiamenti organizzati nella
piazza di Kerker, quando un ufficiale ha letto
il messaggio radio appena arrivato. C'é
stata esultanza. Ho capito perché in un
salmo si dice che quando Israele é stato
liberato dalla schiavitù "le montagne
saltavano di gioia". Per noi, poveri camminatori
terrorizzati all'idea di dover fare a ritroso
il cammino di pochi giorni prima, la gioia é
stata ancora più grande, perché
il cessate il fuoco voleva dire che l'aereo per
tornare in Kenya avrebbe potuto atterrare su una
pista molto più vicina a Kerker, che solo
pochi giorni prima era sotto il tiro dei cannoni
dell'esercito di Khartoum. Il cessate il fuoco
comprende la creazione di zone smilitarizzate,
il movimento libero dei civili fra le zone controllate
dalle due parti in lotta, e accesso sicuro per
gli aiuti umanitari. Un sogno che ho condiviso
con tanti amici e che si é finalmente realizzato.
Probabilmente non tanto per il nostro lavoro,
i nostri appelli, le nostre paure, ma perché
gli americani si sono accorti che in questo angolo
di mondo é meglio la pace piuttosto che
la guerra che loro stessi hanno sostenuto negli
ultimi anni. L'11 settembre ha fatto capire a
qualcuno che é meglio seminare comprensione
e quaderni piuttosto che odio e mine antiuomo?
Quali che siano le ragioni, nei prossimi mesi
i nostri studenti nuba potranno venire alla pista
e prendere i loro libri, quaderni, zappe, sementi
e medicinali senza più dover temere di
essere bombardati, come é successo due
volte lo scorso anno. Domani quindi tornero' fra
i miei amici nuba, per la prima volta in piena
sicurezza. Per radio mi hanno detto che il centro
per i maestri é ormai completato (non immaginatevi
niente di spettacolare: le solite costruzioni
coi muri in pietre a secco, tetti di legno e erba
secca) e lunedì prossimo, 25 marzo, faremo
l'inaugurazione ufficiale.
Intanto a Nairobi...
I progetti della Casa di Anita e di Kivuli continuano
a crescere. Alla Casa di Anita da settimana scorsa
c'é un bel pollaio con seicento pulcini
che fra sei mesi saranno galline ovaiole in produzione,
e ci sono anche sei arnie con volonterose api
che presto inizieranno a produrre miele per le
nostre bambine.
A Kivuli sono arrivati sette container mandati
dall'ANA (Associazione Nazionale Alpini) con cibo,
cancelleria e giocattoli per i bambini dell'Africa.
Abbiamo distribuito quasi tutto, mandato circa
trenta tonnellate in Sudan - dieci nel sud, appena
dentro il confine col Kenya e venti sulle Montagne
Nuba. Abbiamo ancora tanta cancelleria e giocattoli
che stiamo distribuendo alle scuole più
povere di Nairobi. Cinque container, con un basamento
una tettoia e un impianto elettrico, sono stati
trasformati in un'ampia zona di lavoro dove trasferiremo
tutte le varie attività produttive che
sono nate a Kivuli e che si stanno ingrandendo:
soprattutto la cooperativa delle sarte e la produzione
di palloni di calcio - forse sta andando in porto
un contratto con un'associazione italiana per
1.500 palloni - oltre naturalmente alla produzione
di batik, tamburi, sculture. A dare un forte incoraggiamento
in questo senso é stata anche una visita
di David Cambioli, di Commercio Alternativo di
Ferrara, che importa in Italia molte cose per
i negozi del commercio equo e solidale. Immaginate
tutti i volti di bambine e bambini, ragazzi e
ragazze, che in queste case e queste attività
trovano serenità, gioia e anche l'occasione
di imparare un lavoro e guadagnarsi onestamente
la vita.
Una casa per la pace.
A Nairobi comunque in questi mesi l'impegno principale
di Koinonia é stato l'avvio della Shalom
House. Questo é il "grande progetto"
a cui accennava Micheal nella presentazione delle
attività di Koinonia che avete ricevuto
con la precedente Amani. La Shalom House é
stata finanziata dalla associazione La Goccia
di Senago (Milano), ed é stata pensata
come una casa dove si svolgeranno attività
per la pace e vi risiederanno anche degli studenti.
La casa é una grossa struttura su tre piani
con al piano terra un salone per incontri, uffici
e.... una pizzeria. Al secondo piano c'é
un centro di documentazione sulla pace, altri
uffici e alcune stanze, e al terzo piano solo
stanze, dodici. Ha quindi la funzione di centro
per la pace e residenza. Qui vengono anche ospitate
i gruppi dei Safari dell'Incontro che vi ho presentato
nell'ultima Amani.
Shalom é diventata abitabile ai primi di
gennaio, ma già il 2 febbraio partiva un
corso di formazione alla pace per quaranta giovani,
rappresentanti di parrocchie e associazioni. C'é
un gruppo di insegnanti ben preparati che fanno
lezioni su educazione alla pace, come comunicare
i valori della pace anche coi mass media: analizzano
le cause dei conflitti in Africa e propongono
delle linee di soluzione. La partecipazione é
ottima. Dopo sei mesi di corso - tutti i sabati
sei ore piene di insegnamento - i partecipanti
verranno divisi in gruppi e a ciascun gruppo verrà
chiesto di avviare un piccolo progetto che favorisca
il superamento dei conflitti e promuova pace e
riconciliazione nel proprio quartiere. Settimana
scorsa abbiamo avuto anche il primo gruppo di
"cavie" dei Safari dell'Incontro. Fra
di loro c'era anche il signor Eliseo Rusconi,
titolare della Rusconi Viaggi di Lecco. Vi riporto
qui sotto un suo commento. Il signor Rusconi é
disponibile anche a darsi da fare per trovare
sconti sul volo Italia-Nairobi-Italia, anche per
chi volesse venire individualmente o comunque
senza partecipare al safari organizzato. Quindi
suggerisco a chi avesse in programma di venirci
a visitare di chiedere sempre al signor Rusconi
che prezzo vi può fare per il biglietto
aereo: molto probabilmente sarà più
basso di quanto le normali agenzie viaggi vi possono
proporre. Potete contattarlo allo 0341.363077.
Non mi resta che farvi gli auguri, anche se vi
arriveranno un po' in ritardo, di buona Pasqua.
La resurrezione é possibile!
Un abbraccio.
Padre Kizito
PS: ho finito di scrivere questa lettera alle
sei di sera, e prima di rileggerla per le ultime
correzioni ho fatto un giro nel grande cortile
di Kivuli. É l'ora magica: gli ultimi bambini
rientrano da scuola, i pesisti fanno i loro esercizi
all'aperto, nel salone ci sono quelli che si allenano
alla boxe, sulle scale esterne gli acrobati si
stanno esercitando ad andare su e giù camminando
con le mani, il gruppo della danze si sta scatenando
al suono dei tamburi, gli artisti sono concentrati
sui batik... Non posso fare a meno di notare nel
sottofondo ci siete voi, che ci aiutate a creare
quest'oasi di operoso riposo all'ombra del grande
albero che é diventato Kivuli. Gli amici
del SERMIG mi hanno mandato quattro computer laptop,
486, marca Compaq, modello Contura410cx. Funzionano
perfettamente, ma le batterie non tengono più
la carica, con l'inconveniente per noi grave che
quando viene a mancare la corrente si perde il
lavoro che non é stato "salvato".
Le batterie nuove costano moltissimo. Se qualcuno
avesse delle batterie per questo modello di computer
e non le usa più potrebbe farcele arrivare
attraverso Amani.
Lettera di Eliseo Rusconi
a Padre Kizito (n.d.r.).
Caro Padre Kizito,
Ieri sera siamo rientrati regolarmente in Italia
e sento di doverle esprimere il mio più
sentito grazie per tutto quello che ha fatto per
la miglior riuscita del nostro viaggio. Grazie
per i molteplici incontri che ci hanno permesso
di meglio conoscere le realtà di questo
paese e della sua gente. Grazie per la calorosa
accoglienza dei suoi ragazzi e delle sue bambine.
I loro volti, i loro canti, i loro balli, la loro
gioia di vivere nonostante tutto, rimarranno un
ricordo indelebile nella mia memoria e nel mio
cuore. Grazie per tutto quello che fa per loro.
Grazie per la semplicità e l'amicizia con
cui siamo stati accolti. Grazie per le attenzioni
piccole e grandi che ci avete voluto riservare.
Grazie ai suoi collaboratori George, Fred e Anna
per la disponibilità, la pazienza, la cordialità
che ci hanno dimostrato. Insomma grazie di vero
cuore di tutto. É stata per me una splendida
esperienza umana e sono convinto che lo sia stato
anche per tutti gli altri partecipanti. Mi auguro
che l'iniziativa possa essere apprezzata e capita
da altri che, spero, seguiranno. Eliseo Rusconi
Nairobi, l'inferno dei bimbi.
Nairobi, l'inferno degli orfani. L'Africa abbandona
i suoi figli. Storia di Charles: raccoglie vuoti,
sniffa colla, dorme per strada.
di Pietro Veronese
Pietro Veronese ha scritto
questo articolo a Kivuli, dove è stato
ospite per qualche giorno durante il mese di gennaio,
dopo aver realizzato alcune interviste ai bambini
ospiti del Centro. Questo articolo è stato
integralmente pubblicato sul quotidiano «la
Repubblica» del 28 gennaio 2002: la pubblicazione
su «Amani» è stata possibile
grazie all'esplicito permesso dell'autore (n.d.r.).
NAIROBI - Queste sono le storie di Charles, Samuel
e Simon, in ordine alfabetico e anche crescente
di età (14,15,16). Bambini di strada di
Nairobi, Kenya, minuscolo campione di una schiera
che conta decine di migliaia di individui e s'accresce
ogni giorno. Il loro racconto assomiglia alle
favole della nostra infanzia: la perdita della
casa, la notte spaventosa, il lume che brilla
nel buio, il terrore, la solitudine, la fame.
Ma non è la fiaba che ci rassicurava al
caldo delle coperte: è vita vissuta da
un'intera leva di piccoli africani, una cicatrice
esistenziale lasciata dall'Aids che sta decimando
la generazione dei padri, dall'economia che declina
inarrestabile, dalla perdita del lavoro, dalla
scomparsa del villaggio, della famiglia, della
comunità alla quale nulla si sostituisce.
Parla Charles, voce bassa, sguardo basso, una
balbuzie timida. "A casa mia non c'era da
mangiare, così incominciai ad andarmene
per strada. Avevo 11 anni. Andavo al mercato,
cercavo nei secchi: un mango, un cavolo. Me li
mangiavo. Mi unii ad altri bambini, eravamo una
decina. Vedevo gli altri sniffare la colla e presto
mi fecero provare. Mi sentii bene: dai un gran
respiro e poi ti senti bene. Vedi il mondo che
gira [un altro bambino ha detto: "Senza colla
hai freddo, hai fame, pensi troppo"]. Poi,
quando nella testa l'effetto della colla finisce,
vai al mercato a cercare qualcosa da mangiare.
Per comprare la colla vendevo ossa. Ossa che trovavo
nei rifiuti e che servono per fare mangime oppure
sapone. La colla è cara, costa 5 scellini
la bottiglietta (8 centesimi di euro). Vai da
uno che te la vende, paghi e lui ti riempie la
boccetta".
La strada, la fame, la colla, per letto un foglio
di cartone e per scaldarsi i corpi degli altri
bambini. La storia di Charles è simile
a quella di migliaia di altri. Decine di migliaia.
Quanti sono in tutto il Kenya nessuno lo sa. Chi
dice sessantamila nella sola capitale; chi il
doppio o addirittura il triplo. Un gruppo di organizzazioni
umanitarie sta tentando un censimento nazionale
che non sarà finito prima di marzo. Per
accorgersi che sono tanti basta girare il centro
di Nairobi, fermarsi a un semaforo rosso e vedere
la macchina subito circondata da mani tese. Qualcuno
vende cartocci di noccioline sui marciapiedi.
Altri, che non avranno dieci anni, portano sulle
spalle un piccolo di pochi mesi, un fratellino,
e chiedono l'elemosina. A sera, quando gli uffici
si svuotano, i passanti scompaiono, le vie si
fanno buie e pericolose e i guardiani notturni
prendono posizione davanti agli ingressi con le
loro grosse mazze di legno, i bambini di strada
si accoccolano in un androne, gli uni addosso
agli altri, la pancia vuota, le gambe fredde,
i piedi nudi. E la colla nella testa: il loro
modo di comprarsi un sogno.
Nessuno li ha ancora contati tutti, ma molte cose
si sanno con certezza di loro. Per esempio che
il loro numero non cessa di crescere. Spiega Charles
Otieno, un giovane uomo che ha dedicato la sua
vita all'educazione dei bambini di strada: "Il
fenomeno, che prima era circoscritto ai grandi
centri urbani, è ormai nazionale. Gli street
children sono anche nelle cittadine rurali. Aumentano
perché i fattori che li producono lavorano
a pieno ritmo. La società africana tradizionale
si è disintegrata. Dava sicurezza, perché
era la collettività, la comunità,
ad assumersi la responsabilità per gli
individui. I bambini non era soltanto figli dei
loro genitori; erano figli del villaggio. Questo
non esiste più: ciascuno è costretto
a badare a se stesso. Nessuno può più
permettersi di pensare anche agli altri. Tre quarti
degli abitanti di Nairobi vivono nelle baracche,
e le baraccopoli scoppiano, sono ormai troppo
piene. Non c'è casa; non c'è fogne
né salute; non c'è lavoro. Non ci
sono soldi per il mangiare, la scuola, i vestiti.
Se va bene puoi dare ai tuoi figli un pasto al
giorno. La famiglia non regge a queste condizioni
durissime. Un tempo i padri facevano di tutto
per trattenere i figli a casa; adesso sono loro
a spingerli sulla strada, dove hanno più
possibilità di sopravvivere che tra le
pareti domestiche".
"E poi c'è l'Aids", continua
Charles Otieno. "Lo metto al secondo posto,
ma i suoi effetti sono devastanti. Ci sono oggi
in Kenya seicentomila orfani dell'Aids. Seicentomila.
E il loro numero aumenta molto in fretta. Orfani
diversi da quelli di una volta, perché
la malattia non uccide soltanto un genitore. Muore
uno, poi l'altro. Poi i parenti. L'infezione dilaga,
le contrade vengono decimate, le comunità
distrutte. E questi bambini non hanno letteralmente
più nessuno".
Dieci anni fa, il Kenya ignorava cosa fossero
i bambini di strada. Era un fenomeno sudamericano;
l'Africa sapeva provvedere ai suoi piccoli. Se
non c'era un padre o una madre c'era sempre uno
zio, un vicino, un villaggio. A Nairobi c'erano
tutt'al più i parking boys, che aiutavano
gli automobilisti a trovare un parcheggio in cambio
di una mancia. E poi, in pochi anni, in un arco
di tempo che avrebbe trovato impreparato anche
un governo meno inetto o corrotto di quello kenyano,
hanno dilagato e sono presto diventati legione.
Oggi sono una generazione intera, che cresce senza
educazione, senza norme, senza amore e annuncia
un futuro terrificante.
Le storie di Charles, di Samuel, Simon e delle
loro migliaia di compagni di sventura si assomigliano
tutte ma poi nelle pieghe della narrazione una
frase colpisce e si scolpisce. Samuel per esempio
racconta della morte del padre, della fuga della
madre tornata al villaggio natale in Uganda, di
come uno zio si occupò di lui e di due
sue sorelle finché si sposò, ebbe
a sua volta quattro bambini e scacciò di
casa i nipoti. Allora i tre reietti, guidati da
Samuel quattordicenne, trovarono ospitalità
da un vicino, un "buon samaritano",
che faceva il guardiano notturno e lasciava perciò
vuoto il suo letto di notte. E per mangiare come
facevate? Risposta: "Il mangiare era il solo
problema". Il solo problema! Simon invece,
quando il padre perse il lavoro di autista, si
mise a raccogliere bottiglie di bibite vuote.
In una giornata buona ne trovava una ventina,
che a 3 scellini l'una faceva un totale di 60
(poco meno di un euro). Però quando tornava
a casa la sera il padre lo picchiava, perché
si vergognava di mandare quel figlio per strada.
Ma la storia non è tutta qui. A dire intera
la verità, Charles, Samuel e Simon non
sono più bambini di strada. Sono dei fortunati.
Sono degli ex. Come nelle favole, davvero, la
loro storia ha avuto un lieto fine. Hanno incontrato
qualcuno che si è preso cura di loro. Che
dà loro una casa, cibo, vestiti, che gli
paga la scuola. Hanno smesso di sniffare, hanno
incominciato a studiare. Ricambiano con risultati
meravigliosi: primi nella loro classe, primi dell'intera
scuola (Samuel e Simon). Vogliono diventare dottori
(Charles e Simon) o uomini politici (Samuel).
Non dormono più al freddo, non si cibano
frugando nei mucchi di rifiuti, non vendono i
vuoti delle Fanta e delle Coca-Cola per comprarsi
la colla, non girano più per la città
in bande di cinque o dieci, vestiti di stracci
e con la mano tesa per l'elemosina ai semafori.
Ma i fortunati come loro sono pochi. Molto pochi.
Il gran numero è ancora là fuori,
nel freddo, nella fame, nel buio dove è
impossibile, anche aguzzando gli occhi, intravedere
un futuro. Chi vuole aiutare i bambini di strada
di Nairobi può rivolgersi all'associazione
Amani, scrivendo ad amani@iol.it oppure telefonando
allo 024121011.
Appunti di viaggio.
di Gianni Innocenti
Gianni Innocenti è un nostro amico sceso
a Nairobi per un mese, a gennaio, ospite di Koinonia
(n.d.r.).
Le emozioni vissute durante la mia prima visita
al Kivuli Centre sono state tali e tante da rendere
veramente ardua una traduzione in parole. In ogni
caso, provare a dar forma all'invisibile può
essere cosa utile, necessaria a dar corpo ad un'esperienza
di questo livello. La terra rossa, le strette
di mano, gli occhi dei bambini, i volti di centinaia
di persone... sono immagini che si sono impresse
indelebilmente negli occhi e nel cuore. Ma devo
cercare di accantonarle anche solo per un attimo
se voglio far emergere alcuni pensieri che hanno
segnato le mie giornate a Nairobi, le lezioni
che ho imparato ed i doni che ho ricevuto. Sorvolando
pietosamente su come mi sia ritrovato a far spesso
i conti con un mio moralismo carico di ipocrisia
e di giudizio (che non credevo di avere, perlomeno
a certi livelli), posso tranquillamente dire che
la più grande fortuna che ho avuto è
stata quella di riuscire fin da subito ad abbandonare
un fisiologico ma irrealizzabile desiderio di
onnipotenza, di voler/dover fare qualcosa di importante.
E sono quindi riuscito, potrà sembrare
assurdo, a sentirmi finalmente poco utile, talvolta
addirittura "inutile". Inutile se rapportato
ai criteri di efficientismo che ci si porta sotto
pelle. Il divario tra la loro condizione e la
mia capacità di "aiuto" è
sembrato talvolta abissale; ma paradossalmente
è proprio su questa distanza, apparentemente
incolmabile - e dal relativo crollo delle proprie
pretese - che succede qualcosa: mi sono reso conto
di come questo "azzeramento" sia, oltre
che lezione di umiltà, base di partenza
per un rapporto vero, più genuino, da cui
può veramente nascere qualcosa di buono.
Basta abbandonarsi un po' a questo gioco e ti
accorgi che questa realtà ti penetra direttamente
nell'anima. E ci si ritrova commossi per un niente.
Come quando ho visitato la Casa di Anita: un vero
e proprio colpo al cuore. Quando mai capita di
ricevere una tale accoglienza, festeggiamenti
e tanta gratitudine da bambine per le quali, in
fin dei conti, sei "solo" un perfetto
sconosciuto? Qui il cielo di notte è più
buio; e le stelle più luminose. La semplicità,
la gioia, le indiscutibili difficoltà,
i sorrisi e gli sguardi di questi bambini mi hanno
fatto ancor più appassionare a questa umanità,
che accanto alle proprie sofferenze vuole e riesce
ad amare ancora. E' come se, talvolta, le proprie
vecchie cicatrici percepiscano le ferite altrui,
e tentino di riaprirsi in segno di compassionevole
solidarietà; e le loro ferite diventano
nostre ferite. "...nevica misericordia sul
deserto, s'impara a piangere in silenzio"
dice una poesia. Qui ho ritrovato tutti questi
elementi: c'è neve e deserto, lacrime e
gioia. E tanta voglia di resurrezione.
Matatu
di Padre Kizito
Ci sono situazioni in cui la tentazione di sbottare
con "io l'avevo detto" é veramente
troppo forte. Le recenti rivelazioni sulla schiavitù
in Sudan sono per me una di queste. Da alcuni
anni il CSI (Christian Solidarity International),
organizzazione non denominazionale che ha sede
in Svizzera ed é diretta da un americano,
John Eibner, ha condotto in Sud Sudan, delle spedizioni
lampo per redimere gli schiavi. Il numero di schiavi
riscattati in tali spedizioni é andato
aumentando, da una dozzina in novembre del 1996
fino a qualche migliaio. Questa operazione é
stata duramente criticata dall'UNICEF perché
la schiavitù, dove esiste, deve essere
fermata e basta, senza nessun ritorno economico
per i responsabili, e poi perché pagando
il riscatto degli schiavi si finisce per crearne
un mercato. Ma le spedizioni di redenzione degli
schiavi sono diventate un'attrazione irresistibile
per i mass media. Le foto di centinaia di schiavi
pazientemente seduti ad aspettare il proprio destino
mentre Eibner contratta il prezzo con un mediatore
"arabo" dal volto nascosto dietro il
turbante sono state pubblicate sui giornali di
tutto il mondo. Il CSI ha raccolto, soprattutto
fra i neri americani, evidentemente sensibili
a questo argomento, qualche milione di dollari.
Non solo a me é sempre parso che comperare
degli schiavi, sia pure per dare loro immediatamente
la libertà, fosse sbagliato, ma ero anche
insospettito dalle modalità. Cosi, agli
inizi del 99 scrissi diversi articoli in inglese
sull'argomento. Sostenevo che certamente la schiavitù
in Sudan esiste e che é un fenomeno gravissimo
che deve essere fermato. Ma le persone che ogni
anno vengono messe in schiavitù sono nell'ordine
di poche centinaia. Ciò é gravissimo,
sarebbe gravissimo anche se si trattasse di una
sola persona, ma affermare che sono decine di
migliaia non é vero. Inoltre dicevo che
appunto certe modalità non erano chiare
e che chiunque conosca il Sudan non può
non insospettirsi. Come possono i mediatori muoversi
con centinaia di persone? Il solo riuscire a dar
da mangiare e bere ogni giorno é un problema
difficile. Quindi concludevo che pur non avendo
ragione di dubitare della buona fede del CSI,
ma che qualcuno certamente giocava sporco. Una
pubblicazione americana che mi ha citato é
stata minacciata da Eibner di querela per diffamazione.
Poi alcune personalità di chiesa, anche
cattoliche, sono scese in campo per difendere
tutta l'operazione. Nella primavera del 2000 un
produttore televisivo olandese ha fatto un documentario
sulla redenzione degli schiavi che é andato
in onda in tutto il centro e nord Europa. Io,
che ero stato intervistato e avevo espresso senza
tergiversamenti le mie riserve, vi facevo la parte
dell'opposizione, del missionario folcloristico
che gioca a fare il bastian contrario. Quando
i giornalisti amici sollecitavano il mio parere
sull'argomento, magari mi ascolatavano educatamente,
ma poi finivano col pubblicare gli articoli sul
CSI con grande rilievo. La notizia era troppo
ghiotta, e, nel grande circo dei mass media, tutti
devono entrare in pista insieme. Senza contare
che quasi mi sentivo rimproverare "ma come,
tu vai sui monti Nuba e di schiavi non ne hai
liberato neanche uno?". Allora timidamente
dicevo che Koinonia a Nairobi si prende cura di
due bambini nuba che sono stati schiavi, ma che
in sei anni di ex-schiavi ne ho incontrati meno
di dieci. Questo confermava nell'interlocutore
la convinzione che il vero problema fossi io.
Adesso é ufficiale, lo ha confermato anche
il portavoce SPLA: era tutto un imbroglio. Gli
"schiavi" erano la gente dei villaggi
vicini che venivano più o meno forzati
a recitare. Il misterioso mediatore era un militare
SPLA con la pelle sufficientemente chiara da poter
essere fatto passare per arabo. I pezzi grossi
locali si spartivano il profitto della messa in
scena. Che tristezza. É una soddisfazione
molto amara poter dire "avevo ragione io".
Restano delle domande che rischiano di avere risposte
ancora più amare: come mai alcuni uomini
di chiesa hanno sostenuto a spada tratta la bontà
di questa operazione? Come mai nessun giornalista
ha fatto una seria ricerca prima di pubblicizzare
la cosa ed ha contribuito ad ingannare i donatori?
Come mai lo stesso CSI non ha fatto controlli
severi, forse perché nello show dell'assistenza
umanitaria la nicchia di liberatori di schiavi
che si era trovata faceva molto comodo per l'immagine
e la raccolta fondi? E quegli schiavi finti? Anzi,
erano schiavi veri. Schiavi di un mondo tutto
falso, in cui i liberatori sono oppressori, l'assistenza
umanitaria un inganno e la solidarietà
un business. Adesso la responsabilità di
andare verso di loro con parole vere é
ancora più grande.
Forse non tutti sanno che:
Incontri di Padre Kizito a Maggio.
Chi fosse interessato a partecipare agli incontri
di Padre Kizito previsti in Italia a maggio può
contattarci per avere ulteriori dettagli (luogo,
ora, ecc.), consultare il sito web di Amani o
iscriversi ad "Amaninews", un servizio
che permette agli iscritti un continuo aggiornamento
sulle iniziative di Amani e di conseguenza anche
sugli incontri di Padre Kizito. Qui sotto troverete
tutte le istruzioni per l'iscrizione.
Amaninews.
Da fine ottobre è attiva per via mail un
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chiamato "Amaninews", che permette agli
iscritti di essere aggiornati sulle iniziative
dell'Associazione Amani Onlus, ricevere i comunicati
stampa della stessa associazione e avere, tramite
mail, una copia di questo giornale. L'iscrizione
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della nostra Associazione e per mantenere vivi
i contatti tra di noi.
Le offerte ad Amani sono deducibili.
I benefici fiscali per erogazioni a favore di
Amani possono essere conseguiti con due possibilità
alternative: 1. Deducibilità ai sensi del
DPR 917/86 a favore di ONG per donazioni destinate
a Paesi in via di sviluppo. Deduzione nella misura
massima del 2% del reddito imponibile sia per
le imprese che per le persone fisiche. 2. Oneri
deducibili ai sensi del DL 460/97 per erogazioni
liberali a favore di ONLUS. Per le imprese per
un importo massimo di euro 2.065,83 o del 2% del
reddito di impresa dichiarato. Per le persone
fisiche detraibile nella misura del 19% per un
importo complessivo non superiore a euro 2.065,83.
Ai fini della dichiarazione fiscale è necessario
conservare: per i versamenti con bollettino postale:
ricevuta di versamento; per i bonifici o assegni
bancari: estratto conto della banca ed eventuali
note contabili. Ricordiamo inoltre di segnare
sempre la causale del versamento e l'indirizzo
completo del donatore.
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