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Girodivite - n° 58 / novembre 1999 - Lavoro, privatizzazioni

Dossier ENEL

a cura della redazione di Diari Dissidenti
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*     dossier di [diari dissidenti]         *
*       http://www.studenti.it/dd           *
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*     E  VOI CHE DITE ?  ASSENTITE ?        *
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La privatizzazione dell'Enel occupa trionfalmente le pagine finanziarie
dei quotidiani. L'aspetto «giocoso», in senso monetario,
dell'operazione, tiene la piazza (sul significato dell'acquisto di
azioni, si può leggere il bell'articolo di Rossana Rossanda, La
rivoluzione italiana, apparso su «il manifesto» del 2 novembre 1999
->Richiedi a [diari dissidenti} l'articolo). Così il nocciolo del
problema viene nascosto/si occulta.
Nel nostro piccolo abbiamo voluto raccogliere in questo dossier alcuni
brani che permettano una riflessione un po' più approfondita sul
problema.

~ La nazionalizzazione dell'energia
Il primo brano, storico, descrive brevemente le ragioni e le vicende
della nazionalizzazione dell'energia elettrica in Italia, avvenuta nei
primi anni '60.

~ Luci spente nel quartiere
Il secondo articolo focalizza l'attenzione sulle ricadute della
privatizzazione sugli utenti, e in particolare sulla discriminazione che
si viene a creare tra consumatori «spendaccioni» e consumatori poveri.

~ Tenebra nel cuore della privatizzazione
Anche il terzo articolo affronta la questione delle ricadute sugli
utenti, descrivendo un caso surreale ma vero (black-out di tre settimane
a Auckland, Nuova Zelanda) e puntando l'attenzione sul fatto che non
sempre il servizio privato sia migliore di quello pubblico.

~ Liberalizzazione elettrica e concentrazione tedesca
Di tipo più descrittivo, il quarto articolo restituisce un panorama
esauriente dei processi di privatizzazione in atto nel campo
dell'energia elettrica a livello europeo, in particolare in Germania.

Attraverso questo dossier vorremmo trasmettere l'idea che un atto come
la privatizzazione dei produttori di energia elettrica non sia (solo)
una questione di mercato azionario, bensì di diritti di cittadinanza.
Quale eguaglianza di diritti si ha quando un consumatore «ricco» può
ricevere un bene fondamentale a un prezzo unitario inferiore di un
consumatore «povero»? Quale controllo democratico si ha sull'andamento
di un paese (o di un'unione) quando l'erogazione dell'energia dipende in
ultima istanza da decisioni di una piccola parte dei cittadini?
Sono queste alcune domande che sorgono dalla lettura degli articoli. Ve
ne saranno certo altre. Dunque, buona lettura!

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LA NAZIONALIZZAZIONE DELL'ENERGIA
Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e
politica 1943-1988, Einaudi, Torino 1989, pp. 363-365

Dopo questo malaugurato inizio [l'elezione di Antonio Segni, con
l'appoggio anche dei voti monarchici e neofascisti, alla presidenza
della Repubblica], comunque, il governo Fanfani [1962-1963] riprese il
suo cammino e procedette con notevole rapidità alla nazionalizzazione
dell'industria elettrica. Cinque erano i monopoli coinvolti: la Sade,
che controllava la distribuzione dell'energia elettrica nel Veneto e in
parte dell'Emilia; la Edison, che copriva la Lombardia, l'Emilia e la
Liguria; la Sip nel Piemonte; la Centrale in Toscana, Lazio e Sardegna;
la Sme, che aveva il controllo del Sud continentale e della Sicilia ed
era inoltre nota per la sua lentezza a prendere nuove iniziative in
un'area che ne aveva disperatamente bisogno (1). I motivi economici per
nazionalizzare erano abbastanza chiari. Il controllo statale
dell'industria avrebbe permesso al governo di stabilire i prezzi, di
programmare su scala nazionale le risorse energetiche, di fare
investimenti dove erano più necessari, come nelle aree di sviluppo del
Mezzogiorno. Non meno importanti erano le ragioni di ordine politico: si
sperava inoltre che la nazionalizzazione dei monopoli avrebbe distrutto
quell'agglomerato di potere conservatore che era situato nel cuore del
capitalismo italiano. La Confindustria si sarebbe così sottratta al
soffocante controllo della sua ala più reazionaria, e il centrosinistra
avrebbe visto scomparire uno dei suoi più potenti avversari.
Come avviene spesso in casi del genere, il vero scontro si ebbe sulla
forma di indennizzo che bisognava versare. Il governatore della Banca
d'Italia, Guido Carli, voleva che si pagasse direttamente alle vecchie
aziende, le quali avrebbero così continuato ad esistere come società
finanziarie. Questo, a suo avviso, era il modo migliore per garantire
che persone così esperte negli affari potessero reinvestire il denaro
nell'industria, come era accaduto all'inizio del secolo dopo la
nazionalizzazione delle ferrovie. Riccardo Lombardi invece, anch'egli
presente nel Comitato ristretto che discuteva l'attuazione della
nazionalizzazione, non aveva molta fiducia nell'ottimistica valutazione
di Carli sui dirigenti delle vecchie società elettriche; egli auspicava
che i trust venissero aboliti completamente e che l'indennizzo venisse
corrisposto dopo un certo numero di anni alle decine di migliaia di
antichi azionisti. La linea di Carli offriva la garanzia della
continuità, anche se al prezzo di mantenere intatta l'influenza dei
vecchi monopoli; quella di Lombardi prospettava un mutamento reale, ma
con il timore che i soldi dell'indennizzo potessero venire dispersi.
Dopo quattro giorni di discussione, durante i quali Carli minacciò di
dimettersi, vinse la linea della continuità (2).
La nazionalizzazione dell'industria elettrica, cosi come fu presentata
in Parlamento nel giugno 1962, era fondamentalmente una riforma
correttiva, un atto di «razionalizzazione», per dirla con Emilio
Colombo. A guardarla retrospettivamente, nessuno potrebbe giudicarla
come una riforma strutturale, come un passo avanti sulla via del
socialismo. La nuova società nazionale di elettricità che venne creata
l'Enel cominciò un programma di investimenti massicci, ma non riuscì a
ridurre il costo dell'elettricità per i consumatori. E stato calcolato
che poco più di metà dei 1500 miliardi di lire spesi dallo Stato per
indennizzare le aziende espropriate sia stata utilizzata da queste per
investimenti nel settore produttivo, mentre la somma restante si è
dispersa per mille rivoli. Parlando in termini puramente economici, la
battaglia di Carli era stata combattuta invano: il pagamento diretto ai
piccoli azionisti non avrebbe con tutta probabilità comportato un grado
di dispersione del capitale più elevato. In termini politici, tuttavia,
l'influenza dei «baroni» dell'elettricità era stata mantenuta.

1) E. Rossi, L'elettricità senza padroni, Bari 1962, pp. 53-129
2) Scalfari e Turani, Razza padrona, Milano 1974 pp. 14.15 e 21-22. Cfr.
anche il resoconto di La Malfa (Intervista sul non-governo, a cura di A.
Ronchey, Bari 1977, p. 57): «Ma da un giorno all'altro lo schema che era
stato preparato da noi fu rovesciato da Guido Carli, governatore della
Banca d'Italia, e da alcuni esponenti democristiani. Ci presentarono uno
schema, che sostituiva alle obbligazioni indennizzi per le società
espropriate. E noi, a quel punto, avemmo il torto di cedere».

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LUCI SPENTE NEL QUARTIERE

Chris Barrie, Luci spente nel quartiere, The Guardian Weekly, 5 gennaio
1996, p.14

Ci sono delle strade nelle città americane dove l'elettricità e la luce
sono qualcosa che appartiene al passato.  Le finestre di notte sono per
lo più spente, nonostante un piccolo numero faccia eccezione e riluca
delle lampade al kerosene. Il cibo, se ce n'è, è cotto su fornelli che
potrebbero servire per il campeggio. E gli inquilini anche a letto vanno
vestiti.  Benvenuti nel mondo della deregulation dell'energia, nel regno
della libera domanda e dove ognuno paga l'energia che consuma. I ghetti
neri lo sono più per la mancanza di riscaldamento e di energia che per
il colore della pelle degli abitanti, nonostante la povertà resti il
fattore dominante.
Impossibile in Gran Bretagna? Assolutamente no, secondo il parere di
studiosi e di gruppi di consumatori esperti negli affari dell'energia.
Infatti sta già avvenendo. E da diciotto mesi a questa parte, da quando
cioè il mercato dell'energia elettrica e del gas è stato aperto alla
competizione, i poveri in Gran Bretagna possono vedersela molto brutta,
mentre i benestanti si crogiolano per il ribasso dei prezzi.  Nel 1995
le autorità locali nel sud del Galles hanno commissionato uno studio
sulle famiglie a basso reddito e sui loro problemi nel procurarsi
l'energia per le proprie abitazioni. Questo studio ha lanciato una nuova
luce sull'impatto delle privatizzazioni e ha mostrato quante famiglie
risentono negativamente di un mondo governato dalla competizione e dal
mercato.
La ricerca ha rilevato che più di metà delle famiglie che usano il
sistema dei contatori con prepagamento  (pre-payement meters) si è
"auto-tagliata i fili" di elettricità e gas, che sono stati poi tolti a
queste famiglie poiché esse non erano in grado di comprare o trovare i
buoni per completare la quota. Per molti questa cosiddetto volontaria
interruzione dell'energia elettrica o del riscaldamento è durata una
settimana o più.  La ricerca ha inoltre rilevato che le famiglie con
bambini molto piccoli rappresenti la maggioranza tra coloro che non sono
stati in grado di soddisfare i loro buoni-contatore senza
autointerrompere l'erogazione. "In altre parole, le maggiori difficoltà
prodotte dal nuovo regime si concentrano sulle famiglie più vulnerabili"
si legge nello studio.
Due sono i gruppi più a rischio, afferma la ricerca: le famiglie con un
soggetto impossibilitato a lavorare e quelle con un bambino al di sotto
dei cinque anni.
La loro battaglia è molteplice: famiglie con basso reddito, con un solo
genitore, fanno già fatica a far quadrare i conti per la vita di tutti i
giorni. Un volta gettati nella necessità di denaro per una riserva di
buoni prepagati ne conseguono week-end al freddo e senza cibo caldo.
E queste famiglie non hanno una sola quota che devono alimentare con una
parte delle loro scarse risorse.  Chi paga così l'elettricità per lo più
dovrà fare altrettanto per il gas.
La linea ufficiale è di nascondere il problema sotto il tappeto usando
le statistiche. I ministri invocano i benefici delle privatizzazioni. Le
aziende di gas e energia elettrica mostrano i dati ufficiali sulle
interruzioni di servizio e pretendono di dimostrare il loro calo e che
non rappresentino più un problema serio.
British Gas ha, per esempio, diminuito drasticamente il numero delle
interruzioni non volontarie: da 61.700 casi nel 1987/88 si è scesi al
numero di 14.500 nel 1995. Ugualmente le interruzioni di esercizio
decise dalle compagnie di elettricità regionali, privatizzate nel 1990,
sono diminuite.
Le industrie di gas e elettricità indulgono in reciproci complimenti per
questo risultato. Ma in realtà la tabella delle interruzioni potrebbe
essere quella di sempre, o peggiore.
Il problema è che nessuno sa la realtà, poiché si può pensare che le
famiglie in questione abbiano volontariamente interrotto l'erogazione
dei servizi poiché non riuscivano a completare le loro voraci quote. I
supervisori industriali, tuttavia, sembrano essere soddisfatti del
"valore nominale" di tale regime, del fatto cioè che i consumatori
apparentemente traggono beneficio dalle quote prepagate poiché non
rischiano di incorrere nel debito.
Ma per lo stato e per le imprese energetiche vi sono altri vantaggi,
tenuti più nascosti. L'interruzione "volontaria" dell'erogazione non
risulta nelle statistiche perché non necessità un atto formale. Le
aziende traggono beneficio nel far pagare le famiglie più povere in
questo modo, evitando così di dover inseguire questa gente per essere
pagate; nessun altro consumatore è trattato in questa maniera.  Il
desiderio dello stato di avere statistiche rosee sulla povertà in
energia incontra in tutto e per tutto con in fine delle aziende di
minimizzare in costi connessi al trattare con soggetti socialmente
sfavoriti.  Perciò non sorprende che le compagnie di gas e elettricità
siano ben disposte a installare sistemi di con quote prepagate. Cinque
anni fa in Gran Bretagna avevano contratti con prepagamento 1,9 milioni
di famiglie; nel 1995 questo numero è aumentato a 3,2 milioni e per il
1996 si prevede che raggiunga i 6 milioni. British Gas ha parimenti
aumentato i suoi contatori con prepagamento, che ora raggiungono quota
850.000.  Per definizione questi contatori sono installati nelle case di
famiglie che avevano problemi nel pagare le
bollette. Ciò nonostante essi devono ora pagare quote standard per il
gas e l'elettricità più alte dei consumatori più abbienti.
Con un comportamento che è insieme rigorosamente logico e assurdo i
supervisori delle industrie elettriche e di gas, rispettivamente Clare
Spottiswoode e Stephen Littlechild, permettono alle compagnie di imporre
quote più alte nell'erogazione ai poveri poiché devono essere recuperati
i debiti passati e i costi delle installazioni, mentre amministrare
questi sistemi di prepagamento costa alle aziende più che un sistema
normale, secondo quanto esse affermano.
Nel caso dell'elettricità questo maggior costo è compensato da un
costo-base superiore, mentre nel caso del gas da tariffe più alte.
Il risultato è  un fossato nel costo dell'energia che si viene a creare
tra ricchi e poveri.  Secondo l'Electric Association, il consumatore
medio in addebito diretto spende 445 dollari all'anno [770.000 lire];
l'elettricità pagata per bollette trimestrali viene a costare in media
453 dollari [783.000 lire], mentre con sistema a prepagamento 479
dollari [828.000 lire]. Littlechild, direttore generale dell'Offerta,
può anche essere d'accordo con queste cifre, ma i suoi rappresentanti
regionali no; i comitati dei consumatori stanno facendo pressione perché
si metta un punto al sovraccarico dei poveri.
Yvonne Constance, presidente del comitato regionale, dice che gli altri
prezzi fanno sì che i poveri siano fonte di profitto per le aziende
regionali. La sig. Costance e i suoi colleghi, personaggio fortemente
schierati contro l'establishment ritengono che le compagnie gonfino
artificialmente i costi dell'installazione e della gestione dei
contatori con pre-pagamento.  La situazione critica dei poveri sta
incominciando a preoccupare seriamente le associazioni dei consumatori,
che temono che la differenza tra sistemi a prepagamento e ad addebito
diretto, tra poveri e ricchi, si allarghi anche più nel 1998, quando i
mercati del gas e dell'elettricità saranno aperti alla competizione.  In
una analisi per l'Istituto per la ricerca delle politiche pubbliche nel
campo del mercato dell'energia elettrica, il professor Catherine Waddam
Price prevede che le famiglie a basso reddito sosterranno prezzi più
alti con l'introduzione della competizione nel mercato dell'energia e
del gas e che le aziende sono costrette a liberare le risorse nascoste.
Mentre le compagnie competono per servire i migliori consumatori, cioè
coloro che pagano bene, i costi dell'erogazione per gli altri deve
essere divisa tra un gruppo più ristretto di consumatori. "La
competizione può mettere in seria difficoltà alcune famiglie più deboli
e rendere per esse sempre più difficile saldare i propri debiti e
spostarsi nella fascia di prezzi inferiori" dice la Waddam Price.  La
ricerca di Andreas Gomez-Lobo, dell'istituto per gli Studi Fiscali,
suggerisce che i consumatori che utilizzano poco il gas possono
risultare sfavoriti, anche se il prezzo cade drasticamente, nell'ordine
del 20-30%.  Sfortunatamente le leggi proposte per il 1998 faranno poco
per controbilanciare la mala partita per le famiglie a più basso
reddito. La Constance dice che ci saranno pochi incentivi per le
compagni affinché riducano i prezzi di erogazione per queste famiglie.
Come se non bastasse, una compagnia elettrica che competa nella regione
di un'altra compagnia dovrà usare i contatori con prepagamento
installati dal rivale. La compagnia locale, possedendo il contatore,
avrà il diritto di essere consultata dal rivale in una delle uniche due
tariffe che possono essere utilizzate.  La Constance ritiene che questa
ulteriore complicazione soffocherà ogni desiderio da parte delle imprese
in competizione di contendersi i consumatori più poveri, offrendo loro
condizioni vantaggiose: "Se non puoi imporre la tariffa che vuoi, ma
devi rivolgerti dal rivale, che senso ha occuparsene?".
Perché preoccuparsene? Le parole si rivolgono alle periferie delle città
americane. La questione che si pone ai politici britannici nel 1997 è
come escogitare una struttura umana e competitiva, pietosa e
discriminante insieme. Gli auspici fino ad ora sono molto tetri.

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TENEBRA NEL CUORE DELLA PRIVATIZZAZIONE

Will Hutton, Tenebra nel cuore della privatizzazione, «The Guardian
Weekly», vol. 158, n.11, 15 marzo 1998, p. 19 (tit. or.: Darkness at the
heart of privatization)

Auckland è la prima città dove è accaduto, ma non dovremo aspettare
molto perché accada anche in Gran Bretagna [o in Italia]. Per tre
settimane il centro di una città di un milione di abitanti è rimasto
senza energia elettrica. Gli appartamenti sono stati abbandonati. Gli
affari si sono interrotti. Bancarotte e disoccupazione stanno crescendo.
La vita normale è stata sospesa. E' stato necessario un mese perché
l'energia ritornasse.
Sono queste cose che fanno penetrare a fondo nella vita privata della
gente ciò che altrimenti esisterebbe solo nella teoria. L'elettricità
non è un bene, come un vestito alla moda, di cui si possa subire la
sospensione senza alcuna conseguenza; è una precondizione di una
tranquilla vita moderna. Se il proprietario del sistema di produzione e
distribuzione dell'energia interrompe l'erogazione, non è solo un
problema per gli azionisti. E' un problema che riguarda tutti.

Ciò significa che le industrie elettriche - come quelle dell'acqua, del
gas, dei trasporti ferroviari - non possono essere condotte con la
stessa logica del profitto con cui sono condotte le aziende inserite in
un mercato competitivo, per cui scelte sbagliate procurano danni alle
sole aziende. Queste aziende cruciali devono fare maggiori investimenti
e avere una potenza maggiore di quella strettamente richiesta dalla
competizione; devono avere più ampi margini di sicurezza; e avere una
qualità elevata nella natura dell'azionariato. In quanto monopoli, il
modo migliore per rispettare questi parametri è che le aziende siano
possedute dai consumatori; in altre parole, devono essere strutturate
come complessi no-profit, mutuali e avere parte del pacchetto azionario
posseduto dallo stato.
Negli ultimi 15 anni tutte le forme di proprietà pubblica sono state
derise come burocratiche e inefficienti.  Vi è un consenso
internazionale tra ministri delle finanze e istituzioni internazionali
come l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD)
e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) sul fatto che la proprietà
privata produce incentivi volti all'efficienza e all'assenza di errori,
in virtù della pressante necessità di fare profitti.
Solo la proprietà pubblica incentiva all'inefficienza e al sorgere di
problemi. Così la privatizzazione del patrimonio pubblico, in
particolare dei servizi, ha il duplice vantaggio di aumentare
l'efficienza e rimpinguare le casse dello stato. E' vincente sotto tutti
i punti di vista.

Ma Auckland ha mostrato che ciò è falso. Mercury Energy, il fornitore di
elettricità della città, è stato privatizzato in modo simile a quello
britannico. E' un'azienda distributrice che acquista l'energia da due
generatori che rimangono di proprietà pubblica; in questo modo dà
energia al centro della città. Ma l'obbiettivo di Mercury non è stato di
distribuire l'energia, bensì di aumentare la rendita della propria
attività, lasciare correre il proprio denaro e finanziare così la
propria ambizione dare la scalata ai propri avversari.
Non è difficile aumentare i profitti. Basta ridurre il personale;
ridurre i margini di erogazione per alleggerire il processo; differire
gli investimenti non strettamente necessari a restare sul mercato.
In altre grandi città della Nuova Zelanda gli ingenieri che fino ad
sovrintendevano alla distribuzione dell'energia nell'interesse pubblico
hanno sottolineato che vi sono fino a 10 grandi cavi che distribuiscono
l'energia. Alcuni non sono mai usati, ma servono da riserva, per evitare
il black-out totale, se i principali si guastano. Ma ciò è
antieconomico: infatti è una costosa assicurazione.
Mercury ha solo 4 cavi per distribuire l'energia ad Auckland. L'azienda
non avrebbe dovuto proseguire sul cammino delle scalate; avrebbe dovuto
investire nel sistema di distribuzione anche se imponeva costi
aggiuntivi. Così quando delle condizioni anormali hanno messo fuori uso
i quattro cavi, Mercury non aveva riserve. Il sistema è andato in tilt e
Auckland è rimasta senza energia.

La lezione di Auckland non dovrebbe essere dimenticata dai britannici,
in particolare dai 3 milioni di consumatori dell'East Anglia e di North
London. La proprietà e il controllo dell'Energy Corporation, una
compagnia di distribuzione che possiede la vecchia Eastern Electricity,
è stata contesa da due fornitrici di servizi statunitensi - la
PacificCorp dell'Oregon e la Texas Utilities di Dallas. Quando l'asta è
iniziata, le azioni della Energy valevano circa 10,40 $: ora la Texas
sta offrendo 13,40 $ ed è disposta a pagare 7,2 miliardi di dollari per
una proprietà che ne produce 640 e che non sembra avere molte
prospettive.
E' assurdo. Quando l'affare sarà fatto, vi saranno pressioni affinché la
Energy sia condotta proprio come la Mercury. Il debole supervisore
britannico, Offer, sarà aggirato - e, in ogni caso, non avrebbe titolo
né mandato per controllare come le proprietà sono condotte e portate
avanti; il suo compito è fissare i prezzi. La sua debolezza è una delle
ragioni per cui le aziende americana sono disposte a pagare tanto per
acquistarle.
La dottrina in Gran Bretagna è che la scelta se vendere o meno e il
prezzo devono essere a discrezione del direttivo della Energy Group e
servire gli interessi degli azionisti - e che l'interesse del nuovo
azionista dell'Oregon o di Dallas siano proprio gli stessi con i
consumatori britannici. Sappiamo che ciò non può essere vero. Se vi
fosse un corpo di leggi sulle aziende costruito a partire dagli
interessi di chi è coinvolto in prima persona dal loro comportamento (a
body of corporate law built around stakeholder principles), Energy o
altre aziende come questa dovrebbero prendere in considerazione altri
interessi oltre a quelli degli azionisti. Si può attuare una regolazione
- e le aziende fornitrici di servizi possono essere avvisate che la
proprietà ritornerà pubblica in caso di prolungato disservizio.
Il New Labour sappiamo che non andrà così lontano. Ciò nonostante ha
intenzione di rendere più severa la regolazione nell'Utilities Bill
(legge sui servizi) del prossimo anno. Ciò che è accaduto ad Auckland
dovrebbe aumentare la sua determinazione.

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LIBERALIZZAZIONE ELETTRICA E CONCENTRAZIONE TEDESCA

R. L., Liberalizzazione elettrica e concentrazione tedesca, «lotta
comunista», n.344, aprile 1999, p. 11

La liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità (elettricità, gas,
telecomunicazioni)  che entrano nei costi di produzione è un aspetto del
perdurante ciclo liberista, in tutti i continenti.
In Europa nel febbraio 1999 entra in vigore la direttiva UE sulla
liberalizzazione elettrica, cui i vari Stati membri, inclusa l'Italia,
si sono adeguati con leggi nazionali. Inghilterra e Galles avevano già
realizzato privatizzazione e parziale liberalizzazione; Svezia e
Norvegia, pur con un forte ruolo dei gruppi statali, sono state
anticipatrici avviando già nel 1996 la Borsa nordica dell'elettricità.

Il mercato unico europeo dell'elettricità

La direttiva UE sul "mercato unico dell'elettricità", varata nel giugno
del 1996, è un compromesso tra le posizioni degli Stati membri,
raggiunto dopo oltre 4 anni di trattative. I monopoli elettrici
nazionali e locali, con differenze anche forti tra le tariffe, sono di
fatto la negazione del concetto di "mercato unico"; la direttiva UE li
scardina nei rapporti con la grande utenza industriale, che da anni
premeva per avere la libertà di rivolgersi al miglior offerente di
elettricità all'interno della UE, svincolandosi dai fornitori
monopolisti.
I governi di Germania e Gran Bretagna sono stati i principali promotori
della liberalizzazione, con la proposta della libertà di accesso alle
reti di trasporto dell'energia per tutti i produttori di elettricità e i
grandi utenti (in gergo TPA, third party access), al fine di mettere in
concorrenza tra loro i diversi generatori di elettricità, anche di
diversi paesi. La Francia aveva contrapposto a questa linea quella
dell'"acquirente  unico", per conservare il monopolio di EDF
(Electricité de France), obbligandola tuttavia ad acquistare e rivendere
l'elettricità contrattata tra i grandi clienti nazionali e fornitori
terzi, al prezzo pattuito, inclusa una quota per il trasporto.
Il compromesso prevede la possibilità di scegliere l'una o l'altra
formula; impone però a tutti la liberalizzazione di una quota crescente
della grande utenza, corrispondente al 22% del mercato complessivo di
ogni singolo Stato nel 1999, per salire fino al 32-33% nel 2003.
Di fatto è liberalizzata la grande e media utenza industriale,
inizialmente con consumi oltre 40 GWh (milioni di kWh) l'anno, e dal
2003 sopra i 9 GWh, che corrisponde ad oltre i tre quarti del consumo
elettrico industriale (pari questo al 42% circa dei consumi elettrici
totali).

Monopolio, concorrenza, concentrazione

La Germania ha varato la sua riforma elettrica nell'aprile del 1998.
Essa viene a sconvolgere un assetto secolare,  che combina
frammentazione e monopolio, dove il monopolio ha permesso il perdurare
della frammentazione municipale.
La ristrutturazione del carbone tedesco ha permesso una prima riduzione
dei prezzi dell'energia elettrica, specie per l'industria, ma restava un
consistente differenziale (pari a circa un terzo) con quelli francesi,
che si avvalgono di un potente complesso nucleare.
Secondo l'ex ministro liberale dell'Economia, Gunter Rexrodt, autore
della riforma tedesca, la liberalizzazione e la conseguente
concentrazione dell'industria elettrica permetterebbero di ridurre del
30% in tre anni i prezzi del kilowattora. Significherebbe un minor costo
per circa 25 miliardi di marchi per gli utenti, soprattutto industriali.
L'equivalente di un significativo alleggerimento fiscale.

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        TWh* prodotti, 1997
RWE     132
PreussenElektra 105
Bayernwerk      55
VEAG    47
EBW     40
VEW     33
HEW     14
Bewag   13

(*) 1 TWh (terawattora) = 1 miliardo di KWh

VEAG, che detiene la trasmissione e il grosso della generazione nei
Lander orientali, è controllata dalle società interregionali
occidentali, che possiedono direttamente le società di distribuzione
orientali.

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Liberalizzazione tedesca

La riforma tedesca, entrata in vigore nell'aprile 1998 contro
l'opposizione dei socialdemocratici, e senza passare per il Bundesrat,
oltre ad introdurre la liberalizzazione UE abolisce i monopoli elettrici
territoriali, vietando i contratti di delimitazione e le concessioni in
esclusiva.
I contratti di delimitazione, stipulati tra società elettriche limitrofe
ai vari livelli, sovraregionale, regionale e locale (ne esistono diverse
migliaia), definiscono le aree di esclusiva delle varie società, che si
impegnano a non invadere il territorio delle società confinanti. In
pratica è l'impegno reciproco a non farsi concorrenza.
A tali accordi privati fanno da complemento i contratti di concessione
tra i Comuni e le utility che li servono. Esse ottenevano in esclusiva
il diritto di erigere o interrare linee elettriche sul suolo pubblico
(strade), in cambio di un sostanzioso canone. Tale esclusiva attribuiva
il monopolio di fatto della distribuzione su un area urbana, ed era
spesso la base su cui venivano stipulati i contratti di delimitazione.
Il presidente dell'associazione delle società elettriche tedesche VDEW,
Heinz Klinger, prevede una drastica ristrutturazione del settore, sotto
la pressione dei generatori indipendenti e dei mercanti di elettricità
che (come negli USA) si rafforzeranno con la liberalizzazione. Prevede
la concentrazione delle mille società con alleanze e fusioni, e la
scomparsa di quelle che non reggeranno la concorrenza. Già i maggiori
gruppi, e anche Dresdner Bank, stanno entrando nel trading elettrico. La
pubblicazione di un indice dei prezzi elettrici prepara il varo della
Borsa elettrica. Gruppi esteri guardano con interesse il mercato
tedesco. La britannica Power Gen intende costruire una grande centrale a
gas presso Colonia, nel cuore del dominio RWE e dei giacimenti di
lignite, per rifornire di elettricità e calore grandi stabilimenti
chimici.

Resistenze alla concentrazione

Nella battaglia sulla riforma, i socialdemocratici avevano sostenuto che
la liberalizzazione farà sparire il "pluralismo" delle municipalizzate,
come già avvenuto in Svezia dove con la liberalizzazione le società
elettriche sono scese da 280 a 50 in 10 anni. Vedono anche il pericolo
che le utility facciano pagare ai piccoli utenti, ancora prigionieri del
monopolio, gli sconti ai grandi, per i quali devono  competere.  Già
numerosi gruppi industriali hanno ottenuto riduzioni tariffarie, alcuni
cambiando il fornitore elettrico.
L'opposizione dei socialdemocratici si spiega con i legami con le mille
società elettriche municipali, il cui monopolio non solo permetteva ai
Comuni di riscuotere ben 6 miliardi di marchi con le concessioni, ma
garantiva sovrapprofitti elettrici, usati per finanziare le perdite
delle municipalizzate nel trasporto locale. La liberalizzazione
elettrica comporterà dei tagli al welfare tedesco. I Comuni hanno
ottenuto di poter continuare ad incassare concessioni, ma non più in
esclusiva; le municipalizzate potranno optare tra il TPA (permettendo
che terzi strappino loro i migliori clienti, usando le loro reti) e il
ruolo di "acquirente unico" (mantenere i clienti, ma fornire loro
l'elettricità al prezzo offerto dai concorrenti). Particolari norme
proteggono inoltre la cogenerazione di elettricità e calore delle
municipalizzate, e il settore elettrico dell'Est, posto al riparo della
liberalizzazione fino alla fine del 2003.

Fusioni e acquisizioni

Nella Germania del Sud è già avvenuta la concentrazione in due grandi
società elettriche.
Nel Baden-Württemberg si sono fuse EVS di Stoccarda e Badenwerk di
Karlsruhe, quinta e sesta società elettrica tedesca, con vendite intorno
ai 20 TWh (miliardi di kWh) ciascuna. Ne è nato il quarto gruppo
elettrico indipendente tedesco, Energie BadenWürttemberg  (EBW).
Quattro tentativi di fusione erano andati a monte per rivalità di
campanile e di poltrone (le due società sono controllate da Land ed enti
locali). Ora la prospettiva della fine del monopolio ha imposto
abbandono dei localismi, concentrazione e ristrutturazione (già hanno
avviato consistenti riduzioni del personale) per non perdere i maggiori
clienti a vantaggio dei più forti concorrenti nazionali e stranieri. Ma
anche per l'espansione internazionale: EBW ha messo piede in Thailandia,
acquistando - in baht svalutati - il 30% del produttore di elettricità
Amata Power, in cui è presente anche Bayernwerk.
Parallelamente hanno deciso di fondersi le due società regionali
Neckarwerke di Esslingen e TWS di Stoccarda. Metteranno in comune la
gestione delle centrali con EBW, realizzando un'ulteriore concentrazione
di fatto.
Bayernwerk ha rafforzato il suo dominio in Baviera con l'acquisizione di
Isar-Amperverke (11 TWh venduti). E' una sorta di nemesi storica. Nel
secondo decennio del secolo il banchiere Wilhelm von Finck, fondatore di
Isarwerke (che nel 1955 si fonderà con Amperwerke) fu tra i più strenui
oppositori al Reichstag del progetto dell'"Edison tedesco", Oskar von
Miller, di fondare la Bayernwerk, a capitale pubblico, per sfruttare
razionalmente il potenziale idroelettrico bavarese. Lo schieramento di
von Finck riuscì ad impedire che Bayernwerk avesse il monopolio legale
delle risorse idriche della Baviera e a salvare le società private, tra
cui anche Grosskraftwerke Franken di Norimberga. La Franken venne
assorbita da Bayernwerk nel 1975.
Negli anni '70 e '80 Isar-Amperwerke entrò in consorzio con Bayernwerk
per i reattori nucleari Isar 1 e 2, da 870 e 1285 MW. Bayernwerk,
privatizzata con la cessione nel 1993 dal governo della Baviera alla
VIAG, ha poi conquistato il controllo di Isar-Amperwerke acquistando
azioni dalla famiglia von Finck e ottenendo il 25% con cui la rivale RWE
la presidiava, in cambio del 50% di Thyssengas.
Come  nel  Baden-Württemberg, anche in Baviera procede la concentrazione
ad opera di un'unica grande società elettrica. La concentrazione
progettata da von Miller per legge e per mezzo del capitale statale,
avanza dopo quasi un secolo nella forma del capitale privato.

Municipalizzate in vendita

Nel Nord processi analoghi sono in corso.
La Bewag di Berlino è stata privatizzata e, dopo uno scontro tra
capitali tedeschi e anglosassoni, è stata ceduta a PreussenElektra, VIAG
(Bayernwerk) e all'americana Southern Company, che ne ha assunto la
gestione.
PreussenElektra, oltre ad entrare nella amburghese HEW, ha acquisito il
24,9% di Stadtwerke Bremen. Molti altri Comuni, in difficoltà
finanziarie, hanno deciso la parziale privatizzazione per far cassa.
Numerose municipalizzate stanno organizzando fusioni ed aprono ai
capitali privati.
Liberalizzazione  europea  e pressione del mercato mondiale suonano a
morto le campane per i monopoli di campanile. Il grande capitale si
impadronisce del loro business quale base per la competizione
imperialista. Ai piccoli monopoli sostituisce le grandi concentrazioni
monopolistiche, anche transnazionali. Si impone la visione
internazionalista.
 


Released online: November, 1999

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