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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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PER IL RESTAURO DELLA CULTURA TRAGICA IN SICILIA

(parte prima)

Come lettera aperta al Sindaco di Carlentini


Caro Sindaco

con questa nostra vogliamo volgere, a Lei e ai suoi collaboratori, pubblico encomio per la Vostra iniziativa del Teatro Scuola che quest'anno giunge alla seconda edizione, felicemente ospitata nel parco archeologico di Leontinoi.
Ci sono molti motivi che ci inducono a scriverle, alcuni legati immediatamente all'evento, altri di più ampio respiro che ci giungono come echi di memoria da un passato mitico che auspichiamo possa essere ancora il nostro futuro. Innanzitutto è stata una festa, parola la cui etomologia richiama il latino "fanum" che significa tempio, che, a sua volta, richiama il greco "temenos", che significa spazio delimitato dall'augure in cielo e in terra, da dove egli compie le sue osservazioni. Per gli Antichi , quindi, la festa era legata immediatamente alla sfera del sacro e il sacro si spazializzava in un luogo privilegiato laddove cielo e terra, divino e umano, chiudevano la loro quadratura speculare nell'ambiguità del mito che nella festa "ricreava" la comunità , da una parte legandola nel rito agonico, dall'altra, liberandola dai ceppi usurati dell'esistente per fondarla nel tempo originario dell'azione sacra come manifestazione del dio.


Tutto questo diciamo, non per esibire la nostra cultura classica, ma per esprimere un impellente bisogno culturale che in questa rassegna di opere classiche ha trovato un primo momento di soddisfazione e di luce, questa rassegna ha rinnovato e "radicalizzato" una dimensione antropologica che oramai stentiamo a percepire, la dimensione del "culto locale" come festa della mente locale e del suo abitare sotto il cielo sopra la terra.
Questa dimensione del "piccolo è bello" speriamo non vada perduta a favore della commercializzazione spettacolare, così come sempre più accade per la rassegna maggiore di Siracusa, che è caduta sotto il controllo mediale dell'imperio del TELECOMANDO, l'imperio dell'astrazione e dell'estranietà di noi a noi stessi che non riusciamo più , nella dilacerazione modernista del nostro mantello spirituale, a trovare un brano di cielo culturale che copra la nostra fame verticale e centrale di identità e di appropriazione di ciò che ci è proprio, del nostro prodotto tipico, aggettivo che etimologicamente deriva dal greco "typos" che significa "impronta", cioè del prodotto dove il nostro genio culturale possa rintracciare la pista dei segni che portano all'intelligenza della fonte originaria.
Ma non vi può essere "typos" se allo stesso tempo non c'è "topos", cioè luogo, ciò è proprio della cultura orale e della sua mente dialogica, dove il cielo delle Idee, attraverso l'abitare umano, lascia le proprie tracce sul luogo costruendo quella complessità semantica che è il paesaggio, nel suo doppio aspetto di natura e cultura.
Uno dei meriti di questa rassegna è stato proprio quello di aver "resuscitato" dall'oblio la "città morta", l'antica città degli Antenati, nella prospettiva che, sempre più , questa rassegna possa diventare momento significativo e continuativo della forte e commovente tradizione siciliana del culto dei Trapassati, che dalle comunità locali venivano percepiti come momento di unione e comunione fra profondità e altezza nell'orizzonte del vivere e morire umano, che proprio questo etimologicamente significa resuscitare, parola composta dal "re" della ripetizione rituale e poi da "subs", "dal basso in alto", e "citare", "mettere in movimento", parola che perciò definisce un movimento verticale che attraverso la condotta culturale porta alla luce l'oscura profondità della radice che, così , attraverso il culto, si traduce in fiore e frutto, raccolto, pasto e metabolismo memorante della voce arcaica che fecondava la parola poetante del canto supplice.
Così frequentando questi spettacoli ci è sembrato di aver gustato l'antico sapore orale di quel tipico biscotto secco che noi chiamimo "le ossa dei morti", ultimo retaggio reificato di un archetipico pasto sacrificale che, come vedremo, ha più di un nesso con la dimensione del tragico, pasto che prima non faceva schifo a nessuno perchè dolce come il miele che lo sostanziava e che richiama il secreto delle api come animali dei morti.
Ma attenzione Sindaco, nella nostra tradizione i morti, contenti del culto a loro risevato, lasciavano in dono le armi ai giovani per combattere la battaglia onorata della difesa dei luoghi di culto. La cultura moderna, che è nata proprio per combattere illuministicamente il culto ombroso dei morti, ha disarmato la nostra antica tradizione decapitando la nostra gioventù di ogni battaglia ideale, così , imbelle, consegnandola alla catastrofe mercantile del consumo mondialista che deprime la "mente locale". Di quelle armi abbiamo ancora bisogno per combattere e resistere alla tentazione moderna di vendere e svendere il culto dei Trapassati, e la loro arcaica virtù , al mercato globale dei Turisti, vero e proprio esercito barbarico e vandalico dell'estraniazione moderna, esercito di cavallette informatizzate che là dove passano lasciano solo il rifiuto della Tradizione e il vuoto a perdere di un vivere e morire empio che già abbondantemente devasta le nostre comunità , desertificandone l'intelligenza originaria.
La disoccupazione giovanile, prima di essere un fenomeno sociologico, è il portato culturale di una mancata attività , poichè noi non siamo più occupati nella difesa e valorizzazione di ciò che ci è proprio, della nostra proprietà fisica e metafisica. Tutti lamentiamo che la gioventù ha perso i "valori", ma il verbo latino "valere", che significa esser valido, esprime, nella propria interiorità semantica, il significato dell'esser valido come essere sovrano, la perdita dei valori coincide, quindi, con la perdita della sovranità dell'antico regno della nostra insularità culturale, per diventare colonia malata dell'impero parabolico del TELECOMANDO. Di tutto ciò si sostanzia la tragica colpa della nostra contemporaneità , abbiamo dimenticato e disprezzato il culto dei morti per sradicarci dall'uso rituale e renderci, perciò , merce mobile e venale del grande mercato dell'astrazione, ne siamo rimasti puniti, il trancio culturale della radice ci ha reso invalidi. Perciò non sappiamo e non possiamo fare più niente e siamo in attesa della pensione come giusto prezzo moderno della nostra pena e della nostra colpa di aver dimenticato il culto dei Penati, parola che deriva dal latino "penus", che significa "parte interna della casa", ma che ha anche il senso di "provvista", da cui proviene il significato derivato del "custodire le provviste". L'arcaico culto dei morti proprio questo insegnava, per prima ai giovani, a farsi custodi delle proprie provviste culturali, cioè della Tradizione, che venivano conservate nella interiorità della dimora, laddove, nel sonno dei vivi, vegliavano i Penati, felicemente collocati attorno al focolare domestico, dove si cuoceva e trasformava il frutto del crudo lavoro in pasto e metabolismo culturale che rendeva validi e perciò sovrani.
Poi, contenti del culto, i morti venivano in sogno e davano le visioni, che erano strumento arcaico e privilegiato del sapere antico, coerentemente al tema semantico fondamentale della radice "weid", che definisce il "vedere" come mezzo di conoscenza, per cui il significato di "io vedo e quindi so". Vedere, sapere e potere erano quindi attività semanticamente ed esistenzialmente affini perchè tutte imperniate attorno alla centralità domestica del culto dei Trapassati. Perso questo culto noi siamo ciechi, ignoranti e impotenti, non abbiamo più provviste perchè non abbiamo più sogni culturali, i morti non vengono più a visitarci e senza visioni siamo disorientati naviganti nel grande e oscuro mare dell'assenza nichilista che caratterizza questo nostro tragico presente. Dobbiamo essere tutti consapevoli di questa antica verità , senza visioni moriremo di fame, anche se qualche progressista, positivista e ottimista, ci vuol convincere che i tempi sono cambiati e che la perdita non è grave, niente paura, l'ecologia delle sacre visioni può essere sostituita dalla tecnoiconologia delle televisioni, l'importante è che siano tante, così nascondendo dietro la falsa voce del pluralismo democratico la reale dittatura mondiale del TELECOMANDO.
Sindaco, Lei è espressione della sovranità della polis, ma un popolo è sovrano solo quando è padrone della propria fonte immaginale, si faccia perciò sindaco della città morta, non per elezione politica ma per elezione poetica, investa culturalmente nello scavo della radice, il popolo che non c'è ne ha un grande bisogno, noi desideriamo ardentemente di venire alla luce, di rinascere nel luogo e così far rinascere il luogo, perchè solo la riabilitazione dei luoghi di culto può riabilitare il culto dei luoghi, per tornare ad illuminare l'intelligenza della mente locale e spazzare via l'impurità empia del nostro vuoto culturale che, così stando le cose, è determinato a perdersi nella grande discarica abusiva dell'oblio. Che proprio quella dimenticanza dell'uso civico e civile del nostro tradizionale abitare la città dei morti ha fatto fiorire le spine dell'abusivismo morale che ha devastato la città dei vivi e che Lei ha ereditato come patrimonio dolente e insolente della follia moderna dello sviluppo sottosviluppato, perchè non c'è reale sviluppo se non siamo capaci di custodire l'antico viluppo che ci legava nella comunione del nostro secreto culturale, di cui poi il teatro tragico era urna ed arca. Questa rassegna del teatro classico antico, da Lei e dai suoi collaboratori voluta e patrocinata, ha riacceso in noi una speranza perchè ci ha permesso di ricordare, cioè di rivisitare e perciò di vedere, siamo tornati a casa con qualche benefica provvista e una grande agitazione nel cuore, è stato bello, belli gli ulivi rugosi dell'antica pazienza che sovrastavano la scena nel gesto aperto dell'accoglienza, bello il ventre materno della valle che ospitava nelle pieghe della terra le doglie tragiche della rinascita, belli gli applausi della riconoscenza e del riconoscimento, commovente il lampo di luce che, sul far della sera, illuminava lo sguardo dei giovani attori che, mentre erano guardati, sicuramente vedevano, facendo vibrare le antiche pietre perchè avevano svegliato dal sonno del testo il Genius Loci, di cui tutti, poi, hanno sentito l'incanto, quell'incanto che, finito lo spettacolo, non ci permetteva di andare subito via per attardarci nei luoghi dell'evento e che ci faceva pensare "fratelli, fratelli, siamo tornati!".

Enrico Sesto


Released: 1997


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******July, 2000
 
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