Andare al pub e la folla segni di crescita civile?

di Luigi Grasso

Dobbiamo guardarci dall'essere antiquati ma, da questo a giungere alla conclusione che ogni modernismo è una crescita, ci corre. Per esempio, non è "crescita civile" ogni purchessia "aggregazione" di persone, in piazza o dove che sia. Si può essere perplessi anche circa certe tradizionali manifestazioni religiose, artificiosamente dilatate, magari per inconfessati fini economici e di prestigio; delle quali pure c'è chi auspica la "valorizzazione turistica"! Non progressista è l'idea di nuovi "palii", di nuove "cavalcate storiche", da introdurre nelle nostre città, aggiungendosi alla tradizione, magari per "vitalizzare" l'economia. E che dire degli eccessi ricreativi nei centri antichi; di certe enormi paninerie o altri sgargianti ma sciatti locali, che so, ai piedi dell'abside della Basilica di S. Domenico Maggiore, a Napoli (nel cuore di Spaccanapoli) o nel basamento di un nobile palazzo catanese?
Proprio il centro antico di Napoli sta diventando ahimè, un esempio - troppo spesso acriticamente e demagogicamente esaltato - di un eccesso di folla, e di locali e di boutiques banali e banalizzanti: a danno di una atmosfera autentica, e di belle attività popolari e artigiane e di modeste librerie - "San Biagio dei Librai" è il nome del cuore della via di Spaccanapoli -, che non possono permettersi il rialzo dei canoni locativi e vengono estromesse. (Nella napoletana piazza Bellini, dove, per inciso, sorge uno dei più graziosi monumenti del musicista, l'unico artigiano vecchio stampo che vi è rimasto, rilegatore, per fortuna abbastanza giovane, assicura che non sloggerà).
Alcune tendenze nuove, per rimanere positive, vanno regolate, indirizzate. I "branchi" di persone che la notte nella città si muovono e ondeggiano fra un pub e l'altro non sono di per sé "crescita civile": checché ne dicano gli ottimisti, i demagoghi e gli interessati a questo campo di affari. E' un deplorevole passatista chi pensa che la domenica è bene che il commercio faccia festa, anche "sotto le feste"? Ma no! Si sia o non fedeli al precetto biblico, il principio di un giorno, e magari più di un giorno, sottratto al travaglioso e consumistico tran-tran di tutti i giorni, è profondamente moderno, anzi avveniristico.
Anche per gli spettacoli culturali (musicali, teatrali, tradizionali, innovatori: di ogni fatta) bisogna andarci piano; evitando il sovraffollamento, l'inflazione, le sovrapposizioni, il rito, le mode.
Anche in questo settore (non solo i supermercati) gli interessi economici possono prendere la mano e divenire opprimenti.
Come comunità siamo diventati ricchi e possiamo prenderci certi lussi (anche quelli di convegni, e similari intrattenimenti, a gogò); ma il soggetto pubblico, che è poi, in gran parte, quello che paga, a nostro pro e in nostra vece, questi lussi, avrebbe molte volte ben altri e prioritari bisogni da curare. Per di più, un eccesso di performances, anche di buon livello, può essere culturalmente dannoso, non solo ingenerando saturazione ma illudendosi che la cultura sia soprattutto esteriorità, folla, socialità, mondanità. Mentre è invece, larghissimamente e essenzialmente, solitudine, pensiero, riflessione, silenzio; coraggio del silenzio. "Pitagora esigeva quattro anni di silenzio dai suoi discepoli", ricorda Hegel.
Per il poeta catanese Antonio Corsaro "il silenzio è un sole che non muore". E, quanto a un certo attualistico agitarsi e rumoreggiare nella stessa Chiesa, il cattolico e scrittore Messori propone: la Chiesa dovrebbe proclamare "almeno tre anni sabbatici durante i quali tutti riscoprano le virtù salutari del silenzio, del digiuno delle parole - dette e scritte - negli infiniti documenti, incontri, convegni".
Nota: L'articolo "Andare al pub e la folla segni di crescita civile?" di Luigi Grasso, è stato pubblicato dal quotidiano "La Sicilia" il 10 febbraio 1997.
Released: September, 1998


© Giro di Vite, 1994-1998 - E-mail: girovite@ser-tel.it