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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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Chiapas: Quanti giorni ci serviranno per dimenticare?

di Franco Pantarelli

E' il massacro più grave da quando i ribelli del Chiapas sono sulla scena: 42 morti, dicono le fonti più attendibili, anche se data l'inaccessibilità dei luoghi una 'conta' precisa nessuno è riuscito a farla. teatro di questa ennesima, terribile storia: la cittadina di Polho, in una delle zone del Chiapas, nel Sud del Messico, che l' Ejército zapatista de Liberacìon National ha dichiarato 'autonome' sin dal 1995. A governare 'di fatto' Polho c'è un gruppo politico chiamato "Las Abejas", simpatizzante con i ribelli zapatisti. Ma accanto a quello c'è anche l'amministrazione "ufficiale", composta da membri del Partito rivoluzionario istituzionale, quello al potere in Messico sin dalla Rivoluzione di Pancho Villa e Emiliano Zapata. Le due "autorità" sono ovviamente inconciliabili e infatti la storia di questi ultimi due anni è stata punteggiata da scontri violentissimi in varie località autonome, che secondo alcune fonti hanno lasciato sul terreno 300 vittime e secondo altre fonti addirittura 600. Ma quello avvenuto lunedì non è stato uno di quegli episodi, pure gravissimi. I "governativi", milizie paramilitari, a quanto dicono le fonti, hanno lanciato un attacco in grande stile contro la cittadina di Polho, ammazzando chiunque capitasse loro a tiro. la strage sarebbe stata compiuta mentre la gente assisteva a una cerimonia religiosa. Ci sono racconti di donne e bambini colpiti nella schiena mentre cercavano riparo, e la stessa cosa è accaduta in due villaggi vicini: Acteal e Quextic. "Le vittime sono tantissime, ma nessuno è in grado di dire esattamente quanti sono i morti e quanti i feriti", ha detto Manuel Gomes Pérez, un membro del governo autonomo di Polho raggiunto per telefono da un'agenzia stampa. La stima provvisoria di 42 morti viene dalla Chiesa cattolica, i cui esponenti confessano la propria impotenza di fronte agli eventi. "E' una situazione incomprensibile, in cui non siamo stati capaci di bloccare la violenza", dice Samuel Ruiz, vescovo di San Cristobal, la diocesi da cui in teoria la zona del massacro dipende. Qualche notizia più precisa si potrà probabilmente avere quando i membri della Croce Rossa riusciranno a raggiungere la zona. Per ora, tuttavia, anche loro sono bloccati perché, hanno spiegato, "è troppo pericoloso".
La polizia dello Stato e le truppe federali, presenti a migliaia in tutta la zona, hanno ufficialmente il compito di mantenere l'ordine e di dirimere le questioni che sorgono fra le due "autorità". Quando nel febbraio 1996 zapatisti e governo raggiunsero un accordo - dopo settimane di difficili negoziati a Città del Messico, accompagnati da grandi e spettacolari manifestazioni dei simpatizzanti dei ribelli - quello della "neutralità" delle truppe era uno dei punti principali. Ora che quell'accordo è stato denunciato dagli zapatisti da almeno un anno, con l'accusa al governo di essersi rimangiato tutte le promesse, il fatto che gli uomini in divisa non debbano schierarsi è l'unico punto che rimane in piedi.
Ma solo in teoria. Le associazioni per la difesa dei diritti umani denunciano continuamente che poliziotti e soldati sono sempre dalla parte dei "governativi" ed anzi si adoperano per facilitare le loro spedizioni punitive. Quella di lunedì a Polho, Acteal e Quextic, sembra di capire, è stata per l'appunto una di quelle spedizioni, e da quando dicono gli zapatisti fa parte di un "piano" elaborato quando l'accordo del '96 è stato denunciato e che ha cominciato ad essere applicato almeno sette mesi fa. Quel piano, spiegano gli zapatisti, è molto semplice: si tratta di andare di villaggio in viallaggio, approfittando dei momenti in cui i ribelli non sono presenti in forze, e fare terra bruciata. Non si sa quanti morti abbiano fatto finora quelle spedizioni, ma si sa che almeno 7000 persone hanno visto le loro case finire in cenere. Finora, gli appelli che le associazioni umanitarie hanno lanciato a ribelli e governo affinché riprendano a discutere e "rilancino" l'accordo del 1996 non hanno avuto nessun esito.

Nota di GirodiVite

L'articolo di Franco Pantarelli, "Chiapas, messa di sangue per gli indios" è stato pubblicato sul "La stampa" il 24 dicembre 1997, p. 13. Pantarelli scrive il suo servizio da New York, piuttosto lontano da quello che per lui è l' "inaccessibile" Chiapas. Riportiamo l'articolo perché da fonte "non schierata" a favore dei "ribelli" del Chiapas - stiamo parlando di una Stato che fa parte della federazione messicana, abitato da diversi milioni di persone - e che è costretto a barcamenarsi tra le virgolette, misteriosi "fonti" e profusione di condizionali per sbriciolare la realtà in sottintesi. Il nostro titolo vuole essere polemico (qualcuno ne dubitava?): quanti giorni ci basteranno per dimenticare "l'ennesima strage" del Chiapas come di qualsiasi altra parte del Sud del mondo? Quale caratteristica ha la "nostra informazione" rispetto a ciò che succede? Perché parliamo ora del Chiapas, regione che in questo momento attira le attenzioni benevole dell'occhio strabico della "sinistra" e degli "uomini di buona volontà", mentre dimentichiamo tutto il resto del Sud? Insomma, i temi di discussione di questo articolo possono essere molteplici...
Released: March, 1998


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******July, 2000
 
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