Logo Girodivite: vai a notizie sulla redazione
articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

***** ***
Girodivite - n° 58 / novembre 1999 - Politica

Chomsky: un dopoguerra mondiale

da: il Manifesto, dell'11 novembre 1999.
INTERVISTA A NOAM CHOMSKY

DOPOGUERRA MONDIALE

Dal Kosovo a Timor Est, lo scenario dei controllori del sistema-mondo. Una
critica serrata contro l'interventismo
umanitario e contro la politica estera degli Usa e dei "padroni" del G8

- IAIA VANTAGGIATO -

L' essere ideale per l'attuale sistema mondiale, è un individuo di
fronte alla televisione, che non comunica con nessuno ma si lascia frullare
il cervello dalla tv. Se l'individuo cominciasse a comunicare con gli altri
potrebbe diventare pericoloso, recuperare la propria umanità, il proprio
senso critico, la capacità di costruire alternative". Anche quando
affronta argomenti contigui ai temi che lo hanno reso famoso in tutto il
mondo come uno dei maggiori linguisti contemporanei, Noam Chomsky - autore de Le
strutture della sintassi - resta un militante. Lo ha dimostrato,
martedì scorso a Siena, di fronte a una platea di oltre trecento persone
che il Coordinamento contro la guerra (nato ai primi di aprile ma ancora
attivo nonostante la fine dei bombardamenti nei Balcani) ha riunito presso
lo spazio autogestito della Corte dei Miracoli: non si è risparmiato,
Chomsky, nel criticare la politica estera degli Stati uniti che del
"sistema mondiale", insieme agli altri membri del G8, sono padroni e
controllori; "Stati illuminati", come li ha definiti, che dominano il
mondo con la repressione militare e con l'adesione entusiasta alle politiche
di deregolamentazione selvaggia e di liberalizzazione dei mercati imposte dal
Fmi e dalla Banca mondiale.

E a chi gli ha chiesto se ci fossero alternative per risolvere la crisi
del Kosovo, ha risposto: "Per prima cosa si poteva evitare d'intervenire;
altrimenti c'era la risoluzione del parlamento serbo che era stata
presentata a Rambouillet e ignorata, prima dai delegati e poi dalla stampa
internazionale. Dopo tre mesi di bombardamenti, l'accordo firmato era
molto simile a quello proposto dalla delegazione serba... a voi le
conclusioni".

Come per i ragazzi e le ragazze del coordinamento - che nei Balcani ci
sono stati producendo diari, una mostra fotografica e diverse ore di
pellicola - così anche per Chomsky la guerra non è finita. Così come
non è finita per le tante commissione che - sparse in tutto il mondo -
continuano a indagare sui crimini dei Balcani alla ricerca di prove che
testimonino dell'esistenza e dell'entità delle atrocità commesse. E'
importante. Perché alla necessità di impedire il "genocidio" si è
appellata la Nato per legittimare i bombardamenti alleati sulla Serbia.

Ai primi di agosto, l'amministratore dell'Onu Bernard Kouchner aveva
dichiarato che oltre 11.000 kosovari di etnia albanese sarebbero stati
massacrati da Milosevic (Il Pentagono parlava a maggio di centomila
morti). Come fonte citava il Tribunale penale per i crimini nella
ex-Jugoslavia che già allora lo smentiva e che oggi rivela i primi
risultati delle sue indagini. Il numero delle vittime, per ora, sarebbe di
2.108; sembra corrispondere ad una "logica di guerra", ma comunque è una conta
sinistra e descrive uno scenario atroce che pure, però, non può essere
definito genocidio.

Non ci sono dubbi sul fatto che una pulizia etnica ci sia stata, basta
guardare al numero dei rifugiati che sono almeno 18.000 e a quello degli
uccisi di cui ancora non si sa nulla di preciso. Così come non c'è
dubbio che le atrocità, in Serbia, siano cresciute dopo l'inizio dei
bombardamenti. In questi giorni, l'International Herald Tribune ha
riportato il resoconto delle atrocità commesse in una prigione serba dove
centinaia di persone sono state uccise anche a causa dei bombardamenti
della Nato. E ora - ma solo ora - si registrano atti di violenza anche da
parte delle guardie serbe. Certo, i crimini commessi in Serbia, e con la
connivenza della società civile, sono terribili: ma, anche qui, la
connivenza c'è stata soprattutto dopo l'inizio dei bombardamenti. Gli
stessi media, che inizialmente avevano condannato Milosevic, hanno a un
certo punto spostato la loro attenzione sui civili, i cosiddetti "boia
conniventi", e di loro pure si sono serviti per giustificare un intervento
che di fatto era già iniziato.

Un esito fin troppo prevedibile...

Sì, e la Nato sapeva. Lo stesso comandante in capo delle forze Nato, il
generale Wesley Clark, aveva dichiarato che, con l'inizio dei
bombardamenti, le atrocità si sarebbero intensificate. A me sembra che i
media non abbiamo dato una descrizione accurata di questa situazione e,
senz'altro, non lo hanno fatto negli Stati uniti né in Inghilterra.

Dopoguerra? L'economia serba ha subìto, in poche settimane, distruzioni
maggiori che nel corso di tutta la Seconda guerra mondiale;
incalcolabili i danni ambientali.

La maggior parte degli obbiettivi colpiti non era militare. Il vero
obbiettivo era l'economia civile che, infatti, ora si trova in uno stato
disastroso.
Non a caso sono state pesantemente bombordate regioni che nulla hanno a
che fare con il Kosovo: la Voivodjna o la città di Novi Sad, peraltro
abitate prevalentemente da ungheresi ostili a Milosevic. Un'operazione di
attacco alla società civile relativamente facile, tanto questa è priva
di difese. D'altronde gli Usa e l'Inghilterra avevano già compiuto la
stessa operazione in Iraq.

Ancora dopoguerra: risulta che circa 260.000 - tra serbi, rom e albanesi
"collaborazionisti" - siano stati espulsi dalla fine della guerra. Una sorta
di pulizia etnica da parte della Nato e c'è chi, come Weton Surroy,
parla di fascismo.

Sulla questione è, attualmente, in atto un conflitto tra Usa e Europa.
Il problema è se alleviare o meno la sofferenza dei civili e naturalmente
gli Usa intendono mantenere un regime di punizione. Io non parlerei di
fascismo: si tratta del comportamento normale di stati potenti.

Lo storico francese Jean Chesneux ha affermato sul nostro giornale che
"l'effetto Kosovo ha svolto un ruolo favorevole a Timor" dove l'Onu "ha
agito fingendo di mettersi d'accordo con il colpevole". Non le sembra,
piuttosto, inaudito il ritardo di un mese e mezzo con cui si è andati al
referendum e il fatto che a intervenire sia stata proprio l'Australia che
aveva appoggiato l'occupazione indonesiana del 1975?

Veramente Chesneaux ha detto questo? I diritti che l'Indonesia può
vantare su Timor sono paragonabili a quelli che vantavano i nazisti sulla
Francia occupata. Ma ciò che va sottolineato è che sono stati gli Usa
a sostenerli. Lo stesso personale militare indonesiano è stato addestrato
e armato dagli Usa fino a tempi molto recenti: parlo dell'amministrazione
Clinton che lo ha fatto in violazione delle leggi congressuali. E fino a
agosto, ci sono state esercitazioni congiunte con il personale militare
statunitense. Parliamo, dunque, di un periodo, in cui già si consumavano i
massacri: massacri e atrocità che sono da attribuire alle
amministrazioni americane e in particolare all'amministrazione Carter.

Secondo la lezione balcanica non si sarebbe "dovuto", invece, bombardare
Jakarta?

A Timor le atrocità erano a un livello maggiore di quelle del Kosovo
prima che iniziassero i bombardamenti. A sostenerlo sono fonti affidabili,
ecclesiastiche ma affidabili. A Timor il bilancio delle vittime era almeno
di due volte superiore rispetto a quello del Kosovo. Nulla di tutto ciò è
stato riferito. Credo basti questo a smentire Chesneaux. E se Clinton ha
dovuto rilasciare qualche dichiarazione o prendere qualche misura,
ancorché piccola, è solo perché, verso il 10 settembre, ha subìto
pressioni interne. Quanto all'Australia, prima di intervenire, ha chiesto il
permesso all'Indonesia. Anche in questo caso l'amministrazione Clinton è
stata latitante e così pure l'Onu che, nonostante le centinaia di
migliaia di persone nascoste sulle montagne a morire di fame, si guarda bene dal
mandare del cibo.

La bandiera dei diritti umanitari non sembra, dunque, poggiarsi sull'asta
dell'universalismo.

Si sa che centinaia di migliaia di timoresi sono soggetti a crimini
efferati ma gli Stati uniti non dicono nulla. Così come tacciano (insieme
alla Francia e all'Inghilterra) su quanto accade in Colombia o in Turchia. Del
resto quest'ultima è entrata di diritto nel novero degli stati illuminati
perché importa armi americane, le stesse necessarie a reprimere l'anomalia kurda.

Ritiene possibile una riforma che faccia dell'Onu lo strumento di un
governo mondiale?

Una riforma delle Nazioni Unite è necessaria ma il problema principale è
rappresentato dagli Usa che non ne consentono il funzionamento. Non a
caso l'Onu non riceve fondi dagli Stati uniti e viene liquidata dagli Usa
ogniqualvolta non ne rappresenta le opinioni. E' una situazione va avanti
da quarant'anni. Non appena l'Onu ha cominciato a rappresentare una
opinione mondiale, ha perso l'appoggio degli Usa. Del resto basta guardare
ai numerosi veti in cui è incorsa. Contrariamente a ciò che dicono gli
intellettuali dell'occidente, gli Stati uniti sono al primo posto nei veti
alle
risoluzioni Onu, poi vengono gli inglesi e quindi i francesi. Ciò
riflette l'odio che gli Usa nutrono nei confronti dell'Onu che viene invece
fortemente sostenuto dalla popolazione statunitense. E' uno dei tanti casi
in cui l'opinione popolare non influenza la politica. Non dovrebbe essere
così ma per cambiare ci vorrebbe un maggiore impegno politico, una
maggiore patecipazione democratica.

Cosa pensa della proposta avanzata dallo studioso di diritto
internazionale, Richard Falk, di istituire un parlamento mondiale su basi
universali?

Falk è un vecchio amico ma queste proposte non hanno peso. Esiste già,
per esempio, una corte internazionale di giustizia che ha condannato gli
Stati uniti per la sua politica aggressiva. Ma gli Usa hanno ignorato
questa sentenza. Esiste anche una corte criminale internazionale che non ha
sostegno da parte degli Usa. E non è un caso che gli Stati uniti firmino
così poche convenzioni sui diritti umani. Di più: quelle che vengono
firmate sono sottoscritte a condizione che non si applichino agli Usa. Per
esempio, in Jugoslavia, questa primavera, gli Stati uniti decisero che la
convenzione sul genocidio non si poteva applicarsi al loro intervento e,
così, la corte non poté considerare il caso. Il popolo statunitense è
ignaro
di tutto ciò. E lo stesso, credo, vale per quello italiano. E
l'ignoranza di questi fatti colpisce persino numerosi intellettuali. Di
questi fatti
non si parla e non si parla per scelta non per necessità. Sono questi gli
argomenti che dovrebbero essere affrontati per gettare le basi di una
protesta popolare.

La guerra nei Balcani è stata combattuta nella più totale illegalità
ma sempre in nome dei diritti umanitari. Proposta come modello di una nuova
legalità internazionale, la "guerra ideologica" era l'unica, del resto,
che la sinistra avrebbe potuto sostenere.

L'umanitarismo non c'entra niente. Altrimenti dovremmo considerare
umanitario o di sinistra anche Mussolini che invase l'Etipia affermando
che i suoi intenti erano, per l'appunto, umanitari: liberare gli schiavi e
cristianizzare il paese. E in questo fu sostenuto dagli Stati uniti: in
alcuni
documenti rimasti segreti sino al 1938, gli Usa lodano Mussolini per i
suoi alti sentimenti. E lo stesso è accaduto coi sudeti. In tutta la storia
è difficile trovare una guerra che non venga presentata dall'aggressore come
giusta e umanitaria ma scopi veramente umanitari non ce ne sono mai
stati.

Non crede che la fine della guerra fredda imponga la riscrittura delle
regole del diritto internazionale?

I principi del diritto internazionale sono positivi ma finché non
vengono sostenuti dai grandi poteri non hanno valore. La politica Usa è
chiara a riguardo. Quando, nel 1986, la corte internazionale di giustizia
condannò gli Stati uniti per l'aggressione in Nicaragua la sentenza venne
rifiutata con la seguente argomentazione: poiché non c'erano altre nazioni che
condividevano la loro posizioni, gli Stati uniti si sentivano autorizzati a
lottare da soli, indifferenti rispetto all'opinione delle altre nazioni,
per difendere ciò che ritenevano giusto. In qualsiasi nazione libera questa
sarebbe stata una notizi da prima pagina, voi ne avete letto in Italia?

Nel suo ultimo libro, "Intervista sul nuovo secolo", Eric Hobsbawm alla
classica accezione di stato-nazione ne aggiunge un'altra e parla di "uno
stato territoriale che appartiene a un particolare popolo, caratterizzato
da peculiarità etniche, linguistiche e culturali e che costituisce la
Nazione".
Di fronte a uno stato etnico su basi linguistiche come cambia, secondo
lei, il concetto di sovranità?

Hobsbawm è un altro vecchio amico ma quello che dice è fuorviante.
L'Italia, per esempio, è una nazione unita da un'unica lingua ma solo perché
tutte le altre sono state distrutte. Basta chiedere a qualsiasi persone
quale lingua parlasse sua nonna e non sarà stato l'italiano. E' importante
capire che un'unica lingua non è un fatto culturale che unisce il paese:
più semplicemente è il segno che le altre sono state eliminate. Questo
è accaduto anche negli Usa e riflette solo il fatto che gli altri popoli
sono stati sterminati. Bisogna aggiungere, inoltre, che lo stato nazione non
è sempre uguale: in Europa, riflette anche fatti etnici mentre non è
necessariamente così in altre parti del mondo. Gli stati nazione europei
sono stati creati dopo 800 anni di estrema violenza: solo dopo il 1945 si
comprese - ed è questo l'unico motivo per il quale la violenza è cessata -
che continuando di questo passo ci sarebbe stato l'annientamento totale. La
guerra in Europa veniva praticata come scienza.

Se queste sono le premesse, come giudica l'unificazione europea?

In Europa c'è la necessità di un mutamento di rotta. Esso è reso
urgente dalla presenza di due tendenze contrastanti l'una con l'altra. Da un
lato, infatti, c'è una unificazione europea, nient'affatto democratica, che
ripone tutto il potere nelle mani di una banca centrale, un istituto che non
risponde delle sue azioni ma che si limita, si fa per dire, a fare gli
interessi di alcune grandi corporazioni. L'altra tendenza rappresenta una
risposta alla prima e risiede nella segmentazione regionale. Tutta la
cultura europea - parlo della lingua, delle danze, delle musiche - si
manifesta sempre più a livello regionale. In Inghilterra e in Spagna,
specialmente, le regioni stanno acquisendo poteri sempre maggiori: è una
reazione contro la centralizzazione proposta dall'Unione europea, una
centralizzazione decisa dall'alto e, per questo, assai poco democratica. Al
deficit di democratizzazione, il popolo risponde col tentativo di riprendere il
controllo almeno su a livello regionale. E non si può dire come andrà a
finire tutto questo. Del resto, gli europei non sono obbligati a riporre
la loro fiducia in istituzioni finanziarie. Rispetto a questo, persino gli
Stati uniti - e i loro più importanti giornali - si meravigliano della piega
fortemente conservatrice che la politica europea va prendendo.

Abbiamo incontrato Noam Chomsky in una piccola stanza della facoltà di
lettere di Siena, città in cui si trova per motivi di studio. Un'ora e
mezza di conversazione e molte domande rimaste - per questioni di tempo -
senza risposta, dalla relativizzazione della Shoà all'uso politico della
storia al concetto di autodeterminazione dei popoli.

Poi lui comincia a scalpitare: all'ovattata atmosfera dell'università
preferisce il pubblico appassionato che l'aspetta alla Corte dei miracoli.
Prima la politica, l'accademia può attendere.
 


Released online: November, 1999

Vai a inizio paginaVai alla Homepage


© Giro di Vite, 1994-1999 - E-mail: giro@girodivite.it

******July, 2000
 
© 1994-2004, by Girodivite - E-mail: giro@girodivite.it