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Vittorio Foa e la new economy

articolo apparso su la Repubblica, 21 giugno 2000 - di Simonetta Fiori

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Sinistra, il futuro ha un cuore antico L'anziano sindacalista ha scritto con Andrea Ranieri un libro-dialogo sul lavoro nell'era della new economy Oggi il mouse è la nuova chiave a stella, lo strumento per conoscere il mondo: se non lo si possiede si rimane esclusi - Vittorio Foa e la new economy. Con una mossa a sorpresa l'antico sindacalista si getta nella Rete. Vuol vedere come cambiano il mondo del lavoro, la vita delle persone, la geografia dei cervelli. E fedele alla bizzarria del Cavallo che spiazza la rigida logica della Torre - non si intitola così anche la sua autobiografia, Il cavallo e la Torre? - non esita a cercare vie d'uscita laterali, imprevedibili. Nato con il Novecento - a settembre compie novant'anni - gli è toccato in sorte di assistere alla rivoluzione digitale del Duemila. E nel suo buen retiro di Formia, in compagnia di Sesa e di una bisnipotina, tra bambini vocianti e cestini di amaretti, guarda al futuro con il consueto ottimismo. "Una svolta epocale", sostiene. E parte con la sua prima, fulminante definizione: "Si ha una rottura epocale quando non cambiano solo le cose che vediamo, ma anche le categorie che adoperiamo per vederle". In questa nuova avventura lo guida un sindacalista assai più giovane, Andrea Ranieri, ligure di Sarzana, ora ai vertici della Cgil dopo un tumultuoso passato in Lotta Continua e nel Pdup, teorico di una "flessibilità di sinistra" a cui guarda con attenzione Massimo D'Alema. Dal confronto tra Foa e Ranieri è scaturito un librino agile, a tratti provocatorio, non privo di humour, sicuramente ricco di sorprese: Il tempo del sapere. Domande e risposte sul lavoro che cambia (a cura di Severino Cesari, Einaudi, pagg. 124, lire 16.000). "Vittorio è il più curioso indagatore del futuro che io abbia mai conosciuto", dice Ranieri. "Da Andrea ho imparato che la politica esiste ancora, anche se non è più quella che ci presentano come tale". Foa, una curiosità. Ma lei naviga in Internet? "No, come potrei con i miei occhi? Sesa è brava, io non ci provo neppure. Però scrivo con il computer, gran bella scoperta". Davvero usa il computer? E dire che ci sono molti settantenni renitenti... "Anch'io a settant'anni facevo le bizze. Poi invecchiando ho imparato a usarlo...". Come si pone rispetto alle nuove tecnologie? La spaventano? L'entusiasmano? FOA - "Non mi persuadono questi due partiti estremi, gli iperottimisti e gli iperpessimisti. Da una parte Nicholas Negroponte spiega che Internet è il regno della libertà e non ci sono più differenze tra padroni e lavoratori. Dall'altra Jeremy Rifkin sostiene che le nuove tecnologie premiano un nocciolo ristretto di intelligenti, pauperizzando il resto del lavoro. Forse non ha ragione né l'uno né l'altro. E il pregio di Andrea è nel cogliere stimoli da teorie opposte, libero da ingessature ideologiche". RANIERI - "La sfida è davvero aperta. Le nuove tecnologie introducono diverse modalità di organizzazione del lavoro, più ricche rispetto alla vecchia industria. Ma è fondamentale innalzare i livelli generali di sapere. Tutti dobbiamo essere in grado - in ogni momento della nostra vita - di ricominciare ad apprendere. E oggi il mouse è la nuova chiave a stella, lo strumento per conoscere il mondo. Se non lo si possiede, si rimane esclusi". Secondo questa tesi, la "conoscenza" diventa paradigma di riferimento, nella crescita sociale, al posto del "reddito". Lei è d'accordo, Foa? FOA - "Mi persuade, anche se vorrei fare una domanda ad Andrea. Visto che ho speso la mia vita a combattere le disuguaglianze, non c'è il rischio che anche il sapere - come lo era il reddito - sia fonte di discriminazione?". RANIERI - "Il rischio c' è. Il sapere, come il denaro, va a chi ce l'ha già. Ma il sapere, a differenza del reddito, può essere distribuito con minore difficoltà. Se vogliamo formare davvero tutti, bisogna costruire soluzioni differenziate, che rispondano alle esigenze delle diverse persone. Il sapere massificato e uguale per tutti è una cattiva idea di una cattiva sinistra. Lo diceva anche don Milani: deprecabile fare parti uguali tra diversi". FOA - "Vero!". Pausa. "La cosa che fa più paura non è che uno non sappia o che sia povero, ma il fatto che si rassegni ad esserlo, no?". Ma che significa essere di sinistra nella nuova era digitale? FOA - "La distinzione tra destra e sinistra non si gioca più sul conflitto classico tra individuo e collettività, Stato e mercato, flessibilità e rigidità, ma passa all'interno di ciascuna di queste categorie, ruotando intorno alla contrapposizione tra inclusione ed esclusione. Semplificando: è di sinistra chi si muove insieme agli altri, nel segno dell'inclusione; è di destra chi si concentra soltanto su se stesso e sul proprio benessere, nel segno dell'esclusione. Una lotta tra pulsioni diverse che è anche dentro di noi". Esistono dunque una flessibilità di destra e una di sinistra? RANIERI - "Ci sono due modi diversi di intenderla. Prendiamola da sinistra: il passaggio da un'economia di scala a un'economia di scopo - ossia a prodotti finalizzati e personalizzati - presuppone rapporti di lavoro più flessibili. Ma il fatto che le imprese oggi siano in grado di adeguare - quasi in tempo reale - i propri prodotti ai bisogni dei clienti è un fatto positivo; in questa chiave la flessibilità può essere intesa come opportunità di crescita professionale dei lavoratori, scambio continuo tra organizzazione e persone. Purtroppo però - e qui interviene un altro modo di intenderla - si usa la flessibilità soltanto per ridurre il costo del lavoro, e a spese di quelle persone che non sono in grado di essere flessibili". Lei sta dicendo che la flessibilità è stata usata per licenziare i più deboli? RANIERI - "Oggi si chiede di essere flessibile non all'ingegnere o al dirigente pubblico, ma all'operaio non qualificato, che non ha le basi culturali per esserlo. In questo ha sbagliato anche la sinistra, che non è stata capace di dire dei no decisi a una flessibilità che colpevolizza i perdenti. D'altro canto, abbiamo ragionato troppo poco sulle opportunità che pure la flessibilità ci offre". FOA - "Sono totalmente d'accordo. Con un'ammissione di colpa. Nella cultura media delle imprese il lavoro appare un elemento residuale. Noi - dico noi perché mi considero responsabile anch'io - siamo rimasti troppo passivi rispetto a questa emarginazione culturale del lavoro, che dura tuttora". Foa, lei ricorre spesso alla cotrapposizione tra un "noi" e un "loro". Ma chi sono "loro"? Dove è il potere? FOA - "Il potere sicuramente c' è, ma io non lo vedo. Il potere ha sempre avuto dei nomi, Krupp, Rockfeller, Agnelli... Giovanni Agnelli lo si vedeva la domenica a messa a Perosa Argentina. Ora leggo sui giornali economici cento nomi di nuove imprese galoppanti e chiedo: chi c'è dietro? Penso che il potere reale si sia reso invisibile". Entrambi accusate il sindacato di non aver capito la portata del cambiamento, rimanendo ancorato a schemi superati. FOA - "In un tempo in cui tutto è cambiato, il sindacato si muove con lentezza. E quando si muove sembra tirato per il collo, si muove cioè tardi e male. Prendiamo la centralità del lavoro dipendente. Esiste oggi un continuum sempre più forte tra lavoro dipendente e lavoro autonomo che sempre meno ci consente di tenere distinte le due cose. Andrea, tu riesci a immaginare un dirigente di un sindacato come la Cgil che dica: il lavoro salariato non è più importante come prima? E' possibile?". RANIERI - "No, però bisogna cominciare a pensarci". FOA - "Forse bisogna cominciare anche a dirlo". Mi sembra di capire che siate disponibili a metter mano allo Statuto dei Lavoratori? FOA - "Guardi, se fosse per me, metterei mano anche alle dodici tavole della Legge...". RANIERI - "Il fatto è che lo Statuto dei lavoratori non è più in grado di rispondere ai cambiamenti. Un lavoratore oggi vive sempre di più la propria vita come un percorso, può perfino passare da dipendente ad autonomo senza traumi. E allora bisogna pensare a nuove forme di tutela". Ranieri, ne ha discusso con Cofferati? RANIERI - "Sergio è il teorico dei piccoli passi, una linea che poggia su vecchie nozioni del lavoro. Egli ritiene inopportuna l'iniziativa di costruire un nuovo statuto dei lavoratori, sia per l'inaffidabilità del quadro politico sia perché - a suo avviso - si affermerebbe il tema della liberalizzazione dei licenziamenti. Obiezioni sensate, intendiamoci. Ma la mia preoccupazione è che, se non esplicitiamo fino in fondo la linea del cambiamento, non riusciamo più a parlare alle nuove figure professionali, lasciando l'iniziativa alla controparte". FOA - "Il gradualismo in fondo neutralizza l'idea dell'innovazione. Mi preoccupa questa chiusura nella rappresentanza dei lavoratori tradizionali. La Cgil di Di Vittorio, Lama, Trentin guardava anche agli altri. Bisogna però dar atto a Cofferati del lavoro prezioso che sta svolgendo nel sindacato". Foa, ha ancora senso parlare di un ideale socialista? Sorride perplesso: "Le dispiace se ne discutiamo nella prossima intervista?". July, 2000

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