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Girodivite - n° 52 / aprile 1999 - Pacifismo, guerra Jugoslavia

C'è chi dice no

a cura della redazione di Girodivite. Questo editoriale è stato pubblicato come n° 52 di Girodivite e diffuso come numero unico, in formato volantino. Ripubblicato poi sul n° 53 di Girodivite speciale contro la guerra e propagato all'interno del nostro Dossier Kossovo.


Dopo venti giorni dall'inizio dei bombardamenti, finalmente il governo italiano ha ammesso: "Siamo in guerra". Da venti giorni appunto. Per tutto questo tempo i maggiori giornali italiani e tutte le televisioni si sono affannate a presentare il tutto come una cosa che riguardava la Nato, la Serbia, ecc. Sì, certo, dall'Italia partivano i bombardieri ma: "non impiegheremo mai i nostri militari in Jugoslavia, non manderemo mai truppe...". Intorno alla guerra in Jugoslavia si è messo in campo l'apparato della disinformazione e della propaganda. Come al solito, i più realisti del re (in questo caso, i più natisti della Nato) si sono dati da fare: l'immagine del nuovo Hitler, la guerra giusta ecc.

Le metafore ospedaliere si sono sprecate, in questa prima fase della guerra: missione "umanitaria" (da notare l'uso del termine "missione" che in gergo militare ha un significa mentre nell'accezione comune, in un paese cattolico come l'Italia ne ha un altro), bombardamenti "chirurgici" fatti solo da "bombe intelligenti" - che così come è stato loro programmato (non si tratta di "errori") colpiscono treni, colonne di civili in fuga, ospedali, case di abitazioni ecc. perché in guerra tutto è "obiettivo militare", non esistono cose o persone che non lo siano. Il resto è propaganda.

C'è un aspetto che riguarda questa guerra, che è la propaganda, e le operazioni militari "sul campo". Ma vi è anche un altro aspetto che riguarda il nostro paese. Dal 1945 questa è la prima guerra ufficiale dell'Italia. Ce ne saranno altre. Ma qui ci interessa sottolineare altri aspetti. Un paese non va in guerra così semplicemente, dall'oggi al domani. Noi abbiamo vissuto una lunga preparazione.

Quando il movimento pacifista manifestava contro gli interventi militari dell'Italia in Irak dicevamo appunto questo: che si doveva dire no non solo contro quegli invii allora ma soprattutto per prevenire nuovi, maggiori e "logici" coinvolgimenti, sempre più in prima linea dell'Italia in guerra. Una preparazione dunque fatta anche attraverso le "partecipazioni umanitarie e strategiche" negli ultimi quindici anni. Con l'attenta calibratura del sistema dell'informazione interno, televisivo e della stampa: le "veline" che i telecronisti leggono sono esattamente, nel linguaggio e nel contenuto quelli che leggevano all'epoca della guerra contro l'Irak. Ma una preparazione più complessiva e quotidiana: che passa attraverso i concorsi pubblici - quelli militari sono gli unici che continuano a svolgersi da dieci anni a questa parte, attirando migliaia di disoccupati e ragazzi senza altre alternative -, attraverso il restringimento dei diritti democratici (il "maggioritario" al posto del "proporzionale" è questo; le restrizioni ai diritti di sciopero, la "flessibilità" del lavoro ecc.), e persino la moda: quando nella moda femminile torna in auge uno stile che riecheggia gli anni Trenta, oppure quando i ragazzi si tolgono i jeans (che richiama al mondo del lavoro operaio) per mettersi i large, i pantaloni militari, c'è qualcosa che circola nell'aria e che va oltre anche le stesse decisioni che le classi dirigenti possono dopo pigliare a tavolino.

Questa guerra nel 1999 è frutto di ciò che è maturato negli anni Ottanta. Di fronte a questa guerra si possono avere due atteggiamenti. Altre forme sono solo delle falsificazioni, o le proposizioni degli imbecilli.

Chi è per la guerra non lo è certamente perché Milosevic è un "nuovo Hitler" o perché crede davvero alle favole sui massacri in Kossovo. La scelta a favore della guerra è una scelta tutta razionale e che non ha niente di "idealistico". Si è favore della guerra perché si ritiene che l'Italia non possa occupare altro ruolo che quello di servo compiacente degli Stati Uniti. L'interesse dell'Italia sta nello stare con gli Stati Uniti, dunque noi seguiamo gli Usa. Non seguire gli Usa in questa guerra significa essere messi da parte, guardati con sospetto ecc. e allora, "necessariamente" dobbiamo eseguire. I più sensibili pensano anche che stare nella Nato e dalla parte degli Stati Uniti possa comunque servire per limitare gli errori e i morti, da entrambi i lati, può servire a rimanere a fianco dell'Alleato che può continuare a "ascoltarci" e magari seguire i nostri santi consigli... Questa non è una guerra solo contro la Jugoslavia, ma è una guerra che ristabilisce chi comanda in Europa, se i tedeschi o gli Usa (con i loro fedelissimi inglesi). Molti analisti sostengono che l'unica giustificazione geopolitica seria di questa guerra sia proprio questa: nel quadro di una strategia più vasta degli Usa, di creare "zone calde" una per ogni area geopolitica in modo da impegnare i propri alleati regionali ed evitare forme autonome pericolose. Così l'Irak, le zone di crisi in Africa, e in Asia con la prossima Corea del Nord e Pakistan...

Chi è per la guerra vede in essa un ottimo sistema ("classico") per fare i conti con i propri nemici interni: sindacati, partiti politici avversari, classi subalterne ecc. La guerra può inoltre essere un buon volano per l'industria che da un decennio è strutturalmente in crisi - non si tratta di una crisi periodica, ma tutti gli analisti sono convinti che si tratta proprio di una crisi strutturale e dalle crisi strutturali finora si è venuti fuori sempre con una bella guerra mondiale.

Chi è contro questa guerra lo è perché è contro ogni guerra. Anche qui non c'è nulla di "idealistico" ma si tratta di scelte razionali. Perché ritiene che l'esperienza abbia insegnato che: a) non esistono guerre giuste; b) che nelle guerre muoiono solo i più deboli mentre i potenti (che sono gli unici a volerla) si arricchiscono sempre di più; c) che la guerra è solo un paravento per l'ipocrisia e il cinismo: perché poi chi dice di ritenere l'altro come nemico in realtà gli vende armi, chi dice di volere la pace ha tutto l'interesse a continuare la guerra ecc. In una società che ha imparato fin nei suoi più bassi livelli (i bambini che alle elementari sono stati addestrati a fare i bei temini "sulla pace" e a cui ora le maestrine dicono che Milosevic è il mostro e che noi uccidiamo "per quei poveri bambini profughi del Kossovo") la militarizzazione della propaganda, chi parla contro la guerra è "amico di Milosevic". Nella Germania nazista chi difendeva un ebreo era un ebreo, negli Stati Uniti del Sud chi difendeva un negro era un negro e veniva linciato ecc. Chi è contro la guerra lo è perché non ha alcun interesse o tornaconto personale perché ci sia la guerra. Non si è commercianti in armi o in rifornimenti per le truppe, non si produce armi o generi per il mantenimento di truppe, non si è pagati da nessun ente o istituto militare o governativo ecc. Inutile dire quanti pochi siano quelli che non sono contro la guerra.

Questa guerra ha intanto già fatto alcune vittime illustri: l'Europa "unita", l'Onu, e la stessa Costituzione italiana. Da oggi in avanti siamo senza tutele generali, quelle "carte" dei diritti che per alcuni erano solo testimonianza dei buoni proponimenti non applicati della borghesia al potere. In un regime di guerra, le uniche riforme possibili sono riforme militari e militarizzanti. Il giro di vite che si profila è una decisa sterzata verso quella che una volta si definiva "destra", una nazistificazione della società o, se si vuole, una natizzazione dei rapporti umani e sociali. Proprio un bel regalo ci siamo fatti come "pesce d'aprile". Per chi si occupa di informazione, una guerra significa soprattutto trovarsi "in prima linea". Sul campo sono i giornalisti, in gran parte pagati dai grandi organi di stampa e televisivi e dunque tenuti al rispetto nei confronti dei propri padroni. All'interno, a parte gli organi di diffusione di massa, le riviste e le testate che fanno informazione ma anche riflessione e analisi.

In questo momento noi ci sentiamo in piena sintonia con alcune testate mentre riteniamo altre testate quali portavoci di una propaganda inutile e falsificante. "Il manifesto", "Limes", "Internazionale", "Avvenimenti" settimanale, in questo momento giocano un ruolo nevralgico: per noi, per ciò che siamo, per la pace e la libertà che vogliamo - di uomini vivi e "pensanti" e non di cadaveri. Il nostro ruolo rispetto a ciò che sta avvenendo non può che essere quello di "filtro" e cassa di risonanza per le informazioni e le analisi che riteniamo "vere", cercando di contribuire nel nostro piccolo alla lotta contro l'inquinamento dell'informazione che la propaganda bellica e quella dei suoi servi sta mettendo in campo.


Diamo alcuni riferimenti e indirizzi per chi è interessato a collegarsi per fare fronte comune contro la guerra:

Girodivite mensile / ass. cult. Open House, 1999 Fax 095 945251 - Tel. 095 431890 - Via Regina Margherita 38 (Lentini, SR). La rivista Girodivite e l'associazione culturale Open House stanno cercando di attivarsi per tenere in sede una rassegna stampa il più possibile aggiornata su questa guerra. Open House: via Regina Margherita 38, Lentini - fax 095 945251, e-mail: girodivite@freeweb.org

Per gli amici internauti, ricordiamo il sito de "il Manifesto" (www.mir.it) oltre al nostro sito (www.ser-tel.it/girodivite/default.htm).

La rivista di storia di genere/storia delle donne Sherazade sta diffondendo un appello firmato dagli insegnanti in corso di formazione a Bacoli. Per visionare l'appello vedi il sito: http://Sherazade.freeweb.org

Informazioni potete avere anche presso: Arci Catania, tel. 095 7152270

Per quanto riguardo reali aiuti "umanitari" al di fuori della sospetta catena "Arcobaleno", ricordiamo l'indirizzo di una delle poche organizzazioni non governative che finora, sola, si è mossa sul serio per il Kossovo: Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS): c/o Cinzia Ballarin, tel. 010 2468099.


Released: September, 1999


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******July, 2000
 
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