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Girodivite - n° 59
/ dicembre 1999 - Danilo Dolci
Articoli e materiali pubblicati dopo la morte
Danilo
Dolci
Omaggio
a un maestro
a cura
di Daniele Novara
Se nè
andato senza preavviso Danilo Dolci, testimone della pace e della nonviolenza.
Ma ormai da tempo la sua figura era scomparsa dai teleschermi e il suo
nome cancellato dalle cronache. Passato il tempo delle manifestazioni
operaie nella Sicilia del degrado e della povertà anni 50, passata
lepoca delle grandi manifestazioni contro le basi missilistiche
e le politiche di riarmo dei governi occidentali. Danilo Dolci si era
ritirato in una speculazione impegnata sul declino della società malata
di trasmissione. Quello era il suo cruccio. Quando la comunicazione
si fa struttura di potere essa diventa violenza, perché impone il sacrificio
delle parole degli esclusi, che non possono partecipare al dibattito,
sostenere le proprie idee, le proprie sensibilità, le proprie indignazioni.
In questa società della trasmissione, non cè dialogo, non cè
fecondazione mutua, perché i discorsi sono incanalati in una direzione
sola che va da colui che parla (loratore, il giornalista, il maestro,
il conferenziere) verso colui che ascolta passivamente senza avere la
possibilità di rispondere alle provocazioni o alle sollecitazioni maturate
dai pensieri.
Ma la comunicazione
è autentica solo quando avviene tra più persone. In questo caso il messaggio
è bi-direzionale, parte dalla bocca di un soggetto, arriva alla mente
dellaltro che rielabora il pensiero e risponde secondo un movimento
orizzontale. La trasmissione invece è verticale, parte dallalto
e si scarica sulle coscienze della gente che non può rispondere.
Proprio
su questa prospettiva Dolci, in Italia, non venne capito, anzi, sempre
di più venne messo ai margini. Trovò più fortuna in America e in Scandinavia,
dove fra laltro, nel 1981, fu proposto per il premio Nobel alla
pace. Ma non era quello il riconoscimento adatto a celebrare limpegno
nonviolento di Danilo Dolci. Come per don Lorenzo Milani e per Paulo
Freire, anche per Danilo Dolci il tempo attende pazientemente che luomo
cammini con la sua cultura in attesa che nella società divampi il fuoco
della comunicazione. In tutte quelle situazioni in cui alluomo
è negata la possibilità di parola lì si esprime, palese o occulta, laggressività
e la violenza del sistema. La lezione di Dolci rimane più sconcertante
e più urgente che mai. Ed è questa la ragione per cui Mosaico dedica
a Dolci questo inserto, omaggio per un amico, un maestro e un poeta.
la biografia
Una diga
sul fiume Iato
Alberto
LAbate
Una vita
ricca di incontri e di militanza nel sociale, una testimonianza umana
tesa al continuo cambiamento personale e collettivo.
Ho saputo
della morte di Danilo mentre ero allestero, da una telefonata
molto triste di mia figlia che laveva conosciuto e apprezzato
a un seminario presso il Dipartimento di Studi Sociali di Firenze, dove
lo avevo invitato a parlare; Danilo era tornato anche lanno successivo,
invitato da un collega pedagogista. In questi incontri, limitati a non
più di 25 persone, Danilo metteva in pratica la sua idea di "laboratorio
maieutico": egli proponeva un tema (nel primo incontro "dalla
trasmissione alla comunicazione", nel secondo "creatività
e devianza") e invece di trattarlo lui stesso, faceva sviluppare
largomento agli allievi, ponendo loro domande opportune, sottolineando
aspetti comuni e divergenze di opinione, facendo poi altre domande che
mettessero ulteriormente a fuoco il dibattito successivo. Ogni tanto
raccontava un aneddoto, o un caso particolare, che lo aveva fatto riflettere
sul tema e che poteva arricchire il dibattito. Rispetto alle nostre
tradizionali lezioni accademiche era un metodo completamente nuovo che
gli studenti, in genere apprezzavano molto.
La notizia
mi ha portato a riflettere sullo strano destino (se il destino esiste)
di Danilo. Conosciutissimo e molto apprezzato allestero, dove
i suoi libri hanno avuto un grande successo, e dove era accolto come
collaboratore dai più importanti ed innovativi istituti di ricerca (Università
di Berkeley, UCLA di Los Angeles, Scuola di Francoforte, quella di Paolo
Freire, Università Gandhiane in India, ecc.), e dove era considerato
il "Gandhi italiano", è rimasto, invece, quasi sconosciuto
in Italia, tranne che in ambienti di persone anziane che avevano seguito,
con interesse, le sue lotte per il diritto al lavoro (negli anni 50),
o in alcuni ambienti pedagogici che avevano riscoperto limportanza
della maieutica; infatti, per molti giovani italiani il nome di Danilo
Dolci non significa nulla, perché non ne hanno mai sentito parlare.
Per questo
ho pensato si sviluppare questo mio ricordo in due parti: nella prima
informerò su brevi cenni biografici, utili soprattutto a quei giovani
che non lo conoscono per niente; nella seconda scriverò sul contributo
di Danilo nel campo politico e nel campo pedagogico.
La vita
Danilo
proveniva da una famiglia modesta del Nord-Italia. Il padre lavorava
nelle ferrovie ed era stato capostazione a Trappeto, il paesino in Sicilia,
in provincia di Palermo, dove Danilo avrebbe deciso di tornare, per
le immagini di estrema miseria del paese che gli erano rimaste fin da
bambino.
Compiuti
gli studi superiori a Milano, si iscrive alla Facoltà di Architettura.
Ma non finirà gli studi per una crisi personale che lo porterà ad unirsi
alla comunità di Nomadelfia e a lavorare con don Zeno, nellaccoglienza
ai bambini privi di genitori. Dopo qualche anno si stacca dalla comunità
per andare a vivere, invece, nella Sicilia più povera, in quel paesino
appunto in cui era stato da bambino. Lì comincia a tentare percorsi
per creare occasioni di lavoro e superare lo stato di disoccupazione
della zona, organizzando, dopo qualche anno, nel paese più vicino, cioè
a Partinico, il "Centro Studi ed Iniziative per la Piena Occupazione"
e per far conoscere le condizioni di vita di quella zona al pubblico
italiano e straniero. Sono di quel periodo alcuni dei suoi libri più
famosi: Fare presto e bene perché si muore, Banditi a Partinico ed Inchiesta
a Palermo. Sposa Vincenzina, una vedova povera con cinque figli, e da
lei ne avrà altrettanti. Conosco per nome solo tre di loro: Cielo, che
diventerà più tardi uno dei più noti suonatori italiani di flauto dolce,
Libera, ora insegnante di scuola materna, nata proprio nel periodo in
cui ero uno dei tanti volontari che si erano aggregati al progetto di
Danilo (lavoravo con Goffredo Fofi nel Cortile Cascino di Palermo
uno dei peggiori della città sul cui risanamento avrei poi svolto
la mia tesi di laurea), e Amico.
In quello
stesso periodo, Danilo ha vinto il premio Lenin per la Pace che gli
ha permesso di dare maggior impulso al suo lavoro. Ma lazione
che avrebbe reso la sua attività nota in tutto il mondo era stata fatta
qualche anno prima, quando aveva organizzato uno sciopero alla rovescia,
nel corso del quale Danilo stesso e qualche centinaio di contadini della
zona, avevano occupato una vecchia "trazzera" (strada vicinale
tra i campi) e avevano cominciato ad aggiustarla, per mettere in evidenza
il fatto che i lavori da eseguire da parte della collettività erano
tanti e che i contadini avevano il diritto a lavorare, diritto riconosciuto
loro anche dalla Costituzione Italiana, allart. 4. Molti di loro,
per sottolineare il carattere di protesta nonviolenta, avevano fatto
anche un digiuno. La loro richiesta era che lo Stato non si proponesse
in Sicilia solo in funzione di poliziotto, ma piuttosto, col volto di
assistente sociale e di aiuto allo sviluppo. Nel primo dei suoi libri
su citati, egli confronta il numero dei molti poliziotti presenti in
quei paesi e i pochissimi, se non del tutto inesistenti, assistenti
sociali o esperti di altre professioni per laiuto allo sviluppo.
Il processo che verrà intentato contro Danilo e i contadini, per occupazione
abusiva di suolo pubblico, servirà a far conoscere al mondo il suo lavoro
e a coalizzare intorno a lui tutti i più noti intellettuali italiani
e stranieri, tra cui i suoi stessi avvocati (Carandini, Calamandrei,
ecc.) e altri studiosi di vari settori, come gli economisti Sylos Labini
e Gunnar Myrdal, oppure il filosofo-pedagogista Aldo Capitini che gli
sarà maestro ed amico. Dal processo nasce un altro libro di una certa
notorietà, in quel periodo, Processo allart. 4.
Nel corso
delle sue ricerche Danilo aveva scoperto che, per migliorare la situazione
agricola ed economica della zona, era stato fatto un progetto che, da
molti anni, giaceva sepolto in qualche ufficio ministeriale: una diga
sul fiume Iato. Essa avrebbe permesso di creare un bacino per irrigare
i campi delle zone vicine, risolvendo così uno dei più gravi problemi
della zona, dato che, a periodi brevi di forti piogge, che slavavano
il terreno, succedevano periodi lunghissimi di siccità che rendevano,
a propria volta, i terreni quasi improduttivi. Ma la mafia si era coalizzata
contro il progetto, perché temeva potesse rivoluzionare lassetto
politico-economico della zona, e laveva fatto affossare. Le lotte
di Danilo e la notorietà che gli aveva portato il processo fecero riemergere
il progetto dal fondo dei cassetti stimolandone la realizzazione a cui
Danilo collaborò, con i fondi del premio per la pace e di tanti comitati
di amici nati in Italia e allestero, organizzando, in varie zone,
servizi di assistenza agricola che dovevano aiutare i contadini a passare
da una agricoltura senza acqua ad una che sfruttasse i benefici dellacqua
incanalata. Fu in questa occasione che Danilo ed i suoi collaboratori,
ebbero a che fare con la mafia, e Danilo ricevette anche qualche minaccia.
Importanti anche le lotte di Dolci con molti collaboratori ed il loro
digiuno nei quartieri peggiori di Palermo, per denunciare lo stato di
miseria (da lui illustrato anche in Inchiesta a Palermo) in cui gli
abitanti erano costretti a vivere, e per chiedere una politica della
casa più coraggiosa. In seguito a questo digiuno ed al lavoro fatto
in uno dei cortili più famigerati, il già citato Cortile Cascino, questo
verrà risanato.
In seguito
Danilo, per conto del giornale di Palermo, LOra, ha viaggiato
in vari paesi dEuropa e nellEst, studiando forme di programmazione
e le relative problematiche scrivendo molti articoli su questo argomento.
Gli articoli saranno pubblicati in volume (Verso un mondo nuovo), e
tradotti in varie lingue allestero faranno apprezzare
Dolci in molti ambienti progressisti interessati alla pianificazione
economica e urbanistica.
Successivamente
Danilo si è concentrato sugli aspetti pedagogici ed ha portato alla
creazione del "Borgo di Dio", (un centro di formazione costruito
a Trappeto secondo il progetto dellarchitetto De Carlo) e di una
scuola sperimentale in cui Dolci ha cercato di portare avanti una pedagogia
innovativa, basata sui principi della maieutica. Ma sarà a causa di
questa scuola che Danilo avrà i maggiori grattacapi. Gli
insegnanti della scuola infatti, probabilmente non pagati regolarmente
per la difficoltà di trovare fondi tra i sostenitori i quali, dopo il
primo periodo di grande entusiasmo, erano andati progressivamente diminuendo,
si coalizzarono e gli intentarono causa. La stampa italiana diede grande
pubblicità a questo fatto, e Danilo, di cui ormai non si parlava da
molti anni, fu presentato al pubblico italiano come sfruttatore e disonesto.
Da allora, solo piccoli gruppi di insegnanti, particolarmente impegnati,
interessati alla sua metodologia, a loro nota tramite i suoi libri (Dal
trasmettere al comunicare, e Variazioni sul tema Comunicare), lhanno
chiamato a condurre seminari e incontri di formazione. A peggiorare
la fama di Danilo, almeno per lopinione pubblica del nostro Paese,
è stato il fatto che egli lasciasse Vincenzina, la madre di cinque suoi
figli, e decidesse di convivere con una giornalista svedese, da cui
avrebbe avuto altri due figli, ma che, dopo qualche anno, lo avrebbe
lasciato.
La salute
di Danilo comincia quindi a peggiorare, per problemi di diabete, e infine
un arresto cardiaco ne provoca la morte a 73 anni.
* Docente
di Metodologia della Ricerca Sociale, Facoltà di Scienze della Formazione
- Firenze.
schede
allegate allarticolo
Intervista
educativa
Un ricordo
personale
A. LA.
Con altri
volontari, tra i quali ricordo, in modo particolare, per i rapporti
che abbiamo continuato ad avere anche in seguito, Goffredo Fofi (che
è diventato un noto critico cinematografico e direttore della rivista
"Linea DOmbra") e Grazia Fresco (che ha sposato un altro
volontario, Honnegher, e dato vita, a Castellanza, ad un asilo montessoriano
e che è considerata, in Italia, una delle maggiori esperte di pedagogia
ispirata ai principi della Montessori), andavamo, in quel periodo, ad
intervistare i disoccupati della provincia di Palermo.
Ma oltre
alle interviste ai disoccupati, previste da Danilo, che sono servite
per il libro Inchiesta a Palermo, non ci lasciavamo perdere loccasione
di fare altre interviste, utili a capire i problemi della zona. Così
a Corleone, considerata una delle basi della mafia di quel territorio,
utilizzammo il fatto di essere fermati dalla polizia (come ci è successo
anche in altri paesi), che sembrava preoccupata più per la nostra presenza
che per quella della stessa mafia, per intervistare il comandante della
stazione e chiedergli notizie sulla mafia locale. Ma le risposte furono
molto vaghe, come se questa non esistesse. Però ci bastò andare in giro
a parlare con la gente, per sapere che il capo mafia del posto era il
prof. Navarra, direttore dellOspedale locale. Così andai subito
allospedale per fargli unintervista sui problemi socio-sanitari
del comune. Alle 11.00 del mattino, il direttore mi ricevette e mi trovai
davanti ad una persona del tutto ubriaca, che non sapeva nemmeno come
rispondere alle mie domande.
Circa un
mese dopo, fu ucciso e il giornale dei benpensanti di Palermo diede
la notizia pressapoco così "Lintegerrimo prof. Navarra, ucciso
da una cosca mafiosa avversaria!". Ma ancora più interessante fu
lintervista al priore locale, anche lui, secondo la gente del
paese, in odore di mafia. La risposta del priore alla stessa domanda
fu chiarissima: "Un tempo la mafia cera, ma ormai i quattrini
se li sono fatti, ed ora è tutta gente dellordine".
Di lì la
mia vocazione ad essere un uomo del "disordine", della disobbedienza
civile e dellobiezione di coscienza al sistema in cui viviamo.
scheda
Il suggerimento
pedagogico
Esperti
di maieutica
Presupposto
essenziale del nuovo centro educativo è che i bambini, i ragazzi, hanno
interessi vitali: questi vanno scoperti e sviluppati da loro in collaborazione
con persone che abbiano il gusto e la capacità di scoprire, di realizzare,
di proporre attorno a sé validi interessi.
Il bambino,
il ragazzo, non deve essere spinto al centro: deve risultarne attirato.
Un educatore è essenzialmente un esperto di maieutica: intesa come processo
di chiarificazione teorica e pratica di gruppo, che avviene sulla base
dellesperienza e dellintuizione di ciascuno. Dai primi anni
avvia i ragazzi del gruppo a sperimentare come si può ricercare insieme,
come ci si può comprendere, come si può decidere insieme, come si può
agire insieme: come ci si può coordinare e come ciascuno può divenire
maieuta.
Non si
vuole linsegnante che parli di musica: il musico educa alla musica;
il "letterato" non parte dallalfabeto e dalla grammatica
ma aiuta alla scoperta e alla comunicazione poetico-linguistica; il
pittore-scultore alla scoperta e allespressione della forma attraverso
il disegnare, il dipingere, il modellare; il matematico alla scoperta
e alla formulazione delle relazioni quantitative, ma non solo di queste;
mentre il chimico, il fisico, il biologo sono impegnati con ciascuno
nella scoperta chimica, fisica, biologica, un esperto di problemi di
correlazione è impegnato con ciascuno alla scoperta delle radici e dei
contesti storico-geografici.
* D. Dolci,
Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974, pp. 289-290.
politica
e pedagogia
Laboratori
di pensiero
Alberto
LAbate *
La collaborazione
con Capitini per la Costituzione delle regioni, limpegno nelleducazione
maieutica: questi i contributi di Dolci negli ambiti politici e pedagogici.
Parlare
della rilevanza di Dolci, per la politica italiana può sembrare una
pretesa eccessiva. Al più, le persone che lo conoscono sono disposte
a riconoscergli i meriti di un intellettuale che ha scritto non solo
libri di denuncia sociale, ma anche di poesia, molto apprezzati, ad
esempio da Mario Luzi (Creatura di creature, e Palpitare di nessi);
ma non ritengono che la sua azione possa avere avuto una pregnanza anche
politica. Eppure, ad analizzare bene, questa cè stata. Al momento
in cui Danilo ha cominciato a lavorare in Sicilia, già fin dal 1952,
pur essendo scritto, nella nostra Costituzione, che lItalia è
uno stato regionale, nessuno dei partiti rilevanti aveva intenzione
di attuare tali indicazioni. Infatti, la Democrazia Cristiana, pur essendo
nata con un programma di decentramento, era al Governo e aveva paura
che la costituzione delle regioni le facesse perdere una parte del proprio
potere. Il Partito Comunista, daltra parte, essendo in crescita,
sperava di effettuare abbastanza presto il sorpasso politico, in un
modo o nellaltro (in quel periodo non aveva ancora del tutto abbandonato
la vocazione rivoluzionaria per assumere invece, come avviene poi, la
via riformista) temeva anche esso che la regionalizzazione del Paese
potesse diminuire il suo futuro potere. Daltro canto, questo atteggiamento
da parte dei partiti era emerso chiaramente anche nei riguardi di una
proposta elaborata da Aldo Capitini, che come accennato
era stato maestro ed amico di Danilo e aveva anche scritto un libro
su di lui, trovando unanalogia tra il lavoro di Dolci e la propria
impostazione politica. Capitini, che era stato il primo in Italia a
parlare di nonviolenza e di Gandhi, persino durante il fascismo, aveva
poi dato vita in varie città dItalia ai COS (Centri di Orientamento
Sociale) in quello stesso periodo: questi erano circoli culturali dove,
in genere, ci si incontrava due volte alla settimana, una volta per
discutere dei problemi locali, e trovare per questi, le migliori soluzioni
invitando gli amministratori a venire a discuterne con la popolazione,
laltra per discutere, invece, di problemi mondiali di pace e di
guerra, in modo da evitare di chiudersi in se stessi, pensando solo
ai problemi locali, cominciando, al contrario a dar vita a una cittadinanza
mondiale. Capitini riteneva, infatti, che il problema di fondo non fosse
tanto la gestione del potere, quanto il suo controllo dal basso, e i
COS dovevano essere, appunto, strumenti di controllo dal basso, non
solo dellamministrazione locale, ma anche della politica estera
nazionale. Ma questo tipo di iniziative non piacquero né ai democristiani
né ai comunisti, che erano al potere nella maggior parte dei Comuni,
e che vedevano questo controllo dal basso come una ingerenza sulla loro
gestione, tanto che lesperienza dei COS trovò lopposizione
di molte amministrazioni comunali e durò pochissimi anni, finché tutti
i COS si chiusero. Lerede di queste idee fu il movimento del 68,
che trasse da Capitini e da Dolci molti stimoli, parlando di assemblea,
democrazia dal basso e partecipazione sociale.
Infatti,
mi ha colpito molto vedere, in una rivista italiana, la genealogia del
movimento del 68 e ritrovare tra i leaders di questo movimento
i nomi di molte delle persone che, con me, avevano lavorato con Danilo
(tra questi Vittorio Rieser, Giovanni Mottura, e altri). Ed è stato
sicuramente limpatto di questo movimento (che si è poi esteso
anche a livello sindacale con le lotte sulla non delega riguardo alla
salute degli operai) sulla società italiana, che ha fatto riprendere
il progetto anche questo chiuso in qualche cassetto ministeriale
della costituzione delle regioni e ha portato, qualche anno dopo,
allattuazione del dettato costituzionale, fino ad allora dimenticato.
Il contributo
in campo pedagogico
Non essendo
un pedagogista tratterò solo brevemente questo argomento. Il metodo
di Danilo di comunicazione maieutica offre un contributo non indifferente
al superamento di una pedagogia "verticale", unidirezionale,
per dar vita, invece, a una pedagogia "orizzontale", bidirezionale.
Danilo conosceva il lavoro da me svolto, per più di dieci anni, nella
scuola estiva a San Gimignano, e il libro che ne avevo tratto, e mi
ha telefonato varie volte per complimentarsi e per chiedermi un contributo
al suo Variazioni sul tema del comunicare, invitandomi a partecipare
a un grande convegno sulla maieutica, che voleva organizzare in collaborazione
con lUniversità di Messina. Non mi risulta che questo convegno
sia poi stato fatto. E daltra parte io non ho risposto alla sua
richiesta di scrivere una nota per quel suo libro, perché non ho trovato
né il tempo né lo stato danimo per fare questo lavoro. Ho risposto
a Danilo, invitandolo a venire al nostro Dipartimento per illustrarci
il suo "Laboratorio Maieutico". E devo dire che ho trovato
il suo metodo molto interessante ed istruttivo, soprattutto lanno
successivo, quando Danilo era alla ricerca di risposte alle domande
che si poneva; a differenza della prima volta, quando riproponeva i
temi su cui aveva già lavorato e pubblicato molto. Questo mi ha ricordato
una teoria citata in un convegno internazionale a Bologna sulleducazione
alla pace ("Studiar per pace"): distinguere tra una educazione
basata su domande legittime e una basata sulle domande illegittime.
Le domande illegittime sono quelle di cui linsegnante sa già la
risposta, quelle legittime sono, invece, quelle a cui non sa ancora
rispondere. Secondo lo studioso che ha presentato questa distinzione,
luso in pedagogia delle domande illegittime (cioè il modo normale
di insegnare, non solo in Italia ma anche allestero) porta gli
allievi allapprendimento mnemonico, nozionistico e li abitua alla
passività e alla ripetitività; luso, invece, delle domande legittime
porta gli allievi a un atteggiamento critico e stimola in loro la creatività
e linnovazione. Lo studioso in questione concludeva che leducazione
alla pace e alla nonviolenza necessita di un insegnamento basato sulle
domande legittime. I seminari con Danilo mi hanno aiutato a comprendere
che non è tanto la tecnica utilizzata, che è importante (in questo caso
il laboratorio maieutico), quanto il modo in cui la tecnica viene condotta.
Se linsegnante ha, infatti, già in mente le risposte che egli
ritiene giuste, e su queste indirizza il dibattito degli allievi, anche
se usa la maieutica, cercherà sempre di indirizzare la discussione su
tali risposte e lascerà, perciò, gli studenti meno liberi di esprimersi
e di parlare; se, invece, è egli stesso alla ricerca di una risposta,
lascerà molta più libertà e spontaneità al dibattito, e in tal caso,
anchegli, da docente, diventerà allievo. Solo nel secondo caso
si potrà realmente parlare di "maieutica" come approccio pedagogico,
mentre nel primo si sarà solo usata una tecnica, per stimolare gli interventi
degli allievi che spesso usciranno dallincontro delusi (forse
anche sentendosi strumentalizzati). È questo ciò che avrei dovuto scrivere,
per quel libro di Danilo, per il quale mi aveva chiesto un contributo.
Purtroppo solo ora che è spirato e che ho dovuto riflettere sulle tante
cose imparate da lui in particolare limportanza di studiare-denunciare-agire
senza fermarsi che ho chiara questa distinzione.
* Docente
di Metodologia della Ricerca Sociale, Facoltà di Scienze della Formazione
- Firenze.
scheda
allegata
La
proposta
Il manifesto
Non dobbiamo
temere la diagnosi.
Una malattia
ci intossica e impedisce: la vita del mondo è affetta dal virus del
dominio, pericolosamente soffre di rapporti sbagliati.
Chi non
medita, non pensa liberamente, non distingue fra ipnotizzante trasmettere
e comunicare.
Arduo è
sortire dallinganno che diviene norma.
Occorre
indagare più a fondo lessenza del comunicare ma già il bambino,
che sa "vedere il re nudo", può intendere:
- il comunicare
autentico (difficile e raro esito di attenta reciprocità, non soltanto
vicenda di parole) rinforza i sistemi immunitari della vita terrestre,
ci libera dalle nostre parassitosi, è indispensabile alla crescita civile;
ci appelliamo
a tutti
coloro cui non sfuggono gli intimi nessi tra la valorizzazione delle
intime risorse inesplorate di ognuno e la pace
invitando
ciascuno, dovunque possibile, a:
- promuovere,
soprattutto con i giovani, iniziative in cui ognuno possa esprimersi;
- promuovere
autoanalisi;
- favorire
la non miope scoperta dei propri interessi;
- provocare
analisi, confronti e verifiche su certi eventi emblematici;
- formare
e moltiplicare in ogni ambito e a ogni livello esperti di come possiamo
crescere in gruppi che favoriscano la creatività personale e di gruppo:
sostituendo allautorità unidirezionale, strutture di strutture
creaturali dallintimo.
* Liberamente
tratto da D. Dolci, Bozza di manifesto, Sonda, Torino 1989, pp. 9, 12-14.
lesperienza
in Sicilia
Danilo
che piantava uomini
Giuseppe
Casarrubea *
Lesperienza
di Dolci, settentrionale trapiantato in Sicilia per scelta, a fianco
dei contadini di Partinico.
Se ne è
andato come era venuto, povero tra i poveri, un giorno del lontano 1949,
quando era sceso alla stazione ferroviaria di Trappeto, con tante idee,
per la testa e cinquanta lire in tasca. Aveva venticinque anni. Triestino
come il suo amico Gastone Canziani, allievo di Adler, si era formato
alla scuola di don Zeno, a Nomadelfia, negli anni in cui lItalia
sperimentava le repressioni scelbiane e i manganelli della "Celere".
Alla base di tutta la sua esperienza credo ci sia sempre stata una grande
aspirazione religiosa, verso un Dio che coglieva negli uomini, nei volti
scarni e sofferenti dei contadini di Partinico, nella miseria dei pescatori
di Trappeto, negli ultimi. Ma il suo modo di sentire questo mondo marginale
e di emarginati, non era la quieta rassegnazione. Pace scriveva
non è un sinonimo di quiete, ma di lotta. "È un modo di
essere vivi che ha implicito visione serena, sforzo per educare e perfezionare,
fatica per risolvere".
Accompagnandolo
ora nel piccolo cimitero di Trappeto, tutto ricorda il suo arrivo, quasi
per una sorta di coincidenza degli opposti: linizio e la fine,
la vita e la morte, la miseria e lo sviluppo, il passato e il futuro.
Se ne è andato allo stesso modo di come era vissuto, col volto della
serenità e la gioia produttiva di vivere. Una delle sue massime era:
"Vivi in modo che in qualsiasi momento muori o tammazzano,
muori contento". Così è morto con la serenità dei grandi. Per quanto
possa sembrare paradossale per un uomo abituato a girare il mondo, per
imparare a diffondere il metodo della lotta nonviolenta, la sua casa
di Borgo di Dio, come ebbero a battezzarlo subito i pescatori del luogo,
umile e dimessa, tra gli eucalipti, fu la culla del suo mondo, la sua
nicchia protettiva. Essa domina su Trappeto e sul golfo di Castellamare.
Qui ci riunivamo, prima ancora che sorgesse il Centro residenziale da
lui fondato, per progettare il futuro, da educatori. Ricordo ancora
le baracche dove dormivamo: sorgevano su un terreno acquistato con unofferta
fatta da Elio Vittorini, suo amico. Poi fu costruito il Centro frequentato
da molti suoi amici: Lucio Lombardo Radice, Ernesto Treccani, Antonio
Uccello, Eric Fromm, Johan Galtung, Paolo Sylos Labini, Emma Castelnuovo,
Clotilde Pontecorvo, Paolo Freire, e tanti altri. Piccole e grandi sale
di discussione, con enormi tavoli circolari, dove nessuno potesse sentirsi
al centro; una grande sala mensa, dove spesso si pranzava o cenava con
lui, si continuava in altra forma il lavoro di sempre; il laboratorio
artistico, lauditorium con le belle pitture murali di Ettore De
Conciliis: contro la repressione, il potere mafioso, luccisione
della vita. Qui si tenevano concerti o incontri culturali. Ricordo,
tra i tanti, quelli col maestro Sollima o Carlo Levi. Sullo sfondo,
restavano sempre, come filo conduttore, gli insegnamenti di Gandhi e
Aldo Capitini.
Contro
la mafia
Aveva rispetto
per tutte le forme dellintelligenza, dei grandi come degli umili.
Era amico degli umili e nemico giurato dei potenti, di quelli che intendono
il potere come dominio. Per questo fu acerrimo nemico della mafia, contro
la quale combattè in tempi non sospetti, quando era solo contro un mondo
ostile, a lottare contro democristiani potenti come Messeri, Volpe e
Mattarella, dei quali documentava, con un lavoro porta a porta, come
avessero costruito un sistema clientelare-mafioso, principale impedimento
allo sviluppo. Fu denunciato per diffamazione, e i giudici gli diedero
torto. Ma la condanna era nel suo calcolo dei rischi. Ciò che contava
per lui era ciò che andava fatto, a qualunque costo. Anche ai tempi
dello sciopero alla rovescia, era stato "caricato" dalla polizia,
denunciato come individuo con spiccate capacità a delinquere, messo
in galera con i sindacalisti che lo avevano appoggiato (Salvatore Termini,
Ignazio Speciale e tanti altri), processato e condannato. La sua colpa
era stata quella di avere condotto i disoccupati di Partinico a sistemare
una trazzera impraticabile, di avere "inventato" il lavoro,
con unopera di fantasia. Gli furono accanto Ferruccio Parri, Piero
Calamandrei, Fausto Tarsitano, e molti insigni giuristi. In cella, conobbe
dei banditi che avevano fatto parte della banda di Giuliano. E così
nacque Banditi a Partinico, dove scrisse che lessenziale è "il
modo della rivoluzione".
Nel 1952,
quando fondò il Borgo di Dio, il banditismo era al tracollo, ma i tassi
di violenza che si registravano nel territorio da lui prescelto per
la sua azione, erano tra i più elevati dItalia. Un bracciante
o un pescatore guadagnavano 400 lire per una giornata di dodici ore
di lavoro, quando si riusciva a trovarlo. Nel quartiere Spine Sante
a Partinico, su 330 famiglie 319 non avevano acqua in casa, i due terzi
delle case non avevano fognature, il tasso delle malattie mentali era
elevato. Se nel quartiere della Via Madonna il banditismo era apparso
come il rimedio naturale alla impossibilità di trovare delle vie legali
alla sicurezza sociale della popolazione, a Spine Sante non si registrava
neanche questo atteggiamento ribellistico. Qui regnavano le malattie
endemiche e la follia. Emblematica di questa condizione di diffusa miseria
è la sua prima inchiesta sociologica nella zona di Palermo, ripresa
poi in Fare presto (e bene) perché si muore (La Nuova Italia, Firenze
1954).
Se si sta
attenti alle date, si può constatare agevolmente che lungo il primo
periodo della sua esperienza si colgono gli elementi fondanti lintera
sua iniziativa, politica e civile ad un tempo. I fatti storici che la
spiegano sono racchiusi tra due date importanti: luccisione del
bandito Salvatore Giuliano (5 luglio 1950) e lassassinio di Salvatore
Carnevale, nel 1955. In essa si definisce il gioco delle parti, come
se ciascuno degli attori fosse indotto a togliersi la maschera. Lo Stato
e la Chiesa sono contro di lui. La polizia lo arresta per lo "sciopero
a rovescio", nel 56. Nel 55 pubblica su Nuovi Argomenti,
la rivista diretta da Moravia e Carocci, dei racconti autobiografici
di ragazzi che vivevano negli ambienti degradati di Palermo, il lavoro
preliminare di Inchiesta a Palermo. Subisce un altro processo. Troviamo
a difenderlo Carlo Arturo Jemolo, lo storico della Chiesa, e accanto
a lui avvocati di grido, intellettuali, comuni cittadini.
Una vita
speciale
Aveva una
grande capacità di adattamento, si adattava alla Sicilia, come alla
galera, al digiuno come a qualsiasi sofferenza. Era assolutamente incurante
della sua salute. Pensava che le malattie dovessero avere paura di lui
e non viceversa. Negli ultimi tempi era andato in Cina ed era tornato
con una broncopolmonite. Ma non se ne dava pensiero più di tanto. Aveva
imparato molto dai contadini: la semplicità dei costumi, lumiltà
e lamore per la natura, lanimazione del mondo. Si alzava
allalba come loro, senza eccezione. Senza il mondo contadino la
sua azione sarebbe stata priva di senso perché era questo mondo che
lo spingeva ad inventare, con i suoi bisogni, dighe mai pensate prima,
a concepire la vita come un processo di semplificazione, di riduzione
delle cose allessenza.
La diga
sullo Jato si sviluppò come progetto, in lui, grazie allinconsapevole
metafora di "Zu Sariddu" che, in una delle riunioni tenute
presso il suo Centro Studi per la piena occupazione, ebbe
a dire: "Ci vulissi quarchi cosa comu un vacili pi teniri tutta
lacqua nsemmula (Ci vorrebbe qualcosa come una bacinella,
per tenere lacqua tutta assieme)". Amava soprattutto la storia
di quel mondo fatto di secolari sofferenze, di battaglie e sangue. Scrisse
così le memorie orali su Accursio Miraglia di Sciacca e Placido Rizzotto
di Corleone, dirigenti sindacali che avevano animato le lotte per la
riforma agraria, come più tardi avrebbe fatto, sul loro esempio, Salvatore
Carnevale nella Sciara del feudo. Tutti morti ammazzati per aver combattuto
contro la mafia.
Miraglia
fu certamente un modello per lui. Ne seguì lesempio nelle lotte
di Roccamena per la costruzione della diga Garcia, quando riusciva ad
unire, nei primi anni 60, contadini e intellettuali nella stessa
direzione. Me lo ricordo con Ignazio Buttitta, nella piazza di questo
paese, attorno a un fuoco, una sera fredda dinverno, durante gli
scioperi e le lunghe marce per la pace e la ricostruzione dei paesi
della Valle del Belice, distrutti dal terremoto del 1968. A seguirlo
cera un ragazzo come Peppino Impastato, che dieci anni dopo doveva
saltare in aria, imbottito di dinamite, nel paese di don Tano Badalamenti
già capo della cupola mafiosa. Il suo più grande merito è stato quello
di capire da quali radici partire per sviluppare il percorso del cambiamento,
seguendo un percorso coerente con la storia e le condizioni della Sicilia
occidentale. In questo sforzo ha anticipato tutti, sinistra compresa.
Ricordo, ad esempio, che andavo a trovarlo al Centro di largo Scalia,
a Partinico. Dietro la sua scrivania, in alto, leggevo sulla parete
un datzebao, scritto, di suo pugno, a caratteri enormi: "Che cosa
successe nel baglio dei Parrini?". Non glielo chiesi mai, sapevo
che mi avrebbe risposto di attivarmi per saperlo: il suo compito era
anche quello di suscitare interrogativi. E quello me lo portai dentro
per decenni, fino a quando non mi sono imbattuto nella ricerca sulla
strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947). Era un luogo dove
si riunivano banditi, mafiosi e politici; uno dei tanti luoghi
come ebbe a dichiarare Pisciotta, poi avvelenato con una tazza di caffè
alla stricnina, allUcciardone di Palermo dove la mafia
ordiva con chi aveva le leve del comando i tanti misfatti compiuti in
Sicilia negli anni del decollo del centrismo.
Profeta
dei nostri tempi
Aveva una
grande capacità di intuizione che anticipava i tempi. Del resto soleva
dire con un proverbio cinese: "Chi guarda avanti dieci anni pianta
alberi, chi guarda avanti cento anni pianta uomini".
Ebbe parecchie
lauree honoris causa, ma non si sentì mai un professore,
né mai si qualificò in qualche ruolo che potesse definirlo socialmente.
Fu agitatore missionario, educatore di coscienze, utopista, un maestro
di maieutica. Non socratico (Socrate accendeva nellaltro la verità
che egli aveva in mente) si adoperò perché ciascuno potesse esprimere
la verità che possedeva, attraverso un processo comunicativo. E avvertiva
il grande pericolo dei nuovi poteri massmediali, il berlusconismo consumistico,
i rischi della mistificazione, la confusione dei fatti trasmissivi con
quelli comunicativi.
Danilo
è stato come un grande albero che ha perso nel tempo foglie e rami,
ma sono spuntati sempre in qualche parte del suo tronco, teneri germogli,
e cosa più importante sono nate nuove piante, a Partinico o a
Trappeto, o in altre parti del mondo. Alcuni hanno appreso la sua lezione
da "chierichetti", altri da allievi autonomi. Ma si farebbe
un torto a Danilo se, volendo dare seguito al suo insegnamento, qualcuno
avesse la stupidità di dichiararsi erede testamentario, investito del
titolo di discepolo. Verso Danilo non si poteva, infatti, non avere
un rapporto di odio-amore, di ammirazione non servile e di distacco,
anche se questo poteva dispiacergli. Fin dallinizio della sua
esperienza non ci sono mai state, in chi lo ha seguito con maggiore
attenzione e onestà, altre strade percorribili.
* Preside
della Scuola Media Privitera di Partinico.
schede
allegate
il terremoto
Inventare
il futuro
Partinico,
14 gennaio 68, ore 13,29. Una scossa di terremoto. La gente attende
un momento perplessa, il suolo torna fermo, ciascuno torna ai fatti
suoi.
Nei giorni
successivi i giornali conservatori, la radio e la televisione (statali
in Italia), che formano la maggioranza dellopinione pubblica spesso
in direzione opposta ai veri interessi della maggioranza, tacciono sulle
precise cause del disastro: discutono su come gli aiuti devono essere
distribuiti, danno rilievo alle "gare di solidarietà con i sinistrati",
danno vastissimo rilievo al susseguirsi delle autorità in visita alla
zona (un capomafia ad alto livello politico cura di apparire compunto
in prima fila tra i bambini che assistono alla Messa, mentre gira la
Tv), si soffermano sui casi più pietosi, aprono talora sottoscrizioni,
motteggiano tra le righe le famiglie esitanti a rifugiarsi sotto altri
tetti, esitanti ad abbandonare terra e mulo.
La maggiore
difficoltà? Lenormità del lavoro che ci aspetta. È vero che per
procedere dobbiamo sapere di massima dove andare, ma le indicazioni
particolari ed il come esatto, si scoprono strada facendo.
Non vendersi,
non accettare il prostituirsi come il modo di risolvere i propri problemi,
opponendosi a quanto si disistima: lo si decide.
Buttarsi
per realizzare una vita nuova, lo si decide.
Non sedersi
ai primi insuccessi o successi, lo si decide.
Formarsi
una sistematica capacità di conoscere, concentrarsi, non lasciarsi risucchiare
dalle mode improvvisate o commercialmente pianificate: si decide e si
impara.
Collegarsi
a quanto ha valore e lavorare insieme: se si vuole, si impara:
A non aspettarsi
di trovare già pronti e a punto gli strumenti che ci sono necessari,
a costruirli appositamente giorno per giorno, e nel contempo a non rifiutare
di assimilare quanto può venire da altrove, da altri tempi; si impara:
A fare
in modo che le persone possano conseguire il massimo attraverso la loro
opera, e ad investire nel contempo in chi non ha, affinché ciascuno
sia valorizzato al massimo; si impara.
Dicevo,
a proposito del terremoto: ad avere giusta fiducia, si impara.
* Liberamente
tratto da D. Dolci, Inventare il futuro, Laterza, Bari 1972, pp. 111,
114, 140-141.
lanalisi
Per maturare
Nessuno
è autosufficiente. Nessuno può presumere di detenere la verità. Nessuno
può arrogarsi il diritto di imporsi agli altri.
Ci occorre
sviluppare la coscienza dellautodeterminarsi, recuperare lesperienza
personale e collettiva. In solitudine non si matura. Comunicare chiede
anche coraggio. (...)
Nel diffuso
appiattimento di chi assorbe nelle case quanto gli è iniettato dai pochi
dominatori, intuire e produrre necessarie alternative è creatività:
innovando strutture di rapporti e strutture mentali per vedere, ascoltare
e elaborare, anche lottando nel denunciare, e pure eliminare, rapporti
e ordinamenti parassitici. Se ognuno, ampliando, approfondisce il suo
comunicare, può attuare il potenziale, riesce ad inventare con gli altri
una comune lingua più vera e potente. E nuovi fronti.
Dobbiamo
ridestare locchio vigile dentro noi assopito. Se non ci confrontiamo,
non cresciamo. Nellesperienza trasformiamo annunci in conoscenza
e comunicazione: lesperienza ci imprime provvisorie certezze,
ci sostiene nel convivere con lincompleto, fra domande senza una
risposta.
* D. Dolci,
La comunicazione di massa non esiste, P. Laicata edizioni, Roma 1995,
pp. 149-150.
la struttura
creativa
Contro
il virus del dominio
Danilo
Dolci
La struttura
creativa: antidoto al virus del dominio; questo il tema della relazione
di Dolci al convegno di Cem-mondialità nell87. Ecco alcuni stralci
di quel significativo intervento.
Vorrei
soprattutto sottolineare due punti, incominciando col dire che viviamo
in uno stato confusionale. Ognuno, il mondo stesso, vive in uno stato
confusionale. Non sappiamo vedere, non sappiamo nemmeno guardare. Vedere
è difficile. Quali sono le scuole che ci aiutano a imparare a guardare?
Quali sono le ore in cui noi andiamo nel giorno (come faceva Leonardo,
come fa ogni persona che vuole veramente intuire, capire) a imparare
guardando? Senza rimorso? Quando mai noi andiamo a vedere dei gabbiani
per qualche ora? E il rapporto che cè tra le api e i fiori? Siamo
sicuri, noi, di saperli guardare e meditare?
Nelle più
diverse lingue si dice indifferentemente guardare per vedere. Dicevo
di stato confusionale. Non sappiamo nemmeno cosa diciamo. Non migliaia
di persone, non milioni di persone, ma decine di milioni, centinaia
di milioni di persone parlano di cose inesistenti.
Massa vuol
dire pasta e la pasta non può pensare, semmai un organismo può pensare.
Si sente dire "comunicazione di massa". Ma non esiste la comunicazione
di massa, anche se milioni di persone, appoggiandosi gli uni agli altri,
scrivono o dicono cose di questo genere; perché la massa si appiccica,
ma la massa non comunica. E comunicare è un fatto raro, sempre personalizzato
e implicante reciprocità. Se una madre dà il latte al suo bambino può
essere che comunichi, può essere che comunichi il bambino con lei, ma
può essere anche no, se distratti. Sovente non sappiamo quello che diciamo,
non sappiamo quello che pensiamo.
Talora,
lavorando nelle scuole, tento di fare in modo che ciascuno, a casa,
per dei mesi, usi un testo, certe volte un testo mirato, indicando:
io qui sono daccordo, qui non sono daccordo, oppure qui
mi è oscuro. E mi accorgo che è molto difficile trovare persone che
si allenino, si addestrino a formulare la propria opinione. Tante volte
lopinione è di seconda, di terza, di quarta o di quinta mano.
Difficile è trovare centri di coscienza. Già non si guarda, non si sa
quel che si dice: se poi non si medita, non si hanno proprie convinzioni.
Propongo
sovente un esempio significativo in molte direzioni. Si pensa che la
donna incinta, attraverso il cordone ombelicale, formi il suo bambino.
Per centinaia
di milioni di persone, per centinaia di enciclopedie e di libri tranquillamente
si dà per ovvio un rapporto unidirezionale. Il che non è assolutamente
vero, è tutto molto più complesso.
Quando
la prima cellula fecondata, dallovaio cerca ove andare, ove consistere,
appena riesce a trovare emette dei villi, così li chiamano gli scienziati,
che si aggrappano al tessuto materno e lo sollecitano a mandare sostanze,
in modo che il progetto insito nel DNA possa divenire embrione, possa
diventare creatura.
Voi sapete
che il più complesso dei computer non ha tante informazioni come la
mente di ciascuno di noi e voi sapete che la mente di ciascuno di noi
non ha tante informazioni quante sono contenute nel DNA dello zigote,
linizio di quel trilione di cellule di cui consiste ognuno di
noi.
Dovè
il punto importante? In quel momento liniziativa viene dallo zigote,
viene dallembrione. Il rapporto tra lo zigote-embrione e la madre
è bidirezionale. Come sempre ogni rapporto vivo. Ogni rapporto esclusivamente
e continuativamente unidirezionale è rapporto violento.
Pensiamo
a due innamorati. È la stessa cosa se i loro rapporti sono unaccozzaglia
di rapporti unidirezionali (cioè parassitici e di dominio), oppure se
il rapporto tra i due innamorati è di reciproco adattamento creativo?
Anche se diverso, è il rapporto di reciproco adattamento creativo che
permette alla madre di diventare creativa. Se non ci fossero zigoti
la madre non avrebbe la possibilità di formare il bambino. Se noi domandiamo
a uno scienziato, ad un esperto di genetica, che cosa arrivi alla madre
da uno zigote, prima ci direbbe "non so" e poi, se insistessimo
dicendo: "ma questa donna diventa diversa ogni giorno, la vediamo
che si adatta a creare", "ecco potrebbe dire lo scienziato
, quello che arriva alla madre è questo adattamento alla creatività".
Come mai prima pensavamo che quel rapporto, quel cordone ombelicale
era unidirezionale? Dopo avere riflettuto a lungo, anni e anni, e aver
verificato con diversi esperti, penso non sia un caso. Ad una cultura
del dominio corrisponde facilmente una visione dei rapporti unidirezionali.
Tutti creativi
Cosa voglio
dire? Nel mondo della cultura di dominio, sovente non abbiamo dubbi
pensando che una cosa esista prodotta da un rapporto unidirezionale.
Un rapporto vivo è estremamente complesso, solitamente pluridirezionale.
Così dovrebbe essere in ogni ambiente, anche in ogni classe.
È importante
che noi rileviamo le caratteristiche dellanalogia tra fertilità
e creatività, in un mondo in cui la scuola diventa molto spesso mass-media,
un mezzo che induce a massa. Dobbiamo domandarci se respirare è un lusso
o una necessità.
Domandarsi
se pensare è un lusso o una necessità. Se meditare è un lusso o una
necessità, per ognuno. Se essere creativi è un problema soltanto di
Johan Sebastian Bach o Einstein o per ognuno, se corrisponde alla natura
della creatura. Natura vuol dire nascitura, è una contrazione di nascitura.
In questo senso, non essendo creativi, si viene meno alla nostra natura,
si forma come un vuoto che viene poi riempito da quegli ersatz, da quei
surrogati, che noi chiamiamo droghe. Abbiamo parlato di unanalogia
tra fecondità e creatività in cui essere diversi è essenziale. Possiamo
ora essere più chiari sulla seconda analogia, tra il virus e il dominio.
Cosè
il virus? Immagino quanti esperti possano insegnarcelo. Detto in parole
molto semplici, il virus è una strana specie, potrei dire, di mancanza
di esistenza: per riuscire a riprodursi, deve infilare il suo DNA, il
suo progetto, o il suo RNA, nel progetto della cellula.
Cioè il
virus per riprodursi immette, direi scolasticamente, il suo progetto
nel progetto della cellula viva, per informarla a produrre degli agenti
virali, i quali saranno, guarda caso, tutti uguali. Lagente virale
numero 13477 o 23439 o 89000, fino a che la cellula scoppia, tutti uguali.
Ecco lenorme differenza tra il mondo della creatività e il mondo,
diciamo, virale. Di diverso tipo, tutti i fatti virali, sono malattie.
Il guaio è che quando questi fatti avvengono nella chiave storica del
dominio, non tutti ci accorgiamo che questa è una malattia.
Quando
ci troviamo di fronte non a delle cellule che vengono espropriate di
sé, in cui il virus è perfetto parassita, quando ci troviamo di fronte
a delle fabbriche, siano esse di automobili o di persone fabbriche
che fanno non soltanto oggetti tutti uguali, ma tendono a produrre uguali
anche quelle che dovrebbero essere creature (cioè tutte creative, tutte
diverse) non ci accorgiamo che siamo di fronte a una malattia.
Peggio. La gente tante volte guarda con ammirazione questi terribili
mali, rimane a bocca aperta di fronte a una fabbrica che produce persone
uguali, non solo macchine uguali: tanto più se dietro cè una squadra
di calcio che vince spesso, tanto più se dietro cè un padrone
che ha uno splendido panfilo col quale va nel mare o nelloceano,
portando con sé la fantasia ammirata della gente che rimane a terra.
Se il dominio,
il virus del dominio è un malanno, bisogna verificare quando noi siamo
vittime e quando noi siamo complici. Poiché la caratteristica del malanno
è il parassitismo, tanto il lasciarsi parassitare quanto lagente
virale partecipano alla malattia.
Non sono
tanto ingenuo da dire che il padrone di una fabbrica è un virus. Voglio
dire che il dominio ha delle caratteristiche che vanno profondamente
studiate perché le analogie tra virus e dominio sono impressionanti.
Dicevamo che viviamo e parliamo in uno stato confusionale. Se io sparo
a una persona io non le comunico. Se prendo uno per il bavero, se gli
metto una catena e lo tiro, non comunico. Comunicare e lo sapevano
già Cicerone e Livio, precristiani ma non analfabeti è altro.
Chi domina
non dice "noi siamo i dominatori", parla semmai di potere,
ma noi dovremmo aver chiaro che il dominio è la malattia del potere.
Quando si parla di affiatamento in un quartetto, quando si parla di
intesa, che cosa sintende? Che significa ascoltarsi? Uno si ascolta
ascoltando laltro, gli altri: ascolta il volume (non deve essere
né troppo alto, né troppo basso), ascolta il tono, ascolta il colore,
le intonazioni, il ritmo e tanto altro. Non cè un diapason che
ogni momento dà il tono. Non cè un metronomo che dà il tempo.
Questa è quasi una figura di un comunicare che può esistere anche oltre
la musica. Ma un trio, un quartetto impiega talora decenni per formarsi.
E la gente, quando batte le mani, e non lo sa, le batte non tanto per
la musica ma per quanto la musica rappresenta. Un mondo che veramente
comunichi e in cui le persone crescono perché riescono a comunicare
attraverso un reciproco adattamento creativo è un mondo utopico, si
dice. Stiamo a quello che viene presentato dalla scienza più rudimentale.
Uno zoologo
ha diviso dei gattini in tre gruppi. Il primo gruppo se avesse, ad un
certo segnale luminoso, toccato una levetta, avrebbe ottenuto il cibo.
Dopo venti giorni, non è accaduto. Il secondo gruppo di gattini aveva
un dimostratore, cioè un gatto che sapeva il trucco, sapeva al segnale
come fare arrivare il cibo. È interessante il fatto che questi gattini
abbiano imparato con una media di diciotto giorni e mezzo. Il terzo
gruppo di gattini aveva per dimostratore la mamma dei gattini. Sapete
quanti giorni in media sono stati necessari affinché riuscissero ad
azionare il congegno? Quattro giorni e mezzo.
Di cosa
parlo? Parlo della scuola. E della differenza tra la trasmissione, e
lancòra tanto ineffabile, misteriosa per molti aspetti, comunicazione.
Vorrei
concludere, con due citazioni.
Eichmann,
al giudice istruttore nella fase processuale, dice: "In quellepoca
facevo parte di quella categoria di persone che rinunciano a formarsi
unidea propria". Non commento.
Un gruppo
di scienziati: "Le terapie dallesterno, contro i virus, rischiano
di distruggere le cellule vive. Una sana possibilità di vincere le infezioni
virali consiste nellattivare le resistenze immunitarie: lorganismo
riconosce il parassita, affrontando i congegni per difendersi. Talora,
superata linfezione, distrutto o controllato il virus, i tessuti
danneggiati si possono ricostruire, ma sovente il danno è irreparabile.
Urge dunque scoprire come intervenire tempestivamente sui progetti virali,
sapendo come questi, via via, tentano di aggirare limmunità".
In questo
momento parliamo di medicina, di pedagogia o di politica? Scoprendo
i processi immunologici, Pasteur ci aiuta a intendere, dalla biologia,
la biosfera. Ci aiuta a guardare, ci aiuta a vedere ben oltre il suo
laboratorio.
schede
allegate
la speranza
Una trentina
quasi
Una trentina
quasi, ragazzi e ragazze
non più
adolescenti e non adulti
arrivati
da paesi diversi
qualcuno
smarrito, altri diffidenti
o incupiti:
è il primo giorno.
Dispongo
le sedie a cerchio
cerco si
esprimano
li ascolto
attentamente ad uno ad uno
sgrumandosi
comunicano:
ogni voce
è uno stimolo e un invito
ogni prova
di scavo tende a unirli ,
osservo
gli occhi disintorbidarsi.
(da fuori,
unaria odorosa di funghi
e non distingui
se la voce sia
lo scrosciare
degli alberi nel vento
o lo scorrere
dacque in un ruscello)
A poco
a poco nelle ore intense
si aprono
come petali di un fiore.
* D. Dolci,
Poema umano, edizioni Einaudi, Torino 1974, p. 177.
la rivolta
Allinizio
ero solo
Allinizio
qui ero solo
e poi con
pochi, a tentare
di fermare
le frane della gente
per radicarla
salda a organizzarsi.
Sghignazzavano
molti: "Cosa crede,
costruire
dighe coi digiuni?
solo la
violenza vince, è di natura"
schizzandomi
saliva sulla faccia.
Per anni
e anni i giovani in tutto il mondo
hanno protestato
contro la vecchia scuola
ora un
impegno rivoluzionario
è riuscire
a costruire un nuovo centro
educativo
ove il
bambino arrivi interessato per amore,
non a calci
nel culo.
Molti i
delusi: si laniano,
perché
non si ripetono i digiuni.
E se, tra
ventanni...
* D. Dolci,
Poema umano, edizioni Einaudi, Torino 1974, p. 209.
il cambiamento
Contare
le denunce
Se non
so più contare le denunce
e i processi
ridicoli che arrivano
ma pericolosi come il veleno ,
forse vuol
dire colpiamo nel vivo
il mostro
parassita.
Intanto
il tempo passa: so che devo
attendere
paziente lavorando
dal fondo
,
ma alla
mia gente è urgente
sperimentare
il proprio cambiamento.
* D. Dolci,
Poema umano, edizioni Einaudi, Torino 1974, p. 101.
ricordo
di un amico
Caro Danilo
Daniele
Novara
Maestro
"maieutico", schierato contro il potere della comunicazione
unilaterale, compagno di strada, dispensatore di creatività.
Da ragazzo
avevo letto parecchi libri di Danilo Dolci, figura ai miei occhi quasi
mitica, che associavo ad altri maestri come don Milani e Ignazio Silone.
Personaggi prestigiosi, membri di quella categoria di testimoni per
i quali il primato della coscienza e quindi della libertà individuale
è superiore ad ogni forma di costrizione, sia istituzionale sia personale,
e rappresenta lanelito a forme di vita più consapevoli e autentiche.
Lincontro
personale con Danilo Dolci, nel settembre 1982, impresse una netta sterzata
al mio impegno. Allora stavo svolgendo il servizio civile presso una
casa-accoglienza che avevo fondato assieme ad altri giovani per dare
ospitalità momentanea a ragazzi con problemi di droga o problemi psichici,
e ad altre persone in situazioni di disagio. Avevamo saputo che Dolci
avrebbe parlato a Parma della sua esperienza di nonviolenza attiva in
Sicilia, nel corso di un incontro pubblico organizzato dal nostro amico
Danilo Amadei. Partimmo tutti per Parma. Nel pomeriggio ci fu un incontro
ristretto, cui fummo invitati, e così ebbi modo di incontrare questo
uomo massiccio. Mi fece unimpressione notevole: aveva un atteggiamento
estremamente aperto, ma anche autorevole, e un forte carisma. Non parlò
subito, ma ci chiese della nostra esperienza. Eravamo un gruppo di una
quindicina di persone e fu uno choc per tutti. Da un personaggio come
lui ci saremmo aspettati il classico sermone e invece ci diede subito
la parola. Rimase colpito dalla nostra esperienza nella comunità di
accoglienza, volle lindirizzo, e di lì a poco era a Piacenza,
nostro ospite. Avemmo loccasione di trascorrere assieme due o
tre giorni. Era una persona estremamente amichevole, nonostante il suo
modo di vivere un po particolare, che molti ricorderanno: si coricava
prestissimo la sera, verso le nove, e si alzava alle quattro del mattino
per avere un momento di intimità, da dedicare al lavoro e alla scrittura.
Da allora
iniziò una serie di frequentazioni a Piacenza. Aveva abbandonato limpegno
politico in Sicilia per privilegiare un impegno di tipo formativo: teneva
seminari con poche persone, ma soprattutto andava nelle scuole, per
incontrarvi gli studenti. Poneva delle domande e li ascoltava (mi ricordo
in particolare la domanda: "Qual è il tuo sogno?"). Gli studenti
incominciavano a parlare e si confrontavano con una persona che si presentava
più sotto laspetto del poeta che in quello del grande sociologo
o del conduttore di masse (così come si era fatto conoscere al mondo
con lesperienza degli anni 50 che tutte le enciclopedie
ricordano).
Fu quello
un periodo di produzione poetica piuttosto fertile. Vorrei ricordare,
in particolare, il volume Palpitare di nessi, libro a metà tra la prosa
e la poesia, che Danilo proponeva spesso agli studenti come lettura
e spunto di discussione. In questi incontri scolastici metteva in atto
il suo metodo educativo, basato sul dialogo, che egli stesso definì
metodo maieutico, il cui scopo prioritario era quello di aiutare ciascuno
a tirare fuori le proprie capacità espressive e creative più profonde.
Priorità
della formazione
Fu inevitabile
che io mi chiedessi come mai una persona così importante non investisse
la sua fama in unazione più radicale, più attenta allimmagine
pubblica, alla notorietà. Penso di aver trovato la risposta soltanto
in questi ultimi anni. Credo che il suo messaggio fosse volto a far
risaltare lattività di formazione piuttosto che lattività
strettamente di azione. Proprio lui, che era stato un uomo di azione,
fu drastico in questa scelta.
Sono contento
di averlo conosciuto in questa fase della sua vita, meno roboante, meno
urlata. Penso che anche la successiva nascita del Centro Psicopedagogico
per la Pace debba molto al mio incontro con Danilo Dolci, alla matrice
dialogica su cui impostava gli incontri, alla sua idiosincrasia per
le conferenze, alla sua predilezione per le forme seminariali o di laboratorio,
che gestiva senza quella consapevolezza tecnica che possiamo dire di
avere o perlomeno di tentare di praticare oggi, ma comunque col carisma
e lenergia che riusciva a trasmettere negli incontri ristretti,
specialmente con i giovani.
Dall82
fino al 91 ci fu un intenso rapporto di collaborazione. Danilo
lavorava nelle scuole di Piacenza e di Parma.
Nell88
lanciò uniniziativa per la costituzione di un Manifesto sulla
comunicazione, cui partecipai. Avvertiva i pericoli connessi alla cosiddetta
"comunicazione di massa", ossia al dilagare della televisione
e degli altri mass-media che non generano più un vero contesto comunicativo,
ma soltanto trasmissivo, unilaterale. Era molto preoccupato dallunilateralità
del nuovo modo di comunicare, che influenza i destini relazionali, impedendo
un rapporto diretto e immediato; ma più che altro ne faceva una questione
di potere: chi controlla la comunicazione globale acquista un potere
enorme, che va messo in discussione e controllato. Al manifesto sulla
comunicazione presero parte i suoi amici di tutto il mondo, grandi personaggi
della cultura internazionale tra i quali Galtung, Chomski, Freire, scienziati
come Rubbia, Levi Montalcini, Cavalli Sforza, protagonisti della cultura
della solidarietà come don Ciotti e monsignor Bello in Italia e Ernesto
Cardenal in Sudamerica.
Formatore
creativo e silenzioso
Nel 1990
lo coinvolsi in uniniziativa nazionale piuttosto curiosa. Avevo
lanciato un appello, Questo calcio non ci piace, contro lorganizzazione
dei Mondiali di calcio in Italia e la cultura dello spreco e del campionismo
di cui i Mondiali rappresentavano un simbolo. Danilo si mostrò subito
entusiasta delliniziativa; ne parlò ad alcuni amici, fra cui i
grandi poeti Mario Luzi e Andrea Zanzotto, che aderirono entrambi. Riuscì
a contattare anche Norberto Bobbio e David M. Turoldo. Anche grazie
a Danilo, lappello ebbe buona risonanza. Nel 1991, mentre lavorava
a Parma, venne a Piacenza, dove mi concesse una intervista sui temi
legati alla mafia. Proprio in quellepoca la lotta antimafia si
era intensificata, e un intervento di Danilo Dolci sullargomento
era significativo. Mosaico di pace era al primo anno di pubblicazione;
fu unintervista difficile, ma che riprendeva alcuni aspetti essenziali
della posizione di Danilo, in particolare il suo atteggiamento scettico
di fronte ad un certo tipo di opposizione (anche giudiziaria), incapace
di incrinare le collusioni profonde della mafia.
Dopo il
1991, per vari motivi, persi il contatto con Danilo. Per me furono anni
di grande impegno: collaboravo attivamente a Mosaico di pace, il Centro
Psicopedagogico per la Pace era appena nato e, con esso, incominciavo
a lavorare alla costituzione di una rete di educazione alla pace...
Ci spedivamo reciprocamente i libri, niente di più. Comunque, ho continuato
a considerarlo, a tutti gli effetti, un maestro, anche se negli ultimi
anni della sua vita, lincomprensione di molti verso la sua azione
era piuttosto tangibile. Non gli si perdonava il ritiro dalla scena;
lo si accusava di un certo intimismo, di non occuparsi più delle questioni
essenziali. Oggi, a distanza di anni, forse questo atteggiamento di
Dolci appare come un merito, in unItalia in cui finisce sul giornale
chi urla più forte. Sarebbe oltremodo stupido separare la prima fase
della vita di Danilo Dolci dalla seconda, perché sono due fasi complementari:
due modi diversi di affrontare lo stesso problema. Il problema che Danilo
si è sempre posto è un problema sostanzialmente educativo: come rendere
le persone protagoniste del proprio destino al di là di ogni oppressione
e di ogni falsità sia interiore sia esteriore.
Ricordo
che fu lui a farmi conoscere Lio diviso di Ronald Laing, lo psichiatra
inglese grande protagonista della cultura della liberazione negli anni
60-70. Lo dico per dimostrare che Danilo non considerava
il problema educativo come esclusivamente sociale e politico, ma dotato
di una rilevanza che riguarda lintera persona umana nella sua
crescita e nel suo bisogno di autonomia.
Danilo
ha dispensato la sua creatività per tutta la vita e, proprio per questo,
è necessario che venga raccolta la sua eredità. Si tratta di una ricchezza
che non possiamo permetterci di disperdere in nessun modo: il suo metodo
di lavoro è un esempio praticabile di educazione liberante.
scheda
allegata
Scaffale
D. Dolci,
Il limone lunare. Non sentite lodore del fumo?, Laterza, Bari
1972.
D. Dolci,
Inventare il futuro, Laterza, Bari 1972.
D. Dolci,
Poema umano, edizioni Einaudi, Torino 1974.
D. Dolci,
Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974.
D. Dolci,
Creatura di creature. Poesie 1964-1978, Feltrinelli, Milano 1979.
D. Dolci,
Da bocca a bocca, Laterza, Bari 1981.
D. Dolci,
Il silenzio non esiste, Einaudi scolastica, Torino 1983.
D. Dolci,
Palpitare di nessi, Armando, Roma 1985.
D. Dolci,
Bozza di manifesto, Sonda, Torino 1989.
D. Dolci,
Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1989.
D. Dolci,
Sorgente e profitto, Rubettino, Soveria Mannelli (Cz) 1991.
D. Dolci,
Variazioni sul tema comunicare, Jaca Book, Vibo Valentia 1991.
D. Dolci,
Gente semplice, Camunia, Milano 1993.
D. Dolci,
La comunicazione di massa non esiste, P. Laicata edizioni, Roma 1995.
D. Dolci,
La struttura maieutica e levolverci, La Nuova Italia, Firenze
1996.
Su D. Dolci
G. Spagnoletti,
Conversazioni con Danilo Dolci, Mondadori, Milano 1977.
A. Chemello,
La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988.
G. Fontanelli,
Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984.
A. Mangano,
D. Dolci educatore, ECP, Firenze 1992.
Released online: December, 1999
******July,
2000
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