Il richiamo del Caucaso, autostrada energetica
Tutti gli interessi del petrolio sotto la tutela degli Stati uniti
- FAUSTO ALUNNI -
I l grande gioco per l'accaparramento dell'oro
nero nel nuovo Medioriente "allargato": la scelta del percorso
"turco".
Il Caucaso è ormai un affare internazionale, e di quelli
più complicati viste le lotte sotterranee che i governi
e le multinazionali stanno producendo per assicurarsi i vantaggi
economici e politici derivanti dallo sfruttamento del petrolio,
presente in grandissime quantità nel sottosuolo di quest'area.
Pietro il Grande
Grandi riserve energetiche in questa zona dell'Asia vi sono
sempre state, se è vero che già Pietro il Grande
cercò in tutti i modi di trasportare il petrolio del Caucaso
verso i porti russi del Nord. Ma è soprattutto con l'inizio
degli anni Novanta e con la fine dell'epoca bipolare, che la regione
caucasica è tornata a ricoprire quel ruolo centrale nelle
geo-strategie degli stati, che aveva indotto Mackinder - uno dei
padri della geopolitica - ad indicarla come la regione-cuore dell'Eurasia
(Heartland), controllando la quale si sarebbe potuto controllare
il mondo.
La frantumazione dell'ex Unione sovietica, infatti, ha favorito
la corsa ai giacimenti in conseguenza del "vuoto" di potere che
si è creato nell'area; vuoto che ha, di fatto, "liberato"
le riserve del sottosuolo dal controllo centralizzato di Mosca.
Così, è venuta meno l'immagine stereotipata di uno
spazio geografico tra il Caucaso e l'Asia centrale "inesistente",
in quanto inglobato nell'ex impero sovietico. Anzi, la fine di
questo ha comportato l'espansione verso nord-est della regione
del Medioriente classico, che ora torna a comprendere non solo
le ex repubbliche musulmane dell'Asia centrale o il Pakistan -
che prima non ne facevano parte - ma anche paesi come la Turchia,
l'Afghanistan e l'Iran che, se prima costituivano l'estrema propaggine
nord-orientale della regione, oggi, al contrario, rappresentano
il fulcro del nuovo Great Middle East. Una simile espansione
del sistema mediorientale e delle sue risorse energetiche ha,
però, spiazzato i centri di potere politico e finanziario
occidentali, che abituati a primeggiare nell'area mediorientale
tradizionale, hanno temuto di rimanere tagliati fuori dal business
nel nuovo spazio ampliato.
Il grande gioco geopolitico attualmente in atto in questo nuovo
grande spazio, interessa il più settentrionale dei tre
subsistemi di cui il Grande Medioriente si compone (gli altri
due sono il subsistema del Mashrek-Egitto e della Regione del
Golfo), dato che il suo territorio, una volta attraversato dalle
rotte della seta, è oggi al centro dei progetti di costruzione
delle "autostrade energetiche". In quest'area, infatti, fiutando
l'affare, si sono infilate immediatamente le grandi multinazionali
americane e britanniche (dalla British Petroleum alla Amoco, dalla
Unolocal alla Pennzoil) che hanno cominciato a finanziare, dapprima,
l'indipendenza delle repubbliche islamiche dell'Asia centrale
bisognose di capitali per le loro riforme economiche e, successivamente,
non hanno lesinato appoggi politici ed economici alle rivendicazioni
delle popolazioni stanziate tra il Mar Nero ed il Mar Caspio,
regione cruciale per il trasporto del greggio estratto.
La tutela di Washington
E sono proprio i tracciati degli oleodotti e dei gasdotti che
vengono strategicamente pensati per operare il collegamento tra
il tradizionale sistema del Medioriente e il nuovo Medioriente
in espansione. Mentre, infatti, il primo è già stato
messo sotto tutela da Washington e dai suoi alleati connettendo
le sue arterie energetiche al sistema occidentale e facendo dipendere
quelle da questo, il Medioriente "allargato" rischiava, a seconda
del percorso del petrolio scelto fra le varie alternative, di
diventare appannaggio di Mosca o, ipotesi ugualmente pericolosa
per i governi occidentali, del fondamentalismo islamico. Bisognava
allora escludere sia la rotta verso nord - che avrebbe portato
il petrolio ai porti russi - sia quella verso Sud - che avrebbe
attraversato il territorio iraniano.
La svolta si è avuta con il summit dell'Osce a Istanbul
del 18 e 19 novembre di quest'anno, dove si è raggiunto
l'accordo su quale sarà verosimilmente il percorso che
l'oro nero del Caucaso dovrà fare per raggiungere i mercati
internazionali. Si è, infatti, optato per il tracciato
"turco", quello cioè che dovrà trasportare il petrolio
da Baku (in Azeirbaigian) a Ceyhan (costa turca sul Mediterraneo)
compiendo circa 1700 km ed attraversando la Georgia e la Turchia
dell'est. Il percorso scelto risponde a entrambi gli obiettivi
che i governi occidentali ed i cartelli delle grandi multinazionali
si erano prefissi: tagliare fuori dal controllo degli oleodotti
Mosca ed evitare che l'oro nero fosse contagiato dal fondamentalismo
islamico.
Per fortuna c'è Ankara
Per questo motivo, si tratta di un percorso non soltanto gradito
ad Ankara, che forse non a caso proprio nello stesso periodo ha
ottenuto il via libera (negatole soltanto poco tempo prima) per
l'entrata nel prossimo futuro nell'Unione europea, ma anche sponsorizzato
dagli Usa e dai suoi alleati "a gettone" dell'Azeirbaigian e della
Georgia. E se non si vuole correre il rischio di travisare la
reale dinamica delle lotte esistenti nell'area transcaucasica,
non si deve credere che la parte avuta da questi due piccoli stati
sia meno rilevante. Sia Tbilisi che Baku, in effetti, hanno appoggiato
i guerriglieri islamici ceceni consentendo loro di rifornirsi
di armi ed equipaggiamenti atttraverso le loro frontiere. Con
ciò si è ottenuto di impantanare la Russia in una
guerra da cui è sempre più difficile venir fuori
e, al contempo, si è riusciti a dimostrare l'inaffidabilità
del percorso "russo" Baku-Novorossik che, essendo già esistente,
sarebbe stato economicamente più vantaggioso di quello
Baku-Ceyhan ancora da costruire.
Da questo punto di vista, anche il rialzo dei prezzi del greggio
sui mercati internazionali non ha fatto che favorire tale progetto
rendendo un po' meno costoso e, dunque, più allettante
la costruzione del nuovo oleodotto per le compagnie multinazionali.
Del resto, è cosa nota: le scelte economiche vengono ormai
subordinate agli interessi della geo-politica dei grandi cartelli
politico-finanziari che sono quelli che materialmente mettono
i capitali necessari per la realizzazione di simili progetti.
L'oleodotto Baku-Ceyhan è solo il primo tratto di un
piano molto più vasto e di grande respiro chiamato Traseca
(Transport Corridor Europe Caucasus Central Asia) che ha come
finalità la creazione di una ragnatela di vie energetiche
costruita in modo tale da legare inscindibilmente il sistema Caspio-Asia
centrale all'Europa continentale e ai porti più importanti
del Mediterraneo. Realizzando un progetto simile, anche il Medioriente
formato gigante sarebbe posto sotto la tutela dell'alleanza occidentale,
che si manterrebbe pronta a intervenire, eventualmente sventolando
la bandiera dei diritti umani ogniqualvolta venissero messe in
pericolo le sue fonti di approvvigionamento energetico. Come,
infatti, dimostrano i casi del Kuwait (1990) e del Kosovo (1999),
ma lo stesso sta accadendo (per ora) a livello di dichiarazioni
ufficiali da parte dei governi occidentali per la guerra in Cecenia.
I diritti umani rappresenteranno sempre più per il futuro
la giustificazione per interventi in conflitti interni o internazionali
che (mal)celano interessi economico-finanziari. Nel frattempo,
i problemi diventano nodi irrisolvibili attraverso i normali canali
diplomatici e anche il nuovo Medioriente "allargato", caratterizzato
da guerre civili e/o internazionali, assomiglia sempre di più
al Medioriente classico, per il quale si coniò il termine
di libanizzazione, o al puzzle afghano, nel quale piccoli e contrapposti
gruppi di guerriglieri controllavano ristrette fasce di territorio
sottratte al potere centrale.
|