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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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Girodivite - n° 61 / febbraio 2000

Il decennio lungo prima del Sessantotto

di Pina La Villa. - Recensione a: Il lungo decennio: L'Italia prima del 68 / a cura di Carmelo Adagio, Rocco Cerrato, Simona Urso. - Cierre edizioni, Verona, 1999. - ISBN 88-8314-038-9 [Lit. 38.000].

"Il futuro mi interessa perché è il luogo dove penso di passare il resto della mia vita" diceva Woody Allen. Un libro come Il lungo decennio. L'Italia prima del 68 è un libro di storia, ma nasce da questo stesso tipo di interesse. E può interessare chi vede il passato come terreno di scontro che prepara presente e futuro. Un quadro così completo non era ancora stato tentato. E non per la vicinanza degli avvenimenti ma, paradossalmente, per la loro "lontananza". Negli anni Settanta gli avvenimenti erano ancora in corso e man mano che gli anni scorrevano era più forte la tentazione della rimozione che la voglia di ricordare e capire. Gli anni '80 non avevano nulla da chiedere all'utopia sessantottina. Si è prodotta in quegli anni, anche per questioni anagrafiche, soprattutto memoria, da persone talmente dentro agli avvenimenti da pensare di non dover chiedere nulla alla storia ma tutto alla memoria(per difendere il patrimonio o per attaccarlo a seconda dei casi). Gli anni novanta hanno conosciuto finalmente un interesse per il '68 che nasce da domande precise della storia di oggi. Il trentennale è caduto in un momento in cui la sinistra sembra avere esaurito la sua carica progettuale, in cui la dimensione della politica ha perduto il primato che l'ha caratterizzata fino agli anni settanta. Quello curato da Adagio Cerrato e Urso è un corposo volume nato dalla consapevolezza che il Sessantotto non è stato un fenomeno sorto dal nulla, che a preparare il terreno è stato un "lungo decennio", quello che dalla fine degli anni Cinquanta ha occupato tutti gli anni Sessanta. Un volume collettivo, con contributi di Attilio Mangano, Marica Tolomelli e Jan Kurz, Roberta Fossati, Dario Petrosino, Giorgio Gattei, Fabrizio Billi, Luigi Urettini, Diego Giachetti, Sergio Dalmasso, William Gambetta, Umberto Gentiloni, Francesco Germinario, Andrea Rapini oltre che dei curatori. Nonostante il diverso valore dei contributi, implicito nella scelta stessa del volume collettaneo, il libro riesce a dare un buon quadro d'insieme del fenomeno Sessantotto, nelle sue radici, nei suoi esiti e nelle sue implicazioni. La scelta è stata quella di affrontare i problemi dal punto di vista tematico. Ne vien fuori una piccola enciclopedia in cui ritroviamo i giovani (Attilio Mangano), gli studenti (Marica Tolomelli e Jan Kurz), cattolici (Rocco Cerrato), cattolici e sessualità (Roberta Fossati), l'omosessualità (Dario Petrosino), pensiero economico (Giorgio Gattei, su Sraffa), operai e operaismo (Fabrizio Billi, Luigi Urettini), nuova sinistra (Diego Giachetti), cinema (Carmelo Adagio), sinistra con i suoi partiti e riviste (Sergio Dalmasso), Pci e politica culturale (William Gambetta), destra (Francesco Germinario) e antifascismo (Andrea Rapini). Un denso saggio iniziale, di Simona Urso, serve a fare la storia della critica storiografica sul periodo. Densità e varietà dei saggi presenti nel volume ci impedisce di poterli esaminare uno per uno. Ci limitiamo a alcuni "sondaggi", a partire proprio dal saggio introduttivo. Tarrow, Revelli, Crainz, Ortoleva, Arrighi, Hopkins, Wallerstein, Piccone Stella, sono alcuni degli studiosi che Simona Urso, nell'introduzione, chiama in causa per affrontare alcuni nodi centrali, difetti e limiti, strade ancora da percorrere, della storiografia italiana sul "lungo decennio". Rimandando alla lettura per un'analisi articolata, è bene ricordare qualche conclusione e qualche indicazione, utilissima per leggere i saggi contenuti nel libro e per continuare la ricerca su questi temi. Se incrociamo storia dei movimenti collettivi, storia politica, (con l'avvertenza che non serve più insistere sulla crisi del centro sinistra, come in molti fanno, che è solo uno degli elementi del paesaggio) storia dei fenomeni culturali, ci rendiamo conto che il Sessantotto è frutto di un processo Un processo che si snoda, a partire dalla crisi del 1956, per tutti gli anni Sessanta, con propaggini fino ai primi anni Settanta e che rappresenta la conclusione di un lungo dopoguerra. Fra le cause dell'esaurirsi del processo, l'oscillazione del ciclo economico, "che portò il ceto operaio a cercare lo scontro perché le politiche economiche lo avevano estromesso e usato, soprattutto dopo la depressione del 1963-1965. Quello stesso ciclo economico aveva favorito le speranze di accesso a ranghi più alti della società per il ceto piccolo-borghese, il solo che aveva individuato, se non benefici, codici di riferimento nel boom e nei consumi di massa". Sottolineare l'idea del processo significa riconoscere che "il 68 contiene in sé sia la rottura che la richiesta di integrazione". Ma per approfondire questo aspetto occorre che la ricerca storiografica ampli il proprio oggetto analisi. "E' sui consumi che bisogna valutare la nascita di un soggetto piccolo borghese che vuole mandare i figli all'università". E' sull'analisi sociologica della nuova domanda di politica che occorre puntare l'attenzione, anche attraverso l'analisi di ciò che si muove nella società civile. Non solo Università quindi per gli studi sul Sessantotto. Simona Urso richiama all'attenzione sui movimenti di Magistratura democratica, Psichiatria democratica e i gruppi cattolici. Manca, in generale, nel saggio la discussione sulle nuove fonti e i nuovi metodi per una storiografia che vuole ampliare il suo oggetto di ricerca nella direzione auspicata. Ma da queste ultime indicazioni si può ricavare con facilità l'importanza non solo di analisi sociologiche quantitative, ma anche, con tutti i rischi e i limiti connessi, delle fonti orali. Le storie personali non solo dei leaders o dei militanti, ma anche di semplici testimoni, potrebbero mostrare i rapporti appunto fra consumi, aspettative, domande, progetti e non solo nella protesta universitaria ma anche in altri settori. Si scoprirebbe probabilmente in maniera più chiara, quando e come fallisce la possibilità di una diversa modernizzazione nel momento cruciale della fine del lungo dopoguerra. Il saggio di Roberta Fossati Un "sogno di fusione perfetta". Il mondo cattolico e la politica dei sessi. affronta un tema interessante , quello del movimento cattolico e delle sue inquietudini. Inquietudini che coinvolgono anche le donne in un rapporto nuovo con l'immagine di sé, la propria condizione e nuove aspirazioni, fra cui quel "sogno di fusione perfetta" nei rapporti di amicizia e d'amore di cui si parla nel titolo del saggio. Anche il 68 delle donne cattoliche ha dietro di sé una storia, che inizia coi primi anni sessanta soprattutto in due ambiti: "quello di alcune associazioni giovanili e i gruppi di spiritualità coniugale". L'indagine viene svolta attraverso una ricognizione delle letture più diffuse, gli argomenti delle riviste che circolano in questi ambienti, le storie personali. Interessante anche l'analisi degli esiti di questo impegno delle donne cattoliche. "In effetti prima del 68 convivevano grosso modo tre anime in Gioventù studentesca : quella cattolico-tradizionale, anti-moderna, integralista; una più aperta ai "segni dei tempi", conciliare, progressista, e una mistica. Dopo il 68 la prima ha dato vita a Comunione e Liberazione, la seconda è quella che… "ha perso la fede" e è confluita nei gruppi della sinistra. Quelli che appartenevano alla terza, quella mistica, hanno proseguito su itinerari individuali, in varie direzioni…( da un colloquio reso all'autrice dal dottor Gaspare Insaudo -Milano). Sarebbe servito forse, a precisare il quadro, andare oltre le letture e i temi delle riviste, per ricostruire le iniziative dei gruppi cattolici sia prima che durante il 68, in particolare, per le donne, il rapporto con i collettivi femministi che sorgeranno nei primi anni settanta. Ha fatto bene Roberta Fossati a porre, all'inizio del saggio, alcune questioni ancora poco indagate dalla ricerca sul femminismo: la problematica definizione di neofemminismo, il rapporto fra emancipazione e liberazione, continuità e rottura fra il '68 e il periodo precedente, continuità e rottura fra Sessantotto e femminismo. Nessuno di questi nodi viene poi discusso nella successiva analisi. Servono però a ricordare le ricerche da fare. Fra visibile e invisibile. Il cinema italiano prima del 68, è il titolo del lungo saggio di Carmelo Adagio. Il saggio connota l'aspetto più interessante, il limite da certi punti di vista, ma anche la forza e l'interesse dell'operazione compiuta con questo libro: una impostazione rigorosa, aggiornata, estremamente stimolante, dei problemi storiografici relativi al tema scelto; un'analisi puntuale dell'oggetto della ricerca. Se il rischio, per un'analisi così approfondita, è di far perdere il senso dell'insieme, e quindi dell'ipotesi interpretativa del lungo decennio, il merito è quello di dare un'immagine ricca e complessa di quegli anni, che emergono come un grande cantiere di possibilità e, per lo storico, un terreno da esplorare ancora. Nel saggio di Carmelo Adagio c'è una prima parte in cui si pone con grande chiarezza il problema del rapporto tra cinema e storia: per la ricerca, per la didattica. Per quanto riguarda la prima gli storici hanno preferito, e preferiscono i documentari apparentemente più oggettivi, ai film, ma spesso, secondo Adagio, non si pongono il problema che anche per il documentario vale quello che vale per i film d'autore: occorre considerare l'uso che dell'immagine si fa, come ci si arriva, le regole e il contesto della produzione, perché, è ovvio, l'immagine non è la riproduzione della realtà. Basti pensare all'uso del documentario durante il regime fascista. Il cinema degli anni Sessanta verrà quindi studiato come fonte, non però di una realtà fattuale, fisica, materiale (abiti, scene ecc., che pure sono interessanti) ma come spie di una lettura della realtà, sintomo, premonizione. Inizia a questo punto un lavoro di analisi che parte dalla considerazione del cinema come industria culturale che dal 1960 al 1968 produce circa 2500 lungometraggi. Il boom economico, e il centrosinistra sono gli immediati riferimenti. Si investe di più nel cinema, si ripensa la Resistenza, con esiti diversi e non del tutto soddisfacenti secondo Adagio, ma spia appunto di una precisa volontà politica: "I legami della produzione cinematografica con i dibattiti politici in atto, con l'ingresso di una componente importante dell'antifascismo come il partito socialista nell'area della maggioranza, erano evidenti". "Segni, sintomi spie" di un disagio sono presenti, anche se in maniera episodica e frammentaria, nella produzione di registi come Rosi, Pietrangeli, Olmi e altri, una lettura vera del disagio e della nascita di nuove problematiche nella realtà e nella cultura degli anni Sessanta, e che in qualche modo possono anticipare e il Sessantotto: "dobbiamo volgerci alla ricerca della metafora o del simbolo, con quel tanto di arbitrario insito in ciò, più che alla rappresentazione realistica. Allora del conflitto, delle inquietudini passibili di sfociare in una fase di contestazione, si possono leggere alcune avvisaglie. In singoli film o nell'intero lavoro di alcuni registi". che Adagio sceglie col criterio anche di "Un film all'anno" (1963-1966): Tinto Brass (Chi lavora è perduto,1963), Bernardo Bertolucci (Prima della rivoluzione,1964) ma soprattutto Bellocchio (I pugni in tasca,1965-66), Liliana Cavani (Francesco d'Assisi,1966), Gillo Pontecorvo (La battaglia di Algeri,1966). Fin qui i singoli film, di autori che poi hanno seguito strade diverse e divergenti rispetto ai problemi trattati nel saggio. Di alcuni autori è invece tutta l'opera che conta ai fini del discorso di Adagio: Antonioni, i fratelli Taviani, Valentino Orsini, Pier paolo Pasolini, Marco Ferreri. Se col saggio di Adagio possiamo leggere il lungo decennio nel rapporto fra cinema e storia, dal punto di vista della lettura della realtà che fa il mondo del cinema (sceneggiatori, fotografi, oltreché registi), scorrendo la puntuale analisi e descrizione della produzione più significativa di quegli anni che il saggio contiene, un'altra ricerca diventa necessaria: l'impatto che questa produzione ha nell'immaginario giovanile , in coloro che "faranno" il Sessantotto. Pensiamo alla presenza in città grandi e piccole di cineforum che proponevano, in alcuni casi fino a metà degli anni Settanta, film come La battaglia di Algeri, L'avventura, Rocco e i suoi fratelli, ecc. Per finire, i saggi contenuti ne Il lungo decennio sembrano rispondere, in positivo, alla preoccupazione espressa da Domenico Starnone su "il Manifesto" del 9 aprile 1998: "Prendiamo la selva di immagini e parole con cui si sta commemorando il '68. Lo sguardo di allora è rintracciabile? Non so, non mi pare. Certo il rischio è guardare, ascoltare, leggere tanta documentazione solo per scoprire che qualcosa d'essenziale non è rimasto, che i supporti della memoria non l'hanno registrata, che noi stessi non sappiamo dirne se non con formule preconfezionate. Dov'è per esempio - nelle fughe, manganellate, scontri, devastazioni, fumo, discussioni, risse feriti, morti ammazzati che si vedono in tv o videocassetta - il sentimento capillarmente diffuso del felice prossimo annientamento di un modo ingiusto e insensato di stare al mondo? Dov'è l'impressione che ogni gesto, ogni grido fosse un segnale necessario di rottura con l'esistente, fosse la fine di ogni complicità, fosse un agire per affermare: "Non vi appartengo più"? E' questo che manca? E' di più? Difficile dire, soprattutto in questi giorni. Il gusto del futuro, nel '98, è dare lievito portentoso ai nostri risparmi comprando azioni di una qualche società pubblica entusiasticamente privatizzata..."

Argomenti di questa pagina:
Italia, storia, 1957-1967
 

 


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