Catania che cambia

di Riccardo Bruno

Per capire come sta cambiando Catania basta passare per piazza Università o dalle parti del teatro Massimo Bellini alle otto di sera. La città inizia a riempirsi di tavolini, prima dieci, poi cento, infine un tappeto che copre ogni strada. E' la rivoluzione di questi ultimi anni, il segno più tangibile del mutamento: i giovani catanesi che si riappropriano dei loro spazi, delle loro vie, delle loro piazze. Sei anni fa è stato il Nievskij il primo locale ad essere aperto, nella salitella che porta dentro la barocca via Crociferi. Pub di sinistra, all'inizio, luogo d'incontro prima ancora che birreria e trattoria. Poi, pian piano, tutt'attorno di locali ne sono spuntati molti altri, anno dopo anno ogni vecchia bottega disponibile è stata ridipinta e si è trasformata in un ritrovo. Adesso non si contano più, sono tutti uguali, birrerie e trattorie in fotocopia. Catania, ancora una volta, non si sottrae alla legge dei suoi cromosomi: città levantina, che fiuta subito l'odore del denaro, che dovunque annusa il commercio, il lampo di un affare. Non esistono più locali di sinistra o di destra, l'ideologia si è rarefatta dentro gli hamburger. I ragazzi di Catania hanno, invece, inventato una sorta di 'struscio della birra': alle dieci ci vediamo al Nievskij, alle undici andiamo alla Cartiera, e dopo mezzanotte un salto al Picasso, che, a rigor di etichette, è un pub di destra.
Eppure quei tavolini che hanno invaso la città, sono la vera rivoluzione di questi ultimi cinque anni. Effimera, mercantile, ma pur sempre rivoluzione: ci s'incontra la sera, nascono nuove idee, covano nuovi fermenti, crescono nuovi progetti. Ricchezza potenziale, che stenta a trovare spazi, vie di fuga. La novità è che adesso c'è un'amministrazione che cerca di fare da sponda istituzionale. Il sindaco Enzo Bianco, giunta progressista, l'anno scorso ha provato l'esperienza dei Caffè Concerto, piazze che d'estate si trasformano in palcoscenici. Troppi alla fine, ma Catania non conosce mezze misure.
Prendiamo ad esempio la musica: negli ultimi dieci anni sono nati decine di gruppi, si suona un po' di tutto, dal rock al par, dal doo woop alla musica popolare. Fenomeno sorprendente, non solo nel panorama italiano, tanto da far guadagnare alla città il titolo di "Seattle europea". Ci sono per esempio i Flor (hanno suonato con i Rel, i Nirvana, i Deep Purple), gli Uzeda, i Kunsertu, i Lautari, Kaballà, Quartered Shadows... Cantano in inglese, in italiano e sempre più spesso in siciliano: "L'uso del dialetto è solo un modo per comunicare la nostra passione - dice Marcello Cunsolo, chitarra e voce dei Flor -. La nostra musica è uno strumento per esprimere le nostre origini di uomini del sud". Alla voglia di suonare l'amministrazione comunale ha risposto mettendo a disposizione una sala dove incidere e provare, la Casa del rock, sorta a Librino, quartiere simbolo della periferia. E ha affidato a Franco Battiato e al filosofo Manlio Sgalambro l'organizzazione dell'Estate catanese: concerti, incontri, dibattiti: piccoli passi per scuotere dal torpore la città. Ma di strada da fare ce n'è ancora tanta, gli spazi per fare musica sono ancora troppo pochi, le sale di registrazione e di prova insufficienti, e spesso i progetti rimangono tali.
Dalla città giungono segnali contrastanti, così come dal Palazzo comunale: l'assessore alla Cultura, ad esempio, ricevuta la delega alle Politiche giovanili, dopo un anno di incontri e discussioni alla fine ha preso l'unica decisione di trasferire la delega all'assessore alla Pubblica Istruzione. Ma qualcosa si muove, e la voglia di fare, il bisogno di comunicare spesso si esprimono attraverso la nascita di un giornale. Come Imminews, un foglio formato tabloid fatto da e per gli immigrati. "Stiamo cercando di creare uno spazio autogestito - dice Rida di Casablanca, da cinque anni in Italia, da quattro a Catania - dove possiamo esprimerci, proporre, denunciare. Potersi creare uno spazio come questo vuol dire avere la possibilità di valorizzare, con rispetto e non nel solito modo folkloristico, le proprie radici, la propria cultura, la propria storia". Nell'ultimo numero di Imminews c'è un'inchiesta sui fenomeni del razzismo nel Ragusano, e il lancio di quello che viene chiamato "immiprogetto". "La scommessa - spiega Rida - è quella di creare una rete di testate autogestite da immigrati in tutto il territorio italiano. Per contrastare le discriminazioni razziali, per un'informazione che valorizzi gli immigrati non solo come lavoratori ma anche come portatori di cultura, di una coscienza politica". Stessi obiettivi di un gruppo di giovani senegalesi ed etiopi che, all'inizio dell'anno, ha preso in affitto un locale nella centrale via Etnea. L'hanno chiamato African's Teranga (che vuol dire ospitalità), e doveva essere il loro punto di ritrovo. E' durato un paio di mesi, poi sono arrivate le forze dell'ordine e hanno messo i sigilli. In compenso l'assessore alla Cultura, che ha sostituito la delega alle Politiche giovanili con quella agli Immigrati, ha dato vita a una Casa dei popoli, rimasta però ancora sulla carta, e ad una consulta che però gli immigrati gradiscono poco: "Non sappiamo - protestano - chi rappresentano quelli che sono stati chiamati a farne parte. Forse solo semplicemente chi è più ruffiano con gli amministratori".
Il filosofo Sgalambro avverte: "Non c'è una sola Catania. C'è la Catania di mafia, e ce n'è una nuova e disincantata: è un nuovo deperibile, sotto vuoto spinto, forse a termine. E per adesso, vive la sera, nei pub o nei centri sociali". Tante città, che si muovono a velocità diversa. I ragazzi hanno voglia di divertirsi, di spendere per mangiare fuori, eppure il 35 per cento dei disoccupati (che sfiorano i settantamila) sono giovani con meno di 25 anni. Città diverse che convivono fianco a fianco: a trenta metri da piazza Scammacca, cento metri quadrati e cinque locali, c'è l'Auro, centro sociale occupato quattro anni fa. "E' un centro che funziona, che organizza diverse cose - dice Claudio - ma a mandarlo avanti siamo solo in trenta. Soprattutto non c'è la gente dei quartieri, che dovrebbe esserne la linfa. Ma è un problema comune a tutti i centri sociali nel Sud, qui manca il referente principale, magari da noi trovi il figlio del professore, ma non trovi il figlio dell'operaio". In città i centri sociali occupati sono tre: ci sono anche l'Esperia e il Vulkano. L'Auro, che occupa uno splendido palazzo (per anni lasciato in abbandono) a ridosso della Cattedrale, ha avuto l'informale promessa dal Comune di poterci rimanere senza grossi problemi. E intanto cerca di rimanere vivo organizzando un po' di tutto, dalla campagna antiproibizionista a quella per la lotta zapatista, dalle serate ai concerti; l'Esperia ha invece recentemente riunito tutti i graffitari della Sicilia; mentre il Vulkano, il più piccolo e occupato di recente, ha tentato subito di trovare un'integrazione con il quartiere.
Eppure, nonostante trenta metri, rimane distante la Catania dei tavolini da quella dei centri sociali, così come i ragazzi della ricca via Monfalcone da quelli dei quartieri di Librino o di San Giovanni Galermo. Per cercare di abbattere queste barriere, per creare non solo aggregazione ma anche cultura, un gruppo di ragazzi ha dato vita ad Ambito, a metà tra un centro sociale, un'associazione e un semplice punto di ritrovo. "Vogliamo che sia un momento di confronto, per fare musica o per parlare di informatica - spiega Biagio Guerrera, alle spalle esperienze nell'animazione teatrale e video -. Catania ha un grande hinterland, qui vengono gli universitari dalle altre provincie e quello che trovano sono solo forme di aggregazione effimere: tutto finisce con un giro per i locali o per andare all'acchiappo. Quello che manca è proprio un discorso di programmazione". Ambito si trova in un vecchio stabile di viale Africa a due passi dalla stazione ferroviaria; nello stesso palazzo aprirà in autunno anche una saletta cinematografica. Di fronte c'è il Centro fieristico, mega progetto realizzato sulle antiche industrie di raffinazione dello zolfo, costato centinaia di miliardi e inizio della tangentopoli catanese. Prima dell'estate è nato un Comitato che, raccogliendo un'idea lanciata dal mensile I Siciliano, si è posto come obiettivo quello di occupare il Cewntro e farlo diventare quello spazio che manca alla città. "Bisogna fare qualcosa - dice ancora Biagio - uscire dalla logica dell'attesa dei finanziamenti pubblici. Nonostante tutto arrivano ancora oggi a pioggia, come una volta, così le risorse vengono polverizzate e finisci col rimanere nelle mani dei politici. In questo momento a Catania ci sono stimoli nuovi, c'è fermento, non bisogna lasciarsi scappare anche questa occasione".
Nota: Riccardo Bruno ha collaborato a "Segno". L'articolo "Catania che cambia" è stato pubblicato su "La terra vista dalla luna" (n. 7, settembre 1995).
Released: August, 1998


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