CARCERE CASO CIUFFREDA
"Non è stato curato"
Nessuno a Regina Coeli ha saputo o voluto curare la crisi di astinenza
di Marco. Lo dicono le carte dell'inchiesta ministeriale chiuse
da giorni nel cassetto di Caselli
Marco Ciuffreda, morto di carcere: poteva essere salvato. Barbara
Medici, morta di carcere: a Natale doveva tornare a casa
- GIOVANNA PAJETTA - ROMA
M arco Ciuffreda è morto perché
nessuno a Regina Coeli ha voluto, o saputo, curare la sua crisi
di astinenza da eroina. I medici del carcere romano erano più
che consapevoli delle sue sofferenze, lo hanno scritto nero su
bianco fin dal primo giorno, ma i farmaci che gli hanno somministrato
sono stati inadeguati, se non addirittura dannosi. Non solo. Per
ben 24 ore, nonostante già domenica pomeriggio sul suo
diario clinico fosse stata registrata "una crisi ipotensiva" così
grave da indurre il medico di guardia, il dottor De Villano, a
chiedere che fosse tenuto "sotto controllo", Marco è stato
abbandonato a se stesso. E solo grazie ai suoi compagni di cella,
che hanno chiamato allarmati le guardie, lunedì pomeriggio
è stato portato, semi svenuto, prima all'infermeria della
prima sezione e poi al centro clinico. "Ma in quel momento - come
ammettono gli stessi ispettori del ministero di grazia e giustizia
- è già in corso quella crisi che si rivelerà
irreversibile e fatale". Il giorno dopo infatti, il 2 novembre,
Marco Ciuffreda morirà all'ospedale Spallanzani. Cinque
giorni dopo l'arresto.
Le conclusioni dell'inchiesta ministeriale, chiusa da giorni
e giorni in un cassetto del direttore generale del Dap Giancarlo
Caselli (se non in quello del ministro Oliviero Diliberto) sono
arrivate, in busta chiusa e senza mittente, negli uffici di Luigi
Manconi. "Sono carte che reputo autentiche e altissimamente affidabili
- dice il senatore dei Verdi - Anche perchè coincidono
interamente, persino nei minimi particolari, con le ricostruzioni
fatte dalla famiglia, dal manifesto e da me". Ciò
che però nessuno di noi poteva sapere è che Marco
poteva essere salvato. Dai suoi, se Regina Coeli avesse rispettato
gli ordini del giudice e avesse eseguito gli arresti domiciliari,
ma anche dai medici del carcere.
La verità è talmente lampante che nemmeno il contorto
linguaggio burocratico di chi ha steso la sintesi finale, per
l'ufficio centrale dell'ispettorato presso il dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria, riesce a nasconderla. "Pur dovendosi sostanzialmente
concordare con le conclusioni della relazione che ha escluso possa
addebitarsi all'operato dei sanitari del carcere una particolare
negligenza e, quindi, tantomeno un qualsivoglia contributo causale
al verificarsi dell'evento fatale - scrive infatti il relatore
del Dap - non ci si può esimere dal constatare, con vigile
preoccupazione, che il livello deontologico della medicina penitenziaria
non è stato, almeno in questo caso, quello auspicabile".
Un'ammissione fatta a denti stretti, ma inevitabile, visto che
solo poche righe prima l'ispettore era stato costretto ad ammettere
l'esistenza di "un vuoto operativo di 24 ore, dalle ore 17, 30
di domenica alle ore 17,00 di lunedì 1 novembre". Ovvero
dalla prima crisi registrata (in realtà, nella cartelle
dell'ospedale sono annotati "episodi sincopali" già nel
pomeriggio di sabato), fino al momento in cui, ormai troppo tardi,
il carcere si accorge di ciò che è successo.
Per cercare di salvare il salvabile, e giustificare la sua sommaria
assoluzione dei medici e della direzione di Regina Coeli, l'ispettore
del Dap si arrampica sugli specchi. Fino a sostenere che, in fondo,
nessuno poteva sapere che Marco stava così male, visto
che "dalle dichiarazioni dei compagni di cella deve dedursi che
il Ciuffreda durante la giornata del 31 ottobre, e soprattutto
nelle ore notturne, non abbia manifestato particolari segni di
malessere". Ma in realtà, al di là dell'inedita
decisione di far diventare "infermieri" i detenuti della prima
sezione, la più grave ammissione di colpa sta proprio dietro
quel "particolari segni di malessere". Perché a Regina
Coeli, come purtroppo nella stragrande maggioranza delle carceri
italiane, nessuno considera uno stato di grave sofferenza, tantomeno
una malattia, le crisi di astinenza da eroina.
Se i compagni di cella non hanno dato l'allarme prima insomma,
mostrandosi indifferenti a quei "turbamenti" o "malesseri", è
solo perchè ciò che avevano davanti agli occhi era
la norma. A Regina Coeli, dove i tossicodipendenti sono più
del 30%, vedere qualcuno che smania, che sviene, che vomita è
fatto comune. Tolta qualche rara eccezione, come il carcere di
Rebibbia, nessuno all'interno della amministrazione penitenziaria
pare pensare che valga la pena di alleviare le sofferenze dei
detenuti consumatori di eroina prescrivendo, invece di qualche
sonnifero o antidolorifico, il metadone. Utilizzato, in Italia,
solo per 620 tossicodipendenti detenuti su 15mila (dati del Gruppo
Abele di Torino).
Solo così, forse, si possono spiegare le altre, singolari,
"dimenticanze" dei medici di Regina Coeli. Ovvero il fatto che
il dottor De Villano, dopo aver scritto che bisognava tenere "sotto
controllo" le condizioni di salute di Marco, si sia persino dimenticato,
domenica stessa o lunedì prima di lasciare il carcere alle
due del pomeriggio, di chiedere come stesse.
Oppure perché mai quando la situazione precipita al punto
che i sanitari della prima sezione decidono di somministrare "analettici
rianimativi", nessuno si preoccupa poi di riferire diagnosi e
intervento al medico del centro clinico dove Marco viene ricoverato
d'urgenza. In fondo dalla prima sezione al piccolo ospedale di
Regina Coeli ci sono poco più di cento metri, e Marco arriva
lì "con segni clinici chiaramente indicativi di un collasso
cardiocircolatorio in atto: ipotensione, tachicardia, complicatosi
dopo poco con cute subcianotica e tachipnea". Una situazione così
allarmante da spingere a chiamare un'ambulanza. Peccato che, prima
di spedirlo all'ospedale Nuovo Regina Margherita, il dottor Salerno,
medico del centro clinico, paia invece preoccupato soprattutto
solo del fatto che a Marco possa venire un'ulcera, tanto che gli
ultimi farmaci somministrati a Regina Coeli sono Maalox e Ranidil.
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