La mafia secondo Sgalambro

di Manlio Sgalambro

Ho un'idea di mafia che la prego di non dire a nessuno. Un tempo dicevo di occuparmi solo di mafia metafisica, e intendevo i limiti del mondo: Dio, la Morte, eccetera. Oggi mi inquieta qualcosa dentro, ma per dir così mi interrogo soltanto. Anzitutto una quaestio de methodo. Ambisco tornare a un sano cosismo e mi dico, con quel famoso sociologo, "i fatti sociali sono delle cose". In realtà nella mafia come concetto - lei sa bene che noi in quanto filosofi ci occupiamo di "concetti" - mi pare ci sia quella che si chiama una concretezza mal posta. Si dice "Mafia", un'astrazione come "Male", "Sofferenza", "Delitto", eccetera, e poi la si riduce agli individui che la compongono. Incorrendo così in quello che si chiama un cattivo infinito. In effetti ci si accorge che pur eliminando i "mafiosi" essa è sempre lì. In realtà essa è diventata una possente "astrazione", come ad esempio "Stato", "Polizia", "Giustizia", eccetera. E si può lottare effettivamente sradicando l'astrazione. Ad esempio, l'ateismo elimina Dio, non i preti. Mi spingo a dire che affermare "La mafia non esiste" è più decisivo che sostenere il contrario. Eliminando il concetto di mafia restano solo i mafiosi, cioè degli individui insignificanti e spesso stupidi. Una feccia senza significato che riceve la propria luce proprio da quell'astrazione che si insiste a affermare, ignorando così che l'astrazione non si può distruggere con la polizia, la giustizia e così via, ma con una buona logica. Mentre i mafiosi, questi piccoli insignificanti individui, sì.
Nota: Il brano è tratto dall'intervista al filosofo Manlio Sgalambro, curata da Giuseppe Raciti e apparsa sulla rivista Ideazione (n. 6, a. 4, novembre-dicembre 1997) con il titolo "Fino alla fine del mondo".
Released: August, 1998


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