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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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Girodivite - n° 57 / ottobre 1999 - Catania, teatro, mafia

Se la violenza non è mai l'ultima a morire

di Sergio Failla

Il 10 ottobre 1999 a Catania, nel bellissimo Cortile Platamone - tra i luoghi più suggestivi della città - la rappresentazione di "Ultima violenza" testo di Giuseppe Fava, regia di Lollo Franco. Una compagnia mista, fatta di attori professionisti e di detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo hanno presentato uno dei testi teatrali (e politici) più duri di Pippo Fava, il giornalista e scrittore catanese ucciso dalla mafia.

Fa sempre una certa impressione sentir rievocato il nome e la presenza di Pippo Fava a Catania, in questa città che lo ha visto ucciso nell'indifferenza generale. Alla sua morte i maggiore giornale dell'isola, «La Sicilia» di Ciaccio Sanfilippo, e così gran parte di potenti e intellettuali locali, ha vissuto con fastidio la sua vicenda. intellettuale scomodo era Pippo fava, eccessivo, tracimante. Sempre fuori dalle righe. Per chi voleva una Catania addormentata e felicemente indifferente, le cose che Fava e il gruppo dei suoi ragazzi riuniti attorno a «I Siciliani», era un elemento perturbatore. Per la stessa sinistra storica, usa a patteggiare spazi di esistenza nella città più fascista d'Italia; per la sinistra "antagonista" che ha scoperto dell'esistenza della mafia solo dopo, dopo che Fava è stato ucciso - e così l'intreccio tra i "cavalieri" imprenditori mafiosi di Catania e i boss. Per Catania Fava continua a essere un personaggio scomodo, un intellettuale con cui rimangono aperti i conti.

Ha fatto una certa impressione assistere a questo spettacolo. Il testo di Fava è duro, claustrofobico. Non accetta e non si dà consolazioni. Alla fine, sono tutti i perdenti: la "giustizia" che tenta l'ultima carta della violenza di Stato contro l'intreccio tra mafia terrorismo e potere politico e affaristico. Il giudice, come pure l'avvocato della difesa. Storie personali, faccende intime si intrecciano con gli accadimenti della "grande storia" politica e giudiziaria - perché la storia in Sicilia è stato questo intreccio, non a caso.

Ha fatto una certa impressione che a recitare il testo siano un gruppo di detenuti. Duri, micacciosi, inconciliabili. Ho sempre avuto delle perplessità su operazioni di questo genere. Quell'ipocrisia del buonismo che tenta di far vedere a tutti i costi quanto l'animo umano sia "buono": vedete, dicono coloro che utilizzano marginati e carcerati nelle loro operazioni di pubblica esibizione, "loro" non sono così terribili come ce li immaginiamo, sono capaci di "arte", di praticarla e apprezzarla. E poi la sera stessa tutti a tornare nelle proprie case, rassicurati, satolli, ovattati nelle nostre certezze borghesi. Tutti più buoni, tutti a coltivare le nostre abitudini consolidate - la lettura del giornale di regime «La Sicilia», a praticare i nostri compromessi e le nostre collusioni.

Il palcoscenico è una grande gabbia bianca, all'interno della quale si muovono gli attori. E' la "giustizia" assediata - la cittadella fortificata mentre dall'esterno giungono le voci dell'assedio, voci di tumulti, di assalti che, nella loro indeterminatezza, aumentano il senso di chiuso, minaccioso della storia. I GIS vanno avanti e indietro, attraverso i corridoi tra gli spettaori, correndo, incappucciati, in fila militare. La linea che li divide da golpisti o da rapinatori in tenuta di guerra è sottile, vaga. La tensione è alta. Qualche incertezza di recitazione tra gli attori-detenuti, l'impostazione accademica della voce degli attori "professionisti", tutto fila liscio per come deve filare. Il testo non concede "sconti di pena" per nessuno - l'avvocato Bellocampo autoconvocatosi a difendere mafiosi e potenti in carcere, la sua ricerca della verità che è una ricerca collettiva - cosa è giustizia per il Paese, per la città, qual è la verità? - e personale - l'uccisione del figlio tra sensi di colpa e fallimenti di padre e di marito. Perché non ci può essere giustizia né verità se non c'è futuro, se "il figlio" cioè il futuro è stato la prima vittima: di noi stessi, delle nostre collusioni, delle nostre colpevoli chiusure.

L'ennesimo esperimento (?) di utilizzo di detenuti per una rappresentazione teatrale termina presto. Il pubblico - numeroso, uomini e donne di mezz'età - applaude con effetto liberatorio. Il teatrante fa il suo cappelletto di prammatica - ringrazia l'Amministrazione, "coloro che hanno creduto e crederanno nella compagnia teatrale Pagliarelli", l'Assessore, il Ministro di Grazia e giustizia. Si applaude convinti, si tira un sospiro di sollievo. La conclusione delle tre giornate che Catania ha voluto dedicare a "Il teatro per la libertà" - venerdì 8 ottobre il dibattito con procuratori e il neo direttore delle carceri Giancarlo Caselli, i politici e gli amministratori, sabato 9 ottobre la mostra di foto sculture e ceramiche dei detenuti.


Titolo Ultima violeza
Autore Giuseppe Fava
  Catania, 10 ottobre 1999
Regia Lollo Franco
avvocato Bellocampo Lollo Franco
Giovanna Sarpi Arculeo Giuditta Perreira
vedova Badiani Ester Cucinotti
moglie dell'avvocato Bellocampo Alessandra Fazzino
Helga Metzer Sabrina Recupero
procuratore generale Michele Stagno
presidente del Tribunale Orazio Barbanera
Giuliano Sanfelice Roberto Bonura
Angelo Crimi Salvatore Agusta
senatore Raimondo Calaciura Antonino Mirabelli
Giovanni Marullo Principio Di Martino
capitano dei Carabinieri Pietro Caramia
Antonio Lamante Giovanni Musso
Emanuele Mancuso Giuseppe Cirrotta
Sebastiano Infantino Giuseppe Fioretto
Filadelfo Malia Vito Verciglio
tenenti Angelo Campagna, Onofrio Catalano
carabinieri GIS Gioacchino Campora, Biagio Cardella, Umberto Centineo, Giacomo Chiarello, Antonio Cirivilleri, Alessandro De Carlo, Giuseppe Di Miceli, Antonino Ferrandelli, Carmelo Guardabasso, Paolo Mascarella, Girolamo Messina, Daniele Moscatello, Paolo Puccio, Sanvatore Rasa, Antonio Scaglione, Edoardo Terrana, Marco Zizzo.
coreografia Alessandra Fazzino
aiuto regia Michele Stagno
musiche Jan Garbarek, David Darling, Harold Budd, Terje Rypdal


Released online: October, 1999

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