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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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Girodivite - n° 53 / maggio 1999 - Pacifismo, Kossovo

Non è tempo di madonne addolorate

di Lidia Menapace

Le madonne addolorate di ambedue i generi mi suscitano sentimenti negativi: chiamo madonna addolorata chi - di fronte alla guerra in Serbia e oramai in quasi tutta la Federazione Jugoslava - dice tutto il suo dolore e poi solidarizza con Clinton o gli si arrende. Se sono uomini, e per di più di potere, i sentimenti dominanti sono disprezzo, odio, addirittura repulsione.

Che ci vengano a dire che il loro cuore piange, però che bisogna rispettare i patti, colpire il genocidio, fermare la pulizia etnica con bombe umanitarie e via farneticando, a me - appunto - fa schifo. Ma anche quando sono donne che dichiarano il loro dolore e piangono sulla propria impotenza ed incapacità, mi indigno di una così facile resa.

Ma ci sono cose da fare? Come no? Intanto strillare all'indirizzo dei madonni addolorati di cui sopra i propri sentimenti, accompagnati dalla dichiarazione esplicita che di ciò si terrà in adeguato conto in occasione di voti e di elezioni: insomma ricattarli, sembra non ascoltino altro linguaggio. Poi cercare indirizzi e connessioni con le donne dell'area bombardata e torturata e tenere contatti via telefono, via Internet, per far sapere e conoscere quel che davvero succede; e diventare loro amplifiatrici ed echi. Poi pretendere l'applicazione della Piattaforma di Pechino, in modo che i governi si attrezzino sempre ad includere donne esperte (designate da altre donne e non da cooptazioni lottizzate) nelle delegazioni per i casi di crisi.

Qui inizio un discorso che richiede un adeguato training, per sperimentare quanto si riesce a tirarsi fuori dal groviglio emotivo, dalle ansie, indignazioni, scandali, tremendità, e per prendere decisioni, aprire prospettive, iniziare pratiche non emergenziali. Intendo dire: non voglio pronunciare l'espressione "non si è mai visto nulla di simile". Si è visto: sfollamenti a migliaia, stupri, case distrutte dalle bombe, giovani fucilati/e sulle piazze, corpi straziati dalla tortura in carcere: ne ho visti qui da noi tra il '43 e il '45 e non si deve dimenticare, per non cadere nella trappola dell'inaudito. Bisogna attrezzarsi mentalmente a non dimenticare nulla, e a non usare mai strumentalmente l'emozione e il dolore. Le pratiche che propongo sono che - finalmente - cominciamo ad occuparci del potere militare e industriale, e non più solo per gentile discussione sui limiti dell'emancipazione, comprendendo le donne che chiedono di fare il militare.

Bisogna diventare antimilitariste, leggere i materiali e le decisioni militari, che sono il vero potere, rispetto al quale la politica sta diventando impotente, soggiogata. La seconda cosa: cominciare a pensare alla riforma e al rilancio delle Nazioni unite in modo che diventino quel che la loro carta costitutiva voleva che fossero. Salvare dunque il principio di una vera comunità internazionale, fondata sui valori enunciati dopo il massacro della seconda guerra mondiale mutando le forme invecchiate. La terza cosa d fare: costituire il terreno politico e culturale per fare dell'Europa un continente neutrale, esperto di trattazione delle crisi nate dalle differenze non elaborate, di religione, cultura, lingua, etnia, ecc. Il nostro continente, il più cruento del pianeta, deve fare i conti con la sua cultura, storia, con le aggressive religioni che di qui si sono buttate nel mondo a fare proseliti conquiste crociate fondamentalismi.

Deve essere quello che smette di far paura e di attirare su di sé i conflitti armati per poi esportarli, e diventare invece un continente militarmente e politicamente neutrale che tratta le crisi, mettendo a frutto tutti questi suoi errori. Come si vede non è tempo di madonne addolorate, bensì di donne - e uomini - forti, capaci di elaborare i lutti e proiettarsi nel futuro. Se vogliamo che un futuro ci sia. Piangere non lo farà esistere.

Da: Il Paese delle donne, aprile 1999.


Released: September, 1999


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******July, 2000
 
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