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Giro86
Movimento
Sparare perché nulla cambi
di Umberto Eco, da Repubblica
del 22 marzo 2002
Si prova un certo imbarazzo
a riflettere (e ancor più a scrivere) sul
ritorno del terrorismo. Si ha l'impressione di
ricopiare paro paro articoli che si sono scritti
negli anni Settanta. Questo ci dice che, se non
è vero che nulla si è mosso nel
paese da quel decennio in avanti, certamente nulla
si è mosso nella logica del terrorismo.
Caso mai è la nuova situazione
in cui riappare che induce a rileggerla in chiave
leggermente diversa. Si dice che l'atto terroristico
miri alla destabilizzazione, ma l'espressione
è vaga, perché diverso è
il tipo di destabilizzazione cui può mirare
un terrorismo "nero", un terrorismo
di "servizi deviati", e un terrorismo
"rosso". Assumo, sino a prova contraria,
che l'assassinio di Marco Biagi sia opera, se
non delle vere e proprie Brigate Rosse, di organizzazione
dai principi e metodi analoghi, e in questo senso
userò d'ora in poi il termine "terrorismo".
Che cosa si propone di solito un
atto terroristico? Siccome l'organizzazione terroristica
segue una utopia insurrezionale, essa mira anzitutto
a impedire che si stabiliscano tra opposizione
e governo accordi di qualsiasi tipo - sia ottenuti,
come ai tempi di Moro, per paziente tessitura
parlamentare, che per confronto diretto, sciopero
o altre manifestazioni che vogliano indurre il
governo a rivedere alcune sue decisioni. In secondo
luogo mira a spingere il governo in carica a una
repressione isterica, sentita dai cittadini come
antidemocratica, insostenibilmente dittatoriale,
e quindi a fare scattare l'insurrezione di una
vasta area preesistente di "proletari o sottoproletari
disperati", che non attendevano che un'ultima
provocazione per iniziare un'azione rivoluzionaria.
Talora un progetto terroristico ha successo, e
il caso più recente è quello dell'attentato
alle Due Torri. Bin Laden sapeva che esistevano
nel mondo milioni di fondamentalisti musulmani
che attendevano solo la prova che il nemico occidentale
poteva "essere colpito al cuore" per
insorgere. E infatti così è stato,
in Pakistan, in Palestina e anche altrove.
E la risposta americana in Afghanistan
non ha ridotto ma rafforzato quell'area. Ma perché
il progetto abbia un esito occorre che quest'area
"disperata" e potenzialmente violenta
esista, voglio dire come realtà sociale.
Il fallimento non solo delle Brigate
Rosse in Italia ma di molti movimenti in America
Latina è stato di costruire tutti i loro
progetti sulla presupposizione che l'area disperata
e violenta ci fosse, e fosse calcolabile non in
decine o centinaia di persone, ma in milioni.
La maggior parte dei movimenti in America Latina
sono riusciti a portare alcuni governi alla repressione
feroce, ma non a fare insorgere un'area che evidentemente
era molto più ridotta di quanto i terroristi
prevedessero nei loro calcoli.
In Italia tutto il mondo dei lavoratori
e le forze politiche hanno reagito con equilibrio
e, per quanto qualcuno voglia criticare alcuni
dispositivi di prevenzione e repressione, non
ha prodotto la dittatura che le Brigate Rosse
attendevano. Per questo le Br hanno perso il primo
round (e noi tutti ci siamo convinti che avessero
abbandonato il progetto). La sconfitta delle Brigate
Rosse ha convinto tutti che esse non erano riuscite,
alla fin fine, a destabilizzare alcunché.
Ma non si è riflettuto abbastanza che sono
servite moltissimo, invece, a "stabilizzare",
perché un paese in cui tutte le forze politiche
si erano impegnate a difendere lo Stato contro
il terrorismo, ha indotto l'opposizione a essere
meno aggressiva, a tentare piuttosto le vie del
cosiddetto consociativismo.
Pertanto le Brigate Rosse hanno
agito da movimento stabilizzatore o, se volete,
conservatore. Che l'abbiano fatto per madornale
errore politico o perché dovutamente manovrate
da chi aveva interesse a raggiungere quei risultati,
poco conta. Quando il terrorismo perde, non solo
non fa la rivoluzione ma agisce come elemento
di conservazione, ovvero di rallentamento dei
processi di cambiamento.
Quello che colpisce nell'ultima
impresa terroristica, almeno a prima vista, è
che di solito i terroristi uccidevano per impedire
un accordo (il caso Moro insegna) mentre questa
volta sembra abbiano agito per impedire un disaccordo
nel senso che molti ritengono che dopo l'assassinio
di Biagi l'opposizione dovrebbe attenuare, ingentilire
e addomesticare le sue manifestazioni di dissenso
e i sindacati dovrebbero soprassedere allo sciopero
generale. Se si dovesse seguire questa logica
ingenua dei "cui prodest", si dovrebbe
pensare che un sicario governativo si è
messo il casco, è salito in motorino ed
è andato sparare a Marco Biagi.
Il che non solo pare eccessivo
anche ai più esasperati "demonizzatori"
del governo, ma ci indurrebbe a pensare che dunque
le nuove Brigate Rosse non ci sono e non costituiscono
problema. Il fatto è che il nuovo terrorismo
come sempre confida nell'appoggio di milioni di
sostenitori in una potenziale area rivoluzionaria
violenta (che non ci sono) ma soprattutto vedeva
lo smarrimento e il disfacimento della sinistra
come un eccellente elemento di scontento tra i
componenti di quell'area fantasma. Ora i girotondi
(fatti come è noto da distinti cinquantenni
pacifici e democratici per vocazione), la risposta
che hanno cercato di darvi i partiti d'opposizione,
e il ricompattamento delle forze sindacali stavano
ricostituendo nel paese un eccellente equilibrio
tra governo e opposizione. Uno sciopero generale
non è una rivoluzione armata, è
soltanto una iniziativa molto energica per arrivare
a modificare una piattaforma d'accordo. E dunque
anche questa volta, anche se apparentemente pare
impedire la manifestazione di un disaccordo, l'attentato
di Bologna mira a impedire un accordo (sia pure
più conflittuale e combattuto).
Soprattutto mira a impedire, nel
caso che l'opposizione sindacale modifichi la
linea del governo, che si rafforzi il vero nemico
del terrorismo, e cioè l'opposizione democratica
e riformista. Anche questa volta, dunque, se il
terrorismo riuscisse nel suo primo intento (attenuare
la protesta sindacale) sarebbe riuscito nell'ottenere
quello che ha sempre ottenuto (lo volesse o no):
la stabilizzazione, la conservazione dello status
quo. Se così è, la prima cosa che
opposizione e sindacati debbono fare è
non cedere al ricatto terroristico.
Il confronto democratico deve procedere,
nelle forme più aggressive che le leggi
consentono, come appunto lo sciopero e la manifestazione
di piazza, perché chi cede fa esattamente
quello che i terroristi volevano. Ma del pari
(se posso permettermi di dare consigli al governo)
il governo deve sottrarsi alla tentazione a cui
l'attentato terroristico lo espone: spostarsi
su forme di repressione inaccettabili. La repressione
può avere reincarnazioni sottili, e al
giorno d'oggi non prevede necessariamente l'occupazione
delle piazze principali coi carri armati.
Quando si sente in televisione
l'uomo di governo che in modi diversi (alcuni
con misura, e con qualche vaga allusione, altri
con evidenza indiscutibile), suggeriscono che
ad armare (moralmente, moralmente, si precisa)
la mano dei terroristi sono stati coloro che in
forme diverse hanno messo sotto accusa il governo,
chi ha firmato appelli in favore della risposta
sindacale, chi rimprovera a Berlusconi il conflitto
d'interesse o la promulgazione di leggi altamente
discutibili, e discusse anche fuori dei nostri
confini - chi fa questo sta enunciando un pericoloso
principio politico. Il principio si traduce così:
visto che esistono terroristi, chiunque attacca
il governo ne incoraggia l'azione. Il principio
ha un corollario: dunque è potenzialmente
criminale attaccare il governo. Il corollario
del corollario è la negazione di ogni principio
democratico, il ricatto rivolto alla libera critica
sulla stampa, a ogni azione di opposizione, a
ogni manifestazione di dissenso. Che non è
certo l'abolizione del Parlamento o della libertà
di stampa (io non sono di coloro che parlano di
nuovo fascismo) ma è qualcosa di peggio.
E' la possibilità di ricattare
moralmente e indicare alla riprovazione dei cittadini
chi manifesta disaccordo (non violento) con il
governo, e a equiparare eventuali violenze verbali
- comuni a molte forme di polemica accesa ma legittima
- con la violenza armata. Se a questo compiutamente
si arrivasse, la democrazia rischierebbe di essere
svuotata di ogni senso. Si avrebbe una nuova forma
di censura, il silenzio o la reticenza per timore
di un linciaggio mediatico. E quindi a questa
diabolica tentazione gli uomini del governo debbono
"resistere, resistere, resistere".
L'opposizione deve invece "continuare,
continuare, continuare", in tutte le forme
che la Costituzione consente. Se no, davvero (e
per la prima volta!), i terroristi avrebbero vinto
su entrambi i fronti.
(22 marzo 2002)
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