LA MORTE DI MARCO
ROSSANA ROSSANDA
N on è tollerabile che un uomo di
37 anni entri venerdì a Regina Coeli e il lunedì
sera sia portato di furia, collassato e disidratato, a morire
fra due ospedali. E che a un mese di distanza, il ministro di
grazia e giustizia Diliberto, che chiede giustamente di togliere
il segreto a una tragedia nazionale di trenta anni fa, non abbia
trovato opportuno dire come e perché è avvenuta
la morte di un detenuto, che le sue strutture avevano in custodia.
Non si tratta di individuare l'ultimo anello della polizia penitenziaria
e del Centro medico di Regina Coeli, sul quale scaraventare la
responsabilità di quel che ha visto e non visto, fatto
e non fatto. Si tratta di impedire che le strutture del carcere
continuino a funzionare così.
Non deve succedere che la polizia penitenziaria, che ha l'ordine
di scortare per primo colui che il tribunale assegna agli arresti
domiciliari - e si presume che per un incensurato dotato di professione,
domicilio e parenti, non occorrano duecento gazzelle - non lo
faccia. Neanche se c'erano da fare altri cento trasferimenti,
e non c'erano. C'era il ponte dal 30 ottobre al 1 novembre, questo
c'era. Per Marco Ciuffreda si è trasformato in un sequestro.
Non è tollerabile che il Centro medico di Regina Coeli
quando arriva una persona che cura la propria tossicodipendenza
assumendo il metadone presso un Sert, glielo neghi. Chi ha deciso
che il metadone, che altri carceri danno a chi ne ha bisogno,
a Regina Coeli non si dà? Per quali ragioni si espone il
detenuto all'inevitabile crisi di astinenza? E che cosa gli è
stato propinato perché si reggesse in piedi al tribunale,
senza urlare e dar la testa al muro, soffrendo come un cane? Sedativi,
dicono, "in dosi discretamente forti". E bravi. Lo mandano in
ipotensione, a collassare. Da quando? Domenica mattina un medico
lo vede senza sensi, gli fa un'iniezione ma non lo ricovera in
infermeria. Lo lascia in cella. Un collassato non dà fastidio.
Nessun medico lo vedrà fino alla sera seguente, quando
non resta che spedirlo in un ospedale perché non muoia
in via della Lungara. E come, se vi arriva disidratato, denutrito,
pressione a zero, e in crisi respiratoria? In un'ambulanza a terapia
intensiva? Il primo ospedale non ha le strutture per far fronte,
al secondo arriva in agonia.
Il solo a riconoscere la tragedia e dolersi con la famiglia
- che la polizia penitenziaria non ha avvertito e cui neanche
a morte avvenuta ha avuto la decenza di presentarsi - è
stato qualche giorno fa il dottor Caselli. Ma che cosa intende
fare perché l'istituzione che detiene la gente, giorni
festivi inclusi, si permetta di non custodirne né i diritti
né la vita durante i ponti vacanze? E che cosa aspetta
per trasferire i Centri medici del carcere al ministero della
sanità?
Perché è una vecchia storia, di competenze, di
finanziamenti, di corporazioni. Se ne occupino anche i deputati,
e subito, prima che in galera ne muoiano altri. Perché
succede. Marco Ciuffreda è stato soltanto il più
visibile.
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