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Giro80 / Zoom
Un'amica con cui parlare: l'esperienza
della Lila a San Berillo (Catania)
di Pina La Villa
Se vuoi possiamo conoscerci
Si tu veux
on peut se rencontrer
Si quieres podemos conocèrnos
Così il volantino diffuso dalla LILA di Catania sulle
attività del centro "La base" a San Berillo,
il quartiere a luci rosse di Catania. Ma ora l'esperienza
del centro sta per finire. Forse troppo presto.
La
città è Catania, il quartiere è San
Berillo. Il quartiere a luci rosse. Ma anche il quartiere
della speculazione edilizia negli anni cinquanta e sessanta,
da cui è nato Corso Sicilia, sede di banche, negozi,
uffici e orrendi palazzi "moderni". Il retro di
questi palazzi dà su via Giovanni Di Prima, al lato
opposto i palazzi tagliati dallo sventramento e abbandonati
da allora. Qui cominciano le case fatiscenti, le strade
buie e sporche, che si snodano fino a Via Sangiuliano, di
nuovo la città visibile, coi suoi palazzi ottocenteschi
e il mare sullo sfondo, verso la stazione. Una parte della
città che nessun cittadino attraversa. Una parte
della città che nessun cittadino catanese può
attraversare senza vergognarsi di esserlo. E non per le
prostitute. Qualche mese fa la nuova amministrazione di
centro-destra ha voluto dare un segno proprio, tipico. Le
forze dell'ordine hanno invaso il quartiere e murato le
porte delle case dove le prostitute esercitavano: la parola
d'ordine era quella di ripulire il quartiere, buttare fuori
le prostitute. Molte se ne sono andate, il quartiere ora
è abitato solo dalle prostitute che nelle case oltre
a lavorarci, ci abitavano, e da extracomunitari. Ma sono
rimaste le strade buie, sporche, le case sventrate, i palazzi
antichi in stato di abbandono, preservativi a terra, spazzatura
e odori ristagnanti da anni.
Via Buda è una traversa che da Via Sangiuliano immette
nel cuore di San Berillo. La sede del centro "La base"
aperto dalla LILA di Catania in collaborazione con l'Azienda
U.S.L. 3, si trova al numero 18, un portone in ferro, il
citofono bruciato, due vasi di fiori al balcone. L'edificio
si sviluppa in altezza, al pianterreno solo un corridoio
e la scala, al primo piano tre piccole stanze, al secondo
due. Fra il pianterreno e il primo piano il terrazzo, a
cui si accede con una scala in legno. Tutto è stato
ripulito, pavimenti nuovi, bianco alle pareti, tende.
Le operatrici del centro sono tutte
donne. Le ho volute intervistare perché venire a
lavorare qui è stata una scelta coraggiosa, anche
solo per attraversare le stradine tortuose, semivuote adesso,
dove risuonano i respiri degli amplessi del cinema al luci
rosse. Le intervisto, insieme, nel salottino al primo piano.
Sono tutte fra i trenta e quarant'anni, esperte della Lila
e volontarie.
Il progetto è stato avviato
circa due anni fa. Scadenza, dicembre 2001.
Genny Floridia, assistente sociale, mi dice che l'iniziativa
nasce nell'ambito della lotta contro l'Aids. Sulla base
di una nota del ministero le regioni finanziano dei progetti
finalizzati alla prevenzione. La Lila, - il sociologo Antonio
Casciarò e il presidente dell'associazione, l'infettivologo
Luciano Nigro - presentano un progetto all'USL3, che approva
e forma anche il personale. Il ruolo del centro sarà
quello di ponte, terranno i contatti con le prostitute del
quartiere San Berillo per indirizzarle ai centri e ai servizi
che si occupano di salute e prevenzione: consultorio, sert.
Ma il centro si occuperà anche di monitoraggio, di
sensibilizzare all'uso dei preservativi, di informare sulle
malattie. In più offrirà i servizi di consulenza
ginecologica, psicologica, sociale, legale.
Maria Grazia Messina, consulente legale,
operatrice della Lila, coordinatrice anche del progetto
sulla tossicodipendenza, tiene a precisare che il progetto
non ha alcuna finalità di "redenzione"
tipo Don Benzi, si tratta invece di perseguire la "riduzione
del danno", cioè, fuori dal linguaggio tecnico,
fare in modo che chi si buca o chi si prostituisce non sia
privato anche dei più elementari diritti alla cura
e all'assistenza, e che impari a "volersi un po' più
di bene".
Con l'aiuto dei numeri e pochissime
- precise - parole, Salvina Vitale, operatrice di strada,
racconta il suo lavoro e quello di Patrizia Testai, operatrice
di strada, volontaria : prima di aprire il centro hanno
avviato la conoscenza e i primi contatti con le donne del
quartiere e condotto una mappatura che è durata sei
mesi. Ne è venuta fuori una descrizione del quartiere
prima e dopo il blitz (l'operazione di polizia che ha "murato"
le porte delle case dove operavano le prostitute): prima
le donne erano 300, poi sono scese a 60 (solo italiane).
Questo avveniva durante l'apertura
del centro proprio nel cuore del quartiere. Però
a questo punto sono avvenute due cose interessanti: le donne
hanno continuato a frequentare il centro, anche se magari
non abitano più nel quartiere; le operatrici, le
mie intervistate, decidono di recarsi loro sulla strada
per Scordia, con un camper (il servizio coi camper fa parte
di un altro progetto della Lila per la prevenzione dell'AIDS
tra i tossicodipendenti, progetto coordinato da Maria Grazia)
offrendo più o meno gli stessi servizi del centro:
informazione, consulenza, ma soprattutto la possibilità
di un dialogo. Agata Portoghese, volontaria, insegnante
di storia e filosofia, insieme ad altre tre operatrici (tra
cui una insegnante di inglese) fa parte della squadra che
tutti i martedì va col camper. Le ragazze le aspettano.
Provengono dalla Nigeria, dal Camerun, dal Ghana, dalla
Liberia. Le colombiane sono rimaste in città. Sono
storie diverse. "Questa è la vita
siamo
qui perché nel nostro paese c'è fame",
dicono. Una di loro ha raccontato che mantiene i fratelli
all'Università. Le colombiane dicono invece "es
muy duro", ma nessuna tornerebbe indietro. Breve intermezzo
di considerazioni femministe da parte delle operatrici e
dell'intervistatrice, tutte donne. Famiglie estese, patriarcato,
no, anzi, matriarcato. Sono donne le "signore"
che riscuotono, quelle con le quali le ragazze hanno un
"debito", e per questo devono lavorare sulla strada
assolata fra Catania e Scordia e Lentini. Sono buone, le
"signore", ma dietro di loro ci sono gli uomini,
innominati. Sì, si rivolgono soprattutto alla ginecologa,
ma quello che cercano è essenzialmente il dialogo.
La ginecologa è Giusy De Francesco,
meno di trent'anni, non riesco a intervistarla a lungo perché
la sua presenza viene richiesta altrove continuamente: una
volta è il telefono, un'altra volta una visita, poi
la notizia: lui ha riconosciuto il bambino: un caso felicemente
concluso.
Quello dei figli è il principale
problema delle donne che si rivolgono al centro per una
consulenza legale. Si rivolgono a Maria Grazia per chiedere
informazioni sulla regolarizzazione ma soprattutto sulla
tutela dei figli attraverso il riconoscimento. Maria Grazia
conosce i limiti del suo lavoro. Che tipo di consulenza
legale si può dare a donne che per lo più
sono sprovviste di permesso di soggiorno? La nuova legge
restringe la possibilità di ottenere permessi di
soggiorno, in più c'è un rapporto pessimo
con le forze di polizia, poco disposte a collaborare, poco
disponibili a valutare le situazioni. E la nuova legge prevede
che dopo tre espulsioni c'è il carcere. Questa notizia
ha creato il panico, perché ce ne sono diverse in
questa situazione. Il cambiamento è difficile, perché
l'unica possibilità è denunciare e nessuna
fin'ora l'ha fatto. Ho incontrato una donna che era terrorizzata,
ma stare sulla strada era l'unica cosa che potesse fare.
Per cui, conclude Maria Grazia "più che funzione
legale, ho una funzione di contenimento dell'ansia".
Un bilancio di un anno di attività.
Salvina: 108 donne si sono rivolte al centro e hanno ottenuto
il tesserino che consente loro di usufruire dei servizi
dell'USL. "Ma abbiamo avuto troppo poco tempo, un anno".
Giusy: le richieste sono uguali a quelle delle altre donne:
pap-test, problema di prevenire le gravidanze, l'attenzione
al proprio corpo.
Genny: dall'inizio a oggi le richieste sono però
cambiate, c'è anche quella di cambiare lavoro
Il centro ha un senso che va al di là dell'aspetto
medico. E un luogo "altro", in cui le donne possono
confrontarsi: "non ho amiche", dicono.
Agata: Il centro è un punto di riferimento. Le istituzioni
devono essere sensibilizzate, devono fare qualcosa.
Maria Grazia: il centro va a coprire un vuoto. C'è
necessità di un tramite con le istituzioni, i servizi,
l'USL. Comunque, rassicura, anche
se il progetto finisce a Dicembre , il centro rimane, anche
se a regime ridotto, se non ci saranno finanziamenti.
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