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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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Girodivite - n° 56 / settembre 1999 - Pacifismo

Oltre la guerra in Kossovo

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La guerra in Jugoslavia come svolta

Quando la NATO e gli Stati Uniti hanno deciso la guerra contro la Jugoslavia "per il Kossovo" abbiamo ritenuto di trovarci di fronte a una svolta radicale, tale da coinvolgere in maniera sostanziale la nostra vita nel futuro delle generazioni. Abbiamo vissuto per 50 anni all'interno di un "sistema bloccato" della Guerra Fredda e della minaccia atomica. Dopo il 1989 la speranza di una liberazione, presto rientrata con il tentativo di ricompattazione dell'occidente attorno al "progetto europeo" di Maastricht. Abbiamo visto nella guerra contro la Jugoslavia la fine di quei processi possibili innescati dopo il 1989 e la determinazione di una nuova ingessatura tale da influenzare sviluppi e possibilità di vita sociale. La direzione nuova assunta dalla vita politica, sotto l'insegna della militarizzazione è preoccupante.

Con la guerra in Kossovo gli Stati Uniti hanno oliato i meccanismi che permetteranno il loro dominio sui territori europei nei prossimi decenni. Il nostro essere stati contro la guerra in Kossovo ha avuto soprattutto questa motivazione. Oltre che quella "umanitaria" e comunque convinti che le guerre non possono risolvere i conflitti sociali. Sulla situazione in Kossovo prima della guerra sapevamo. Il movimento pacifista è stato quello che da più di dieci anni ha cercato di far sapere in Occidente della realtà liberticida del regime in Jugoslavia. In dieci anni nessuno ha voluto ascoltare, salvo poi "scoprire" improvvisamente il dramma. Scoprirlo per poter intervenire (militarmente) in modo da mutarne significato: da conflitto locale a modo con cui l'egemonia imperiale statunitense ha decretato l'annullamento dell'ONU e di tutte le regole di diritto internazionali su cui si era tentato in mezzo secolo di far convivere gli Stati.

Uno degli effetti indiretti della guerra è stato quello di poter leggere protocolli e piani "riservati" degli Stati Uniti che indicavano le sue strategie di dominio per i prossimi decenni sul mondo, il suo ruolo di potenza unica al di fuori delle regole.

 

Quello che abbiamo cercato di fare

Spiegare tutto questo alla nostra gente, spiegare le ragioni della pace contro la facilità della guerra, è stato difficile. Ci siamo trovati davanti al muro dell'ipocrisia e a quello, altrettanto deleterio, del "buonismo". "Ci sono i morti in Kossovo, ma allora non dobbiamo fare niente?". Anche quando ci siamo opposti alla "missione Arcobaleno", nel marzo 1999 - la nostra motivazione era che si trattava di "aiuti" preparati da una nazione in guerra contro quei paesi, e non ci risultava che mai nella storia una nazione in guerra avesse portato "aiuti" alle genti con cui era in guerra; per noi la "missione arcobaleno" era una messinscena per finanziare l'intervento militare italiano contro la Jugoslavia e il Kossovo; lo stesso invito a rifocillare la Croce Rossa Italiana ci trovava tiepidi; abbiamo invece invitato a dare risorse alle organizzazioni di volontariato che sapevamo davvero operanti in Albania e Kossovo, come l'ICS -, ci siamo trovati davanti all'incomprensione della nostra gente.

Il nostro impegno nel corso della guerra in Kossovo è stato duplice: da una parte partecipazione alla mobilitazione di controinformazione, attuata in Italia dalle organizzazioni e gruppi pacifisti. Dall'altra partecipazione diretta alle manifestazioni contro la guerra. Nelle prime settimane della guerra, quando ancora in Italia non si usava neppure questo termine, abbiamo attivato fax e email per contattare e informare i gruppi e i singoli della Sicilia, fornendo loro le informazioni che ci provenivano dal Nord e dal Centro Italia, dai gruppi più avanzati del pacifismo italiano.

Abbiamo pubblicato per tutto il mese di marzo un Notiziario quotidiano, tramite fax e email. Innanzitutto dicendo che di guerra si trattava e che l'Italia "era" in guerra, e che a questa guerra esisteva una opposizione che si stava mobilitando con cortei, scioperi, dibattiti, tende della pace ecc. In Sicilia esiste un problema dell'informazione che è agghiacciante, sulla quale la sinistra "storica" ha grosse colpe, e noi ci troviamo oggettivamente oggi senza mezzi di comunicazione, neppure tra di noi gruppi.

La nostra prima presa di posizione pubblica è stato il volantino "C'è chi dice no" (Girodivite 52). Abbiamo partecipato direttamente a manifestazioni (come quelle di catania e di Palermo, il 30 marzo) e dibattiti in varie città siciliane: Lentini, Scordia, Caltagirone, Catania. Tra i materiali prodotti, il volantino "Noi…": un foglio giallo appiccicato addosso (sul petto o sulle spalle) con disegnato un bersaglio con una colomba al centro, e la scritta "Noi… i bambini di" Surdulica, Belgrado ecc. man mano che giungevano le notizie sui massacri compiuti dagli aerei italiani e della Nato in Jugoslavia.

A Caltagirone abbiamo presentato Girodivite 53, e i giroBook "Socrate al caffè?" di Pina La Villa sul problema della responsabilità dell'individuo nei confronti del Potere (tramite una lettura su Hannah Arendt), e "Non sparate su Peter Pan" sui problemi dell'informazione democratica in Sicilia. Il numero 53 di Girodivite è stato dedicato alla raccolta di testi significativi provenienti dalla stampa indipendente. L'informazione della sinistra in Sicilia è stata carente, le forze poche e ridotte al lumicino. "Girodivite" è stata purtroppo l'unica rivista che è riuscita a uscire in tempo reale, nella Sicilia orientale. Abbiamo diffuso 10.000 copie del nostro foglio, gratuitamente, soprattutto a Catania e Siracusa, e nei paesi intermedi; circa 500 copie sono state inviate via posta. Un esborso finanziario che ci ha lasciati finanziariamente a terra.

Abbiamo inoltre prodotto un Dossier Kossovo, prelevando materiali da PeaceLink. Il dossier, decisamente corposo, è stato diffuso soprattutto in floppy, ai gruppi attivi localmente; una decina di copie sono state stampate, ma non ci siamo potuti permettere una diffusione cartacea superiore. Dato il tipo di materiale e la destinazione, per i "quadri" del movimento, il dosseri rcediamo abbia avuta una buona incidenza. Insieme al gruppo Sherazade, rivista di storia e didattica di genere, abbiamo diffuso l'appello degli insegnanti riuniti a Bacoli (primi di marzo 1999), contro la guerra. Abbiamo promosso nelle nostre città la proiezione dei due video diffusi dal movimento: sulla guerra nel Golfo e gli effetti dei bombardamenti sui militari americani, e il reportage di Fulvio Grimaldi dal Kossovo. In collaborazione con i collettivi di Chimica dell'Università di Catania, l'associazione Agit Prop di Scordia, l'ass. Pietre di Lentini, il comitato Un ponte per… di Catania.

Insomma, quello che abbiamo cercato di fare è stato di uscire dal nostro privato, dai nostri daffari personali, e manifestare sempre e dovunque, con i nostri familiari ma anche pubblicamente, le cose che sapevamo sulla guerra e le nostre convinzioni contro questa guerra (e contro tutte le guerre).

 

Considerazioni finali

Girodivite è un piccolo gruppo, subiamo anche noi gli effetti della crisi dei gruppi della sinistra in Italia e soprattutto in Sicilia. Si sarebbe potuto fare di più. Le manifestazioni indette a Catania contro la guerra, davanti alla base americana di Sigonella sono andate praticamente deserte. Gli appelli recano la firma di decine di gruppi che esistono più sulla carta che realmente o sono ridotti ognuno a 2-3 militanti (che spesso sono parte di 4-5 sigle diverse). Non riusciamo a parlare alla gente e soprattutto ai ragazzi e alle ragazze. Dopo ogni guerra si dovrebbero fare i bilanci. Nessuno mai al mondo ringrazierà i pacifisti se una guerra non scoppia. Quando scoppia, tutti daranno addosso ai pacifisti perché "non c'erano" o non hanno fatto abbastanza. La guerra contro la Jugoslavia sostanzialmente non è scoppiata. Abbiamo bombardato, ucciso centinaia di persone, diverse migliaia moriranno ancora per gli effetti postumi dei bombardamenti. I nostri bravi soldati, già pronti a partire (le lettere erano già state imbucate quando il governo D'Alema spergiurava che tutto poteva risolversi a livello diplomatico), gli "obiettivi" già assegnati da mesi. In questa guerra i "nostri soldati" non sono intervenuti. Grazie anche alla mobilitazione dei gruppi e del residuo della sinistra. Per la prossima guerra "loro" si stanno già attrezzando, decretando la fine dell'esercito di leva - quello fatto dal "popolo" che non può sparare sulla propria gente -, e per l'esercito mercenario ("professionale"). Una scelta su cui il movimento pacifista sembra non aver prestato sufficiente attenzione. Abolire l'esercito di leva non significa abolire i militari, che anzi vengono rafforzati: con l'esercito professionale sono possibili operazioni che altrimenti risultavano più difficili, come appunto l'invasione e l'occupazione di territori altrui, e sparare sugli oppositori che manifestano nelle piazze. La prossima guerra sarà più difficile. Sappiamo che dovremo combattere contro il sistema "della menzogna e della disinformazione" che ha già fatto il suo rodaggio con la guerra del Golfo. Ma in più avremo davanti una popolazione meno recettiva, più passiva che mai. Le strutture feudali che si stanno ripristinando e rafforzando, nel Sud come nel resto del paese, rendono sempre più difficile condurre una lotta sociale di qualsiasi tipo. La sinistra, cui il movimento pacifista appartiene anche se non vuol saperne di appartenervi, riesce a mobilitarsi solo nelle grandi disgrazie. Quando Berlusconi sale al potere, oppure quando ammazzano Falcone e Borsellino. Vorremmo sperare che si mobiliti anche quando D'Alema attua il programma berlusconiano e reaganiano di smantellamento dello "stato sociale" e impoverisce i ceti medi e piccoli a favore dei soliti pochi e grandi. Essere nella società, attivi, casa per casa e città per città, è un obiettivo imprescindibile se si vuole essere ancora: pietre che fanno montagna contro i carri armati che vorrebbero la via spianata e dritta verso la guerra.

Un non "arrivederci alla prossima guerra"

Intanto, vogliamo sperare un non arrivederci alla prossima guerra. Non perché crediamo che una guerra non ci sarà, dietro l'angolo, a coinvolgerci in maniera più diretta. E' nelle logiche della struttura internazionale che Stati Uniti e Europa si stanno dando. Invece vogliamo sperare di vederci prima, perché insieme si cominci a costruire da adesso strutture di resistenza e di elaborazione e attuazione di forme di contrasto sociale.


Released online: September, 1999


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******July, 2000
 
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