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Documenti / Giro78
Centottanta giorni dopo
di LUIGI PINTOR, da Il Manifesto 13 novembre
2001
Sono passati sei mesi soltanto dalla batosta
elettorale del
13 maggio ma i dirigenti diessini l'hanno già dimenticata.
Forse
questa amnesia spiega il cumulo di sciocchezze, per così
dire,
che continuano a dire e a fare e su cui fonderanno l'imminente
congresso e il prossimo partito neocraxiano.
Ma non è un'amnesia, quella batosta non l'hanno mai
capita.
Ricordo l'on. Fassino che il giorno dopo leggeva in televisione
i
dati elettorali con lungimirante ottimismo. Non hanno mai
ammesso
di aver perso per strada due milioni di voti popolari, di
essere
un partito regionale sotto il 15 per cento, di aver governato
cinque anni per il re di Prussia.
Perciò sono rimasti tutti al loro posto, si sono
insigniti di
nuovi galloni, credono di essere ancora sottosegretari al
governo
e vanno a salutare le truppe in partenza per il fronte.
L'on.
Rutelli non è da meno e si comporta come la regina
Margherita.
Tutti ricevono l'encomio e il ringraziamento di Berlusconi
e Fini
a cui è stata garantita una maggioranza parlamentare
in uniforme
al 90 per cento.
L'on. D'Alema non ha dimesso la spocchia, guarda il prossimo
suo
dall'alto in basso a cominciare dai suoi compagni, crede
tuttora
di essere il conte di Cavour pur essendo pugliese. Ieri
ha detto
che il pacifismo è impotente ma ha perso la battuta,
doveva definirlo "imbelle" come il giovane Mussolini
che era un retore
di qualità. Roba da animucce da ragazzini con cui
però, spiega
maternamente la signora Melandri, bisogna parlare qualche
volta
in famiglia.
C'è qualcosa di immorale in tutto questo, di politicamente
immorale. La questione morale che Berlinguer sollevava
inascoltato in rapporto alla corruzione della vita pubblica
si ripropone con maggiore evidenza di fronte a questo lassismo
militare, per metà cinico e per metà rassegnato,
che si vuole
realistico ma è goffamente furbesco, del tutto subalterno
alle
pseudo culture dominanti e alla peggiore tradizione nazionale.
Soprattutto c'è qualcosa di ridicolo e quando si
arriva a non
temere il ridicolo sono guai seri. Se la minoranza diessina
non
riuscirà a distinguersi abbastanza da frenare questa
ennesima
deriva quel partito finirà come lo dipinge l'articolista
del
corriere dello zar, un'appendice secondaria di un socialismo
europeo che volge al tramonto senza gloria. E all'Ulivo
resterà
solo da sperare che l'onorevole Prodi perda il suo traballante
seggio prima della scadenza e sia rimpatriato sano e salvo.
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