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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

Speriamo che non sia femmina - Un' immagine basta a vanificare i successi - e ce ne sono stati - ottenuti dalle donne nel miglioramento delle loro condizioni sul pianeta: è l'immagine della donna afghana. Se quella afghana è la situazione più scioccante, non è l'unica a destare orrore alle soglie del terzo millennio. Ed è da questi dati statistici che preferiamo partire nell'illustrare il terzo rapporto sulla condizione della donna nel mondo, realizzato dall'Onu e presentato ieri a Roma presso la sede dell'Istat, perché gli apprezzamenti per i miglioramenti registrati, che pur ci sono soprattutto al nord del mondo, non facciano trascurare quelle situazioni che invece richiedono una più decisa mobilitazione a livello internazionale. Sebbene su alcuni aspetti cruciali non esistano nemmeno dati statistici. Nonostante, con l'eccezione di soli 26 stati, tutti i paesi abbiano ratificato la "Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne", rendendo questo il trattato sui diritti umani più ratificato al mondo. Questo non vuol dire che sia rispettato. Anzi. Ci sono stati che non hanno nemmeno a disposizione dati statistici su alcuni aspetti della condizione della donna, e sono così seriamente sottostimati i maltrattamenti e gli abusi sessuali che riguardano milioni di donne in tutto il mondo. Limitati sono i dati disponibili anche rispetto alle mutilazioni genitali femminili - una forma barbara usata per il controllo della sessualità. Secondo le stime, tra 100 e 132 milioni di ragazze e donne hanno subito queste mutilazioni che sono praticate in 28 paesi africani e in alcuni asiatici (di questi ultimi non si conoscono dati), oltre che tra le comunità di questi paesi immigrate in Europa, Usa, Australia e Nuova Zelanda. La percentuale varia: dal 5 per cento del Niger al 98 per cento di Gibuti e Somalia. Nonostante i rischi che questa pratica - realizzata con strumenti rudimentali e in condizioni igieniche spaventose - comporta a livello fisico e psicologico, essa non accenna a diminuire, secondo il rapporto delle Nazioni unite. Nonostante alcune agenzie dell'Onu, insieme a Ong, abbiano avviato campagne di sensibilizzazione contro questa pratica aberrante mantenuta in virtù del tabù della verginità. Alle mutilazioni genitali sono legate molte delle malattie delle donne e anche la mortalità, soprattutto per parto. Anche le infezioni sono facilitate, nel caso di rapporti sessuali che provocano lacerazioni profonde nelle donne infibulate. E quello dell'Aids, come è già stato sottolineato dalla Conferenza delle donne - Pechino+5 - che si è tenuta recentemente a New York, è un altro capitolo nero. Se a livello mondiale le donne - 14,8 milioni sieropositive - rappresentano il 46 per cento del totale degli infetti, nell'Africa subsahariana - dove vive il 70 per cento delle persone che hanno contratto il virus - questa percentuale sale al 55 per cento, e tra il sesso femminile si conta la maggior parte dei decessi. Questa situazione incide pesantemente anche sui figli, e ovviamente sulle speranze di vita. Proprio sulla mortalità infantile e sulle morti per parto si nota uno dei gap maggiori tra nord e sud: se nei paesi sviluppati la mortalità infantile è scesa all'8 per mille, nell'Africa subsahariana, pur essendo diminuita, riguarda ancora 86 bambine e 98 bambini su 1000 entro il primo anno di età. Mortalità causata anche dalla malnutrizione, che debilita mamme e bambini. Occorre sottolineare anche l'anomalia delle nascite per sesso in alcuni paesi come la Cina o la Corea, dove nascono 88 bambine su 100 maschi, una percentuale innaturale frutto di aborti selettivi o, addirittura, infanticidi. Le donne e la ragazze rappresentano anche la metà della popolazione dei rifugiati. Le guerre moderne colpiscono infatti soprattutto civili e, tra i civili, le donne e i bambini. Tra il popolo dei rifugiati, le donne sono il 53 per cento nell'Europa dell'est, il 51 per cento in Asia e il 50 in Africa. "Donne e ragazze - si legge nel rapporto Onu - sono diventate rifugiate in seguito a violenze, comprese le violenze sessuali. E rimangono vulnerabili alle violenze durante i combattimenti, nei campi profughi, nei paesi di asilo e di reinsediamento, e anche durante il rimpatrio. Secondo alcuni studi le donne e le ragazze rifugiate sono spesso obbligate a prestazioni sessuali in cambio di cibo o per soddisfare altre necessità". A parte le situazioni più drammatiche, alcuni successi sono stati raggiunti, come nella riduzione del divario economico tra lavoratori e lavoratrici, le quali comunque svolgono sempre un doppio lavoro. Le statistiche di genere, alle quali ha lavorato soprattutto l'italiana Francesca Perrucci, mettono in evidenza anche i cambiamenti demografici e sociali, soprattutto rispetto alla struttura familiare. Mentre le donne nel nord si sposano più tardi, nel sud oltre un quarto delle ragazze tra i 15 e i 19 anni ha già contratto un matrimonio. Le libere unioni invece sono comuni sia nei paesi sviluppati che in alcuni in via di sviluppo. Nei paesi sviluppati sono aumentate le nascite fuori dal matrimonio e molte persone vivono sole, la maggior parte sono donne. Infine, se due terzi degli 876 milioni di analfabeti del mondo sono donne, l'obiettivo della parità nell'istruzione scolastica da raggiungere nel 2005 appare perlomeno arduo. Comunque, a ostacolare la soluzione di molti dei problemi che riguardano il sesso femminile vi è il fatto - sempre rivelato dal rapporto - che le donne sono notevolmente sottorappresentate nei governi, nei partiti politici e anche tra il personale delle Nazioni unite. Speriamo non sia femminada il Manifesto, 21 giugno 2000di Giuliana Sgrena******July, 2000
 
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