Documento sul rilancio dell'iniziativa per lo sviluppo in Sicilia

del Gruppo di Caltagirone

Le attuali condizioni economiche e sociali della Sicilia sono il frutto della sua condizione di marginalità che la condanna ad essere nel mercato globale mondiale soprattutto un'area di consumo. Tale condizione dipende anche dalla sua posizione periferica che può tuttavia costituire, se dinamicamente integrata nel contesto euromediterraneo, una risorsa e non un handicap.
Crediamo, infatti, che il riscatto della Sicilia, nonostante tutto, è ancora possibile. Occorre, però, rifare il tessuto della società e costruire una Sicilia "nuova", capace di rendersi autenticamente protagonista del proprio sviluppo in leale competizione con tutte le altre regioni d'Europa. Ciò implica una continua opera di ricostruzione tra le genti siciliane di un atteggiamento sanamente imprenditoriale. Non si tratta soltanto di operare per la diffusione di conoscenze tecnico-economiche che possano tradursi in iniziative imprenditoriali, ma di far sì che nel tempo vengano spazzati via secolari atteggiamenti di rassegnazione e fatalismo. Occorre, in primo luogo, che il popolo siciliano sappia recuperare il coraggio di costruire da sé il proprio futuro, senza attendere dall'alto o dall'esterno la soluzione dei propri problemi. Ma questo non si può realizzare se manca lo sforzo efficace per fare emergere, oggi, aspetti profondi dell'identità culturale siciliana, che possano modellare in maniera originale e specifica istituzioni, organizzazioni socio-economiche e procedure amministrative, diffondendo un rinnovato gusto nell'operare ed una conseguente efficienza anche nella cosa pubblica.
A tale proposito, riteniamo che anche l'autonomia della nostra Regione è una risorsa che può e deve essere ripensata, per volgerla alla realizzazione di questo obiettivo. Per riportare infatti l'autonomia nell'alveo della sua vera funzionalità, è necessario riformare lo stesso modo di concepire la Regione, respingendo la cultura centralistica che ne ha accentuato la distanza sia rispetto al territorio che ai soggetti istituzionali, sociali ed economici che vi operano. Per fare ciò occorre, prima di tutto, modificare la concezione stessa della 'specialità' dello Statuto regionale siciliano, abbandonando la visione di una autonomia 'ingessata' nel busto di una costituzionalità che ha impedito di fatto ogni modifica, per recuperare flessibilità e velocità d'azione, strumenti indispensabili per fronteggiare le nuove e difficili situazioni sociali ed economiche. In questa prospettiva del riassetto dei poteri regionali bisogna puntare decisamente sulla sussidiarietà quale strumento ordinatore e di valorizzazione delle autonomie comunitarie di base. A tal fine necessitano: da un lato, modelli organizzativi contrattuali e finanziari per favorire il trasferimento delle funzioni e quindi la mobilità del personale; dall'altro lato, una radicale riforma del rapporto con le autonomie locali, culturali e sociali arrivando ad istituire una vera e propria Camera delle autonomie. Mentre, infatti, ci si avvia verso una riforma dello Stato nel senso di un accentuato regionalismo, sarebbe in verità assai deludente se tutto ciò dovesse tradursi nella sostituzione del centralismo della Regione al centralismo dello Stato. Occorre dunque che la Regione attui al suo interno una vigorosa politica di redistribuzione delle competenze, ispirata al principio della sussidiarietà, e quindi capace di 'puntare' sugli enti locali per il futuro del popolo siciliano.
Una Regione nuova, dunque. Snella, agile e votata più all'esercizio di poteri di indirizzo e di coordinamento che alla gestione dell'ordinaria amministrazione (intesa quest'ultima come esecuzione della prima affidata al Governo) ma devono interpretarsi prioritariamente come autonome e responsabili attività di governo e di controllo. Sarebbe, tuttavia, illusorio, credere che lo sviluppo endogeno della Sicilia possa realizzarsi soltanto attraverso le pur necessarie riforme istituzionali delle quali abbiamo appena segnalato le più urgenti. Occorre anche avviare iniziative concrete di rilancio del tessuto economico e produttivo dell'isola. Ciò si ottiene da subito istituendo immediatamente un nuovo rapporto con le istituzioni dell'Unione Europea. Non è possibile oggi, infatti, concepire un qualsiasi progetto di sviluppo regionale se non nell'ambito delle compatibilità e delle opportunità predisposte dall'Unione Europea, che, nel quadro dell'Europa delle Regioni e dei popoli, diventa l'autentico interlocutore della progettualità delle comunità locali. Al riguardo l'obiettivo è quello di mantenere la strategia del progetto in ambito regionale anche se è necessario che da fuori vengano competenze tecniche e soprattutto finanziamenti.
Occorre poi, anche con procedure straordinarie, attuare i progetti immediatamente cantierabili riguardanti le grandi infrastrutture produttive, fornendo un apporto pubblico di risorse finanziarie che renda concorrenziale il sistema creditizio locale, agevolando in tutti i modi possibili l'utilizzo dei fattori della produzione da parte delle imprese locali. A tal proposito, fermo restando che le grandi scelte strategiche sono di competenza delle assemblee democraticamente elette e che gli esecutivi devono operare scelte delle quali si assumono le responsabilità, la realizzazione delle grandi opere sarà possibile solo se le procedure verranno accelerate. Un commissario straordinario, o una commissione di managers, ovvero una primaria società internazionale di auditing potrebbe occuparsi sia della valutazione iniziale dei progetti, sia della valutazione in itinere della loro attuazione, in modo da dare alla procedura quella trasparenza che è indispensabile condizione per il reperimento anche sui mercati internazionali di risorse per lo sviluppo della Sicilia.
Si tratta, insomma, di lanciare un nuovo modello di sviluppo della regione, proprio a partire dalla condizione di marginalità cui l'evoluzione storica sembra averla condannata. Il fatto di essere in posizione di perifericità rispetto alle grandi correnti dei flussi finanziari che attraversano il mercato globale, non impedisce tuttavia di svolgere, quando se ne abbia piena consapevolezza, un ruolo significativo nell'area del Mediterraneo, un ruolo al quale la nostra collocazione geografica ci candida per vocazione ineludibile. Bisogna evitare che alla perificità geografica ed economica si accompagni anche la marginalità culturale, ossia l'accettazione rassegnata di questa condizione di emarginazione. Dunque occorre far ricorso alla creatività, mobilitando tutti gli strumenti che possono apparire utili: cercare forme non punitive di riduzione del costo del lavoro, predisporre agevolazioni che possano attrarre gli insediamenti produttivi, affinare le conoscenze e le abilità nell'uso delle moderne tecniche finanziarie e telematiche. Quello che serve alla Sicilia e ai siciliani è uno sviluppo 'compatibile' con la globalizzazione, ma tale da non esserne appiattiti o stravolti. La regionalità e una nuova concezione del 'mercato mediterraneo' devono essere organizzati in un gioco nuovo che guidi, secondo i nostri interessi e rispettando la nostra identità, le dinamiche generate nel 'villaggio globale'. Soltanto così, coniugando realismo e fantasia, sarà possibile un vero rilancio dell'economia siciliana, costruendo un futuro migliore per noi e per le nuove generazioni.
Catania, 14 luglio 1997.
Released: August, 1998


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