segnali dalle città invisibili
 

Giro88 Movimento
Sudan: Lettera di Padre Kizito agli amici
Amani a II, n. 1 aprile 2002

Nairobi, 20 marzo 2002
Cari Amici,
Mancano ormai pochi giorni a Pasqua. Domani vado sui monti Nuba, e vorrei riuscire a mandarvi qualche notizia prima di partire.
Non so da dove incominciare, perché le cose che sono successe dall'ultima mia lettera sono tante. A Koinonia, Kivuli ed alla Casa di Anita da metà dicembre ad oggi abbiamo poi avuto tanti amici che ci hanno visitato e fatto dono di un po' del loro tempo che sarebbe veramente difficile elencarli tutti... Allegra invasione. In Zambia, a Lusaka, il progetto Mthunzi continua a crescere. Ormai abbiamo oltre sessanta ex-bambini di strada che stanno con noi, senza contare quelli che seguiamo ed aiutiamo e che stanno con la famiglia. Per fortuna la Koinonia dello Zambia ha grandi spazi così che abbiamo potuto subire quest'allegra invasione senza troppi traumi. Io sono stato a Lusaka subito dopo Natale e mi sono trovato di fatto costretto a restare quasi tutto il tempo insieme ai bambini, perché, a causa delle elezioni presidenziali, si temeva violenza nelle strade. La violenza fortunatamente non c'é stata: il nuovo presidente, seppur contestato, ha preso il potere mentre noi abbiamo terminato il 2001 e iniziato il 2002 con i canti, le danze, il teatro fatto dai bambini e una messa sotto i grandi manghi appena fuori casa. Scoppia la pace!
In gennaio sono andato sui Monti Nuba.
Mi hanno accompagnato Don Donato e Luca del Movimento Shalom, che ha diversi gruppi sparsi per la Toscana, e Jens e Christoph, due giovanissimi (19 e 21 anni) volontari tedeschi che sono a Kivuli per un anno. Per me, certamente anche a causa degli anni che passano, é stato il viaggio più faticoso. Per ragioni di sicurezza siamo atterrati molto lontani da dove abbiamo il nostro progetto scolastico, arrivando dal Kenya alle tre del pomeriggio del 15 gennaio. Ci siamo messi in moto alle quattro ed abbiamo camminato fino a mezzanotte: le ultime ore nell'oscurità quasi totale, perché non c'era la luna e non potevamo usare le torce essendo il nostro percorso molto vicino ad una guarnigione governativa. Esausti, ci siamo buttati su un pagliericcio senza neanche la forza di preparare qualcosa da mangiare. Alle sette del mattino dopo, col sorgere del sole, ci siamo messi di nuovo in marcia. Abbiamo camminato sotto un sole impietoso, con qualche sosta per mangiare dei biscotti e riprendere fiato, fino alle sette di sera, quando finalmente siamo arrivati in una zona che conoscevo, la capanna di Musa Arat a Kujur Shabia. Quella sera abbiamo fatto un pasto decente (riso e fagioli) e sono andato a dormire con la certezza che ormai eravamo a solo sei ore di cammino dalla meta. Inoltre il mattino successivo, dopo un paio d'ore di cammino, ormai in pianura, abbiamo avuto la bella sorpresa di un'auto fuoristrada che i nuba ci hanno messo a disposizione per completare il tragitto. Abbiamo trovato il Koinonia Centre delle Montagne Nuba in piena attività. La scuola con oltre 500 bambini, che vengono anche da due ore di cammino di distanza, era in piena funzione e la gente era impegnata a costruire una nuova scuola, un istituto per maestri, come avevamo promesso alla comunità nuba che ci aveva chiesto di aiutarli a migliorare il livello dell'insegnamento in tutte le scuole. I nuba ci hanno assegnato un'area molto vasta, e la costruzione di quello che, in onore di Yusuf Kuwa abbiamo deciso di chiamare Yusuf Kuwa Teachers Training Institute, era già a buon punto. In questa scuola abbiamo avviato dei corsi di due anni per formare maestri di scuole elementari. É un progetto impegnativo come risorse e come personale. Tutto il nostro personale, il responsabile del progetto e i maestri qualificati per questo lavoro, é africano: sudanese, keniano e ugandese. La gente del luogo ha lodato incessantemente il lavoro dei nostri, ma la cosa più bella che abbiamo sentito, il 19 gennaio, é stato l'annuncio che lo SPLA dei Monti Nuba e il governo avevano firmato un cessate il fuoco. Eravamo tutti radunati per guardare i festeggiamenti organizzati nella piazza di Kerker, quando un ufficiale ha letto il messaggio radio appena arrivato. C'é stata esultanza. Ho capito perché in un salmo si dice che quando Israele é stato liberato dalla schiavitù "le montagne saltavano di gioia". Per noi, poveri camminatori terrorizzati all'idea di dover fare a ritroso il cammino di pochi giorni prima, la gioia é stata ancora più grande, perché il cessate il fuoco voleva dire che l'aereo per tornare in Kenya avrebbe potuto atterrare su una pista molto più vicina a Kerker, che solo pochi giorni prima era sotto il tiro dei cannoni dell'esercito di Khartoum. Il cessate il fuoco comprende la creazione di zone smilitarizzate, il movimento libero dei civili fra le zone controllate dalle due parti in lotta, e accesso sicuro per gli aiuti umanitari. Un sogno che ho condiviso con tanti amici e che si é finalmente realizzato. Probabilmente non tanto per il nostro lavoro, i nostri appelli, le nostre paure, ma perché gli americani si sono accorti che in questo angolo di mondo é meglio la pace piuttosto che la guerra che loro stessi hanno sostenuto negli ultimi anni. L'11 settembre ha fatto capire a qualcuno che é meglio seminare comprensione e quaderni piuttosto che odio e mine antiuomo? Quali che siano le ragioni, nei prossimi mesi i nostri studenti nuba potranno venire alla pista e prendere i loro libri, quaderni, zappe, sementi e medicinali senza più dover temere di essere bombardati, come é successo due volte lo scorso anno. Domani quindi tornero' fra i miei amici nuba, per la prima volta in piena sicurezza. Per radio mi hanno detto che il centro per i maestri é ormai completato (non immaginatevi niente di spettacolare: le solite costruzioni coi muri in pietre a secco, tetti di legno e erba
secca) e lunedì prossimo, 25 marzo, faremo l'inaugurazione ufficiale.
Intanto a Nairobi...
I progetti della Casa di Anita e di Kivuli continuano a crescere. Alla Casa di Anita da settimana scorsa c'é un bel pollaio con seicento pulcini che fra sei mesi saranno galline ovaiole in produzione, e ci sono anche sei arnie con volonterose api che presto inizieranno a produrre miele per le nostre bambine.
A Kivuli sono arrivati sette container mandati dall'ANA (Associazione Nazionale Alpini) con cibo, cancelleria e giocattoli per i bambini dell'Africa. Abbiamo distribuito quasi tutto, mandato circa trenta tonnellate in Sudan - dieci nel sud, appena dentro il confine col Kenya e venti sulle Montagne Nuba. Abbiamo ancora tanta cancelleria e giocattoli che stiamo distribuendo alle scuole più povere di Nairobi. Cinque container, con un basamento una tettoia e un impianto elettrico, sono stati trasformati in un'ampia zona di lavoro dove trasferiremo tutte le varie attività produttive che sono nate a Kivuli e che si stanno ingrandendo: soprattutto la cooperativa delle sarte e la produzione di palloni di calcio - forse sta andando in porto un contratto con un'associazione italiana per 1.500 palloni - oltre naturalmente alla produzione di batik, tamburi, sculture. A dare un forte incoraggiamento in questo senso é stata anche una visita di David Cambioli, di Commercio Alternativo di Ferrara, che importa in Italia molte cose per i negozi del commercio equo e solidale. Immaginate tutti i volti di bambine e bambini, ragazzi e ragazze, che in queste case e queste attività trovano serenità, gioia e anche l'occasione di imparare un lavoro e guadagnarsi onestamente la vita.
Una casa per la pace.
A Nairobi comunque in questi mesi l'impegno principale di Koinonia é stato l'avvio della Shalom House. Questo é il "grande progetto" a cui accennava Micheal nella presentazione delle attività di Koinonia che avete ricevuto con la precedente Amani. La Shalom House é stata finanziata dalla associazione La Goccia di Senago (Milano), ed é stata pensata come una casa dove si svolgeranno attività per la pace e vi risiederanno anche degli studenti. La casa é una grossa struttura su tre piani con al piano terra un salone per incontri, uffici e.... una pizzeria. Al secondo piano c'é un centro di documentazione sulla pace, altri uffici e alcune stanze, e al terzo piano solo stanze, dodici. Ha quindi la funzione di centro per la pace e residenza. Qui vengono anche ospitate i gruppi dei Safari dell'Incontro che vi ho presentato nell'ultima Amani.
Shalom é diventata abitabile ai primi di gennaio, ma già il 2 febbraio partiva un corso di formazione alla pace per quaranta giovani, rappresentanti di parrocchie e associazioni. C'é un gruppo di insegnanti ben preparati che fanno lezioni su educazione alla pace, come comunicare i valori della pace anche coi mass media: analizzano le cause dei conflitti in Africa e propongono delle linee di soluzione. La partecipazione é ottima. Dopo sei mesi di corso - tutti i sabati sei ore piene di insegnamento - i partecipanti verranno divisi in gruppi e a ciascun gruppo verrà chiesto di avviare un piccolo progetto che favorisca il superamento dei conflitti e promuova pace e riconciliazione nel proprio quartiere. Settimana scorsa abbiamo avuto anche il primo gruppo di "cavie" dei Safari dell'Incontro. Fra di loro c'era anche il signor Eliseo Rusconi, titolare della Rusconi Viaggi di Lecco. Vi riporto qui sotto un suo commento. Il signor Rusconi é disponibile anche a darsi da fare per trovare sconti sul volo Italia-Nairobi-Italia, anche per chi volesse venire individualmente o comunque senza partecipare al safari organizzato. Quindi suggerisco a chi avesse in programma di venirci a visitare di chiedere sempre al signor Rusconi che prezzo vi può fare per il biglietto aereo: molto probabilmente sarà più basso di quanto le normali agenzie viaggi vi possono proporre. Potete contattarlo allo 0341.363077. Non mi resta che farvi gli auguri, anche se vi arriveranno un po' in ritardo, di buona Pasqua. La resurrezione é possibile!
Un abbraccio.
Padre Kizito
PS: ho finito di scrivere questa lettera alle sei di sera, e prima di rileggerla per le ultime correzioni ho fatto un giro nel grande cortile di Kivuli. É l'ora magica: gli ultimi bambini rientrano da scuola, i pesisti fanno i loro esercizi all'aperto, nel salone ci sono quelli che si allenano alla boxe, sulle scale esterne gli acrobati si stanno esercitando ad andare su e giù camminando con le mani, il gruppo della danze si sta scatenando al suono dei tamburi, gli artisti sono concentrati sui batik... Non posso fare a meno di notare nel sottofondo ci siete voi, che ci aiutate a creare quest'oasi di operoso riposo all'ombra del grande albero che é diventato Kivuli. Gli amici del SERMIG mi hanno mandato quattro computer laptop, 486, marca Compaq, modello Contura410cx. Funzionano perfettamente, ma le batterie non tengono più la carica, con l'inconveniente per noi grave che quando viene a mancare la corrente si perde il lavoro che non é stato "salvato". Le batterie nuove costano moltissimo. Se qualcuno avesse delle batterie per questo modello di computer e non le usa più potrebbe farcele arrivare attraverso Amani.

Lettera di Eliseo Rusconi a Padre Kizito (n.d.r.).

Caro Padre Kizito,
Ieri sera siamo rientrati regolarmente in Italia e sento di doverle esprimere il mio più sentito grazie per tutto quello che ha fatto per la miglior riuscita del nostro viaggio. Grazie per i molteplici incontri che ci hanno permesso di meglio conoscere le realtà di questo paese e della sua gente. Grazie per la calorosa accoglienza dei suoi ragazzi e delle sue bambine. I loro volti, i loro canti, i loro balli, la loro gioia di vivere nonostante tutto, rimarranno un ricordo indelebile nella mia memoria e nel mio cuore. Grazie per tutto quello che fa per loro. Grazie per la semplicità e l'amicizia con cui siamo stati accolti. Grazie per le attenzioni piccole e grandi che ci avete voluto riservare. Grazie ai suoi collaboratori George, Fred e Anna per la disponibilità, la pazienza, la cordialità che ci hanno dimostrato. Insomma grazie di vero cuore di tutto. É stata per me una splendida esperienza umana e sono convinto che lo sia stato anche per tutti gli altri partecipanti. Mi auguro che l'iniziativa possa essere apprezzata e capita da altri che, spero, seguiranno. Eliseo Rusconi

Nairobi, l'inferno dei bimbi.
Nairobi, l'inferno degli orfani. L'Africa abbandona i suoi figli. Storia di Charles: raccoglie vuoti, sniffa colla, dorme per strada.
di Pietro Veronese

Pietro Veronese ha scritto questo articolo a Kivuli, dove è stato ospite per qualche giorno durante il mese di gennaio, dopo aver realizzato alcune interviste ai bambini ospiti del Centro. Questo articolo è stato integralmente pubblicato sul quotidiano «la Repubblica» del 28 gennaio 2002: la pubblicazione su «Amani» è stata possibile grazie all'esplicito permesso dell'autore (n.d.r.).
NAIROBI - Queste sono le storie di Charles, Samuel e Simon, in ordine alfabetico e anche crescente di età (14,15,16). Bambini di strada di Nairobi, Kenya, minuscolo campione di una schiera che conta decine di migliaia di individui e s'accresce ogni giorno. Il loro racconto assomiglia alle favole della nostra infanzia: la perdita della casa, la notte spaventosa, il lume che brilla nel buio, il terrore, la solitudine, la fame. Ma non è la fiaba che ci rassicurava al caldo delle coperte: è vita vissuta da un'intera leva di piccoli africani, una cicatrice esistenziale lasciata dall'Aids che sta decimando la generazione dei padri, dall'economia che declina inarrestabile, dalla perdita del lavoro, dalla scomparsa del villaggio, della famiglia, della comunità alla quale nulla si sostituisce.
Parla Charles, voce bassa, sguardo basso, una balbuzie timida. "A casa mia non c'era da mangiare, così incominciai ad andarmene per strada. Avevo 11 anni. Andavo al mercato, cercavo nei secchi: un mango, un cavolo. Me li mangiavo. Mi unii ad altri bambini, eravamo una decina. Vedevo gli altri sniffare la colla e presto mi fecero provare. Mi sentii bene: dai un gran respiro e poi ti senti bene. Vedi il mondo che gira [un altro bambino ha detto: "Senza colla hai freddo, hai fame, pensi troppo"]. Poi, quando nella testa l'effetto della colla finisce, vai al mercato a cercare qualcosa da mangiare. Per comprare la colla vendevo ossa. Ossa che trovavo nei rifiuti e che servono per fare mangime oppure sapone. La colla è cara, costa 5 scellini la bottiglietta (8 centesimi di euro). Vai da uno che te la vende, paghi e lui ti riempie la boccetta".
La strada, la fame, la colla, per letto un foglio di cartone e per scaldarsi i corpi degli altri bambini. La storia di Charles è simile a quella di migliaia di altri. Decine di migliaia. Quanti sono in tutto il Kenya nessuno lo sa. Chi dice sessantamila nella sola capitale; chi il doppio o addirittura il triplo. Un gruppo di organizzazioni umanitarie sta tentando un censimento nazionale che non sarà finito prima di marzo. Per accorgersi che sono tanti basta girare il centro di Nairobi, fermarsi a un semaforo rosso e vedere la macchina subito circondata da mani tese. Qualcuno vende cartocci di noccioline sui marciapiedi. Altri, che non avranno dieci anni, portano sulle spalle un piccolo di pochi mesi, un fratellino, e chiedono l'elemosina. A sera, quando gli uffici si svuotano, i passanti scompaiono, le vie si fanno buie e pericolose e i guardiani notturni prendono posizione davanti agli ingressi con le loro grosse mazze di legno, i bambini di strada si accoccolano in un androne, gli uni addosso agli altri, la pancia vuota, le gambe fredde, i piedi nudi. E la colla nella testa: il loro modo di comprarsi un sogno.
Nessuno li ha ancora contati tutti, ma molte cose si sanno con certezza di loro. Per esempio che il loro numero non cessa di crescere. Spiega Charles Otieno, un giovane uomo che ha dedicato la sua vita all'educazione dei bambini di strada: "Il fenomeno, che prima era circoscritto ai grandi centri urbani, è ormai nazionale. Gli street children sono anche nelle cittadine rurali. Aumentano perché i fattori che li producono lavorano a pieno ritmo. La società africana tradizionale si è disintegrata. Dava sicurezza, perché era la collettività, la comunità, ad assumersi la responsabilità per gli individui. I bambini non era soltanto figli dei loro genitori; erano figli del villaggio. Questo non esiste più: ciascuno è costretto a badare a se stesso. Nessuno può più permettersi di pensare anche agli altri. Tre quarti degli abitanti di Nairobi vivono nelle baracche, e le baraccopoli scoppiano, sono ormai troppo piene. Non c'è casa; non c'è fogne né salute; non c'è lavoro. Non ci sono soldi per il mangiare, la scuola, i vestiti. Se va bene puoi dare ai tuoi figli un pasto al giorno. La famiglia non regge a queste condizioni durissime. Un tempo i padri facevano di tutto per trattenere i figli a casa; adesso sono loro a spingerli sulla strada, dove hanno più possibilità di sopravvivere che tra le pareti domestiche".
"E poi c'è l'Aids", continua Charles Otieno. "Lo metto al secondo posto, ma i suoi effetti sono devastanti. Ci sono oggi in Kenya seicentomila orfani dell'Aids. Seicentomila. E il loro numero aumenta molto in fretta. Orfani diversi da quelli di una volta, perché la malattia non uccide soltanto un genitore. Muore uno, poi l'altro. Poi i parenti. L'infezione dilaga, le contrade vengono decimate, le comunità distrutte. E questi bambini non hanno letteralmente più nessuno".
Dieci anni fa, il Kenya ignorava cosa fossero i bambini di strada. Era un fenomeno sudamericano; l'Africa sapeva provvedere ai suoi piccoli. Se non c'era un padre o una madre c'era sempre uno zio, un vicino, un villaggio. A Nairobi c'erano tutt'al più i parking boys, che aiutavano gli automobilisti a trovare un parcheggio in cambio di una mancia. E poi, in pochi anni, in un arco di tempo che avrebbe trovato impreparato anche un governo meno inetto o corrotto di quello kenyano, hanno dilagato e sono presto diventati legione. Oggi sono una generazione intera, che cresce senza educazione, senza norme, senza amore e annuncia un futuro terrificante.
Le storie di Charles, di Samuel, Simon e delle loro migliaia di compagni di sventura si assomigliano tutte ma poi nelle pieghe della narrazione una frase colpisce e si scolpisce. Samuel per esempio racconta della morte del padre, della fuga della madre tornata al villaggio natale in Uganda, di come uno zio si occupò di lui e di due sue sorelle finché si sposò, ebbe a sua volta quattro bambini e scacciò di casa i nipoti. Allora i tre reietti, guidati da Samuel quattordicenne, trovarono ospitalità da un vicino, un "buon samaritano", che faceva il guardiano notturno e lasciava perciò vuoto il suo letto di notte. E per mangiare come facevate? Risposta: "Il mangiare era il solo problema". Il solo problema! Simon invece, quando il padre perse il lavoro di autista, si mise a raccogliere bottiglie di bibite vuote. In una giornata buona ne trovava una ventina, che a 3 scellini l'una faceva un totale di 60 (poco meno di un euro). Però quando tornava a casa la sera il padre lo picchiava, perché si vergognava di mandare quel figlio per strada.
Ma la storia non è tutta qui. A dire intera la verità, Charles, Samuel e Simon non sono più bambini di strada. Sono dei fortunati. Sono degli ex. Come nelle favole, davvero, la loro storia ha avuto un lieto fine. Hanno incontrato qualcuno che si è preso cura di loro. Che dà loro una casa, cibo, vestiti, che gli paga la scuola. Hanno smesso di sniffare, hanno incominciato a studiare. Ricambiano con risultati meravigliosi: primi nella loro classe, primi dell'intera scuola (Samuel e Simon). Vogliono diventare dottori (Charles e Simon) o uomini politici (Samuel). Non dormono più al freddo, non si cibano frugando nei mucchi di rifiuti, non vendono i vuoti delle Fanta e delle Coca-Cola per comprarsi la colla, non girano più per la città in bande di cinque o dieci, vestiti di stracci e con la mano tesa per l'elemosina ai semafori. Ma i fortunati come loro sono pochi. Molto pochi. Il gran numero è ancora là fuori, nel freddo, nella fame, nel buio dove è impossibile, anche aguzzando gli occhi, intravedere un futuro. Chi vuole aiutare i bambini di strada di Nairobi può rivolgersi all'associazione Amani, scrivendo ad amani@iol.it oppure telefonando allo 024121011.
Appunti di viaggio.
di Gianni Innocenti
Gianni Innocenti è un nostro amico sceso a Nairobi per un mese, a gennaio, ospite di Koinonia (n.d.r.).
Le emozioni vissute durante la mia prima visita al Kivuli Centre sono state tali e tante da rendere veramente ardua una traduzione in parole. In ogni caso, provare a dar forma all'invisibile può essere cosa utile, necessaria a dar corpo ad un'esperienza di questo livello. La terra rossa, le strette di mano, gli occhi dei bambini, i volti di centinaia di persone... sono immagini che si sono impresse indelebilmente negli occhi e nel cuore. Ma devo cercare di accantonarle anche solo per un attimo se voglio far emergere alcuni pensieri che hanno segnato le mie giornate a Nairobi, le lezioni che ho imparato ed i doni che ho ricevuto. Sorvolando pietosamente su come mi sia ritrovato a far spesso i conti con un mio moralismo carico di ipocrisia e di giudizio (che non credevo di avere, perlomeno a certi livelli), posso tranquillamente dire che la più grande fortuna che ho avuto è stata quella di riuscire fin da subito ad abbandonare un fisiologico ma irrealizzabile desiderio di onnipotenza, di voler/dover fare qualcosa di importante. E sono quindi riuscito, potrà sembrare assurdo, a sentirmi finalmente poco utile, talvolta addirittura "inutile". Inutile se rapportato ai criteri di efficientismo che ci si porta sotto pelle. Il divario tra la loro condizione e la mia capacità di "aiuto" è sembrato talvolta abissale; ma paradossalmente è proprio su questa distanza, apparentemente incolmabile - e dal relativo crollo delle proprie pretese - che succede qualcosa: mi sono reso conto di come questo "azzeramento" sia, oltre che lezione di umiltà, base di partenza per un rapporto vero, più genuino, da cui può veramente nascere qualcosa di buono. Basta abbandonarsi un po' a questo gioco e ti accorgi che questa realtà ti penetra direttamente nell'anima. E ci si ritrova commossi per un niente. Come quando ho visitato la Casa di Anita: un vero e proprio colpo al cuore. Quando mai capita di ricevere una tale accoglienza, festeggiamenti e tanta gratitudine da bambine per le quali, in fin dei conti, sei "solo" un perfetto sconosciuto? Qui il cielo di notte è più buio; e le stelle più luminose. La semplicità, la gioia, le indiscutibili difficoltà, i sorrisi e gli sguardi di questi bambini mi hanno fatto ancor più appassionare a questa umanità, che accanto alle proprie sofferenze vuole e riesce ad amare ancora. E' come se, talvolta, le proprie vecchie cicatrici percepiscano le ferite altrui, e tentino di riaprirsi in segno di compassionevole solidarietà; e le loro ferite diventano nostre ferite. "...nevica misericordia sul deserto, s'impara a piangere in silenzio" dice una poesia. Qui ho ritrovato tutti questi elementi: c'è neve e deserto, lacrime e gioia. E tanta voglia di resurrezione.

Matatu
di Padre Kizito
Ci sono situazioni in cui la tentazione di sbottare con "io l'avevo detto" é veramente troppo forte. Le recenti rivelazioni sulla schiavitù in Sudan sono per me una di queste. Da alcuni anni il CSI (Christian Solidarity International), organizzazione non denominazionale che ha sede in Svizzera ed é diretta da un americano, John Eibner, ha condotto in Sud Sudan, delle spedizioni lampo per redimere gli schiavi. Il numero di schiavi riscattati in tali spedizioni é andato aumentando, da una dozzina in novembre del 1996 fino a qualche migliaio. Questa operazione é stata duramente criticata dall'UNICEF perché la schiavitù, dove esiste, deve essere fermata e basta, senza nessun ritorno economico per i responsabili, e poi perché pagando il riscatto degli schiavi si finisce per crearne un mercato. Ma le spedizioni di redenzione degli schiavi sono diventate un'attrazione irresistibile per i mass media. Le foto di centinaia di schiavi pazientemente seduti ad aspettare il proprio destino mentre Eibner contratta il prezzo con un mediatore "arabo" dal volto nascosto dietro il turbante sono state pubblicate sui giornali di tutto il mondo. Il CSI ha raccolto, soprattutto fra i neri americani, evidentemente sensibili a questo argomento, qualche milione di dollari. Non solo a me é sempre parso che comperare degli schiavi, sia pure per dare loro immediatamente la libertà, fosse sbagliato, ma ero anche insospettito dalle modalità. Cosi, agli inizi del 99 scrissi diversi articoli in inglese sull'argomento. Sostenevo che certamente la schiavitù in Sudan esiste e che é un fenomeno gravissimo che deve essere fermato. Ma le persone che ogni anno vengono messe in schiavitù sono nell'ordine di poche centinaia. Ciò é gravissimo, sarebbe gravissimo anche se si trattasse di una sola persona, ma affermare che sono decine di migliaia non é vero. Inoltre dicevo che appunto certe modalità non erano chiare e che chiunque conosca il Sudan non può non insospettirsi. Come possono i mediatori muoversi con centinaia di persone? Il solo riuscire a dar da mangiare e bere ogni giorno é un problema difficile. Quindi concludevo che pur non avendo ragione di dubitare della buona fede del CSI, ma che qualcuno certamente giocava sporco. Una pubblicazione americana che mi ha citato é stata minacciata da Eibner di querela per diffamazione. Poi alcune personalità di chiesa, anche cattoliche, sono scese in campo per difendere tutta l'operazione. Nella primavera del 2000 un produttore televisivo olandese ha fatto un documentario sulla redenzione degli schiavi che é andato in onda in tutto il centro e nord Europa. Io, che ero stato intervistato e avevo espresso senza tergiversamenti le mie riserve, vi facevo la parte dell'opposizione, del missionario folcloristico che gioca a fare il bastian contrario. Quando i giornalisti amici sollecitavano il mio parere sull'argomento, magari mi ascolatavano educatamente, ma poi finivano col pubblicare gli articoli sul CSI con grande rilievo. La notizia era troppo ghiotta, e, nel grande circo dei mass media, tutti devono entrare in pista insieme. Senza contare che quasi mi sentivo rimproverare "ma come, tu vai sui monti Nuba e di schiavi non ne hai liberato neanche uno?". Allora timidamente dicevo che Koinonia a Nairobi si prende cura di due bambini nuba che sono stati schiavi, ma che in sei anni di ex-schiavi ne ho incontrati meno di dieci. Questo confermava nell'interlocutore la convinzione che il vero problema fossi io. Adesso é ufficiale, lo ha confermato anche il portavoce SPLA: era tutto un imbroglio. Gli "schiavi" erano la gente dei villaggi vicini che venivano più o meno forzati a recitare. Il misterioso mediatore era un militare SPLA con la pelle sufficientemente chiara da poter essere fatto passare per arabo. I pezzi grossi locali si spartivano il profitto della messa in scena. Che tristezza. É una soddisfazione molto amara poter dire "avevo ragione io". Restano delle domande che rischiano di avere risposte ancora più amare: come mai alcuni uomini di chiesa hanno sostenuto a spada tratta la bontà di questa operazione? Come mai nessun giornalista ha fatto una seria ricerca prima di pubblicizzare la cosa ed ha contribuito ad ingannare i donatori? Come mai lo stesso CSI non ha fatto controlli severi, forse perché nello show dell'assistenza umanitaria la nicchia di liberatori di schiavi che si era trovata faceva molto comodo per l'immagine e la raccolta fondi? E quegli schiavi finti? Anzi, erano schiavi veri. Schiavi di un mondo tutto falso, in cui i liberatori sono oppressori, l'assistenza umanitaria un inganno e la solidarietà un business. Adesso la responsabilità di andare verso di loro con parole vere é ancora più grande.

Forse non tutti sanno che:
Incontri di Padre Kizito a Maggio.
Chi fosse interessato a partecipare agli incontri di Padre Kizito previsti in Italia a maggio può contattarci per avere ulteriori dettagli (luogo, ora, ecc.), consultare il sito web di Amani o iscriversi ad "Amaninews", un servizio che permette agli iscritti un continuo aggiornamento sulle iniziative di Amani e di conseguenza anche sugli incontri di Padre Kizito. Qui sotto troverete tutte le istruzioni per l'iscrizione.
Amaninews.
Da fine ottobre è attiva per via mail un servizio
chiamato "Amaninews", che permette agli iscritti di essere aggiornati sulle iniziative dell'Associazione Amani Onlus, ricevere i comunicati stampa della stessa associazione e avere, tramite mail, una copia di questo giornale. L'iscrizione a questo servizio è gratuita e molto
semplice:
Iscriviti: amaninews-subscribe@yahoogroups.com
Pensiamo che questo sia un ottimo strumento per essere sempre più coinvolti nella vita della nostra Associazione e per mantenere vivi i contatti tra di noi.
Le offerte ad Amani sono deducibili.
I benefici fiscali per erogazioni a favore di Amani possono essere conseguiti con due possibilità alternative: 1. Deducibilità ai sensi del DPR 917/86 a favore di ONG per donazioni destinate a Paesi in via di sviluppo. Deduzione nella misura massima del 2% del reddito imponibile sia per le imprese che per le persone fisiche. 2. Oneri deducibili ai sensi del DL 460/97 per erogazioni liberali a favore di ONLUS. Per le imprese per un importo massimo di euro 2.065,83 o del 2% del reddito di impresa dichiarato. Per le persone fisiche detraibile nella misura del 19% per un importo complessivo non superiore a euro 2.065,83. Ai fini della dichiarazione fiscale è necessario conservare: per i versamenti con bollettino postale: ricevuta di versamento; per i bonifici o assegni bancari: estratto conto della banca ed eventuali note contabili. Ricordiamo inoltre di segnare sempre la causale del versamento e l'indirizzo completo del donatore.

 

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