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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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Localismo/ Gli altri? Che si arrangino


Ha scritto Pietro Bevilacqua (Sull'utilità della storia) sul "declino dell'avvenire" per l'impossibilità di prefigurarlo e pensarlo: "è il presente ad assumere, nelle nostre società, una dimensione totalizzante, come se questo fosse davvero l'unico dei mondi possibili. Ma la storia mostra che altri mondi sono possibili: che le cose non necessariamente sono andate come dovevano andare; che l'ambito delle possibilità umane si muove in uno spazio predeterminato, non chiuso".
Proprio l'illusione del declino dell'avvenire ha portato molti su posizioni "situazioniste". Bando ai grandi paradigmi, alle grandi ideologie, decidiamo e pensiamo di volta in volta, sulla base dei singoli eventi. A sinistra, a parte elementi di provenienza aristocratica e anarchica, molti situazionisti vedono nel localismo un modo per abbattere controlli e regole provenienti dai poteri centrali. Vedono il positivo che c'è in ciò che si distrugge ma non vedono il negativo in ciò che si sta sostituendo e che si vuole sostituire al suo posto. Con ciò facendosi complici di un localismo feudale, che è esattamente quello contro cui la sinistra si è da sempre battuta. Perché significa privilegi di pochi, discriminazione, sfruttamento e schiavizzazione, quello che negli anni settanta si diceva con eufemismo "diseguaglianza sociale" cioè il fatto che i pochi ricchi per sangue e non per capacità detenevano tutto mentre tutti gli altri che si arrangino.
Vi è, in questi compagni che hanno perso il significato di essere compagni, una facilità di adesione a tutte le nuove parole d'ordine del capitale, che è davvero stupefacente. No alle 35 ore, sì a nuove tasse universitarie, numero chiuso, privatizzazione delle scuole, ospedali privati, ferrovie private, Europa a tutti i costi…
Sta avvenendo quello che ha scritto Marco Revelli nel suo libro-conversazione (Liberismo e libertà : dialoghi su capitalismo globale e crisi sociale, di Marco revelli e Giorgio Cremaschi, a cura di Gabriele Polo, Editori Riuniti 1998. Cfr. Il Manifesto, 25 marzo 1998, p. 27). Mentre il capitalismo fordista e quello keynesiano erano "inclusivi" ora si punta all'esclusione. Il capitalismo oggi non pensa più al produttore come consumatore di ciò che produce: ed è per questo che è possibile riproporre per il Sud italiano la nefasta politica pre-capitalistica delle "gabbie salariali". Lo vediamo nei consumi: si propongono continue varianti sempre più sofisticate dello stesso prodotto. Revelli fa l'esempio dei compiuter, che aumentano di potenza, e quelli che si deprezzano vanno fuori mercato: non entrano nei mercati marginali, non conquistano nuovi strati sociali: "è come se Ford invece di diminuire il prezzo di vendita del modello T ne avesse aumentato continuamente la velocità, cercando di venderla sempre agli stessi acquirenti". E' un ritorno alla separazione tra produttori e consumatori, come avveniva nell'Ottocento. La formazione di una élite di privilegiati, localizzati in una determinata area del mondo, il cui livello di vita non vuole più essere generalizzabile nella altre aree restanti. La forza-lavoro destinata a produrre ciò che non potrà mai consumare, ma solo vedere casomai attraverso la televisione e le soap-opera. Certamente, quello keynesiano era un capitalismo possibile perché di fronte si poneva le due crisi del primo Novecento, quello di sovrapproduzione (1929, Wall Street) e la rivolta di contadini e proletari (1917, rivoluzione russa) . Dopo il 1989 il capitalismo occidentale crede di poter fare a meno del keynesismo, di poter tornare a funzionare nella sua "normalità" pre-marxiana. Il modernismo di oggi è un ritorno di concetti e metodi di dominio che si credevano appartenere al passato (il localismo feudale, la soppressione dei diritti e l'esclusione delle popolazioni dai servizi…). Possiamo registrare la cosa, da bravi storici e analisti della realtà, oppure preoccuparci specie se crediamo di appartenere a quella borghesia di sinistra che sul keynesismo ha puntato nella speranza di una riforma del sistema di potere e di produzione. Ma collaborare allo sviluppo dei nuovi poteri e dei nuovi potenti, oppure far finta di niente, no.
Released: March, 1998


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******July, 2000
 
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