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Quando Berlusconi era DC: Vita di giornalista, di Bocca

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Vita di giornalista / Giorgio Bocca ; a cura di Walter Tobagi. - Roma-Bari : Gius. Laterza & Figli, 1979. - 162 p., br. - (I Giornalibri ; ig/3).

"... Finché non ci sarà una legislazione precisa sulle tv e sulle radio private è inutile fare degli investimenti. Eppure gente pronta a spendere dei miliardi se ne trova. Per esempio il Berlusconi, il grande costruttore edile di Milano, ne ha messa su una di lusso con un'attrezzatura incredibile, a completa disposizione della DC, convinto che il partito lo avrebbe candidato alle elezioni europee. Quando ha capito che la candidatura svaniva ha passato la mano" (p. 123).

E' quanto si trova inaspettatamente - per un lettore italiano dei primi anni 2000 - scritto nella "Vita di giornalista" di Giorgio Bocca. Giorgio Bocca, nato a Cuneo nel 1920, è stato giornalista di punta in Italia. Nel 1979 - sono ancora gli anni del terrorismo, esce questa sua intervista/biografia. L'interesse per questo libro è molteplice. A firmare l'intervista è il giornalista Walter Tobagi, che sarà di lì a poco, nel maggio 1980, assassinato da una delle schegge delle Br (la sigla sta per "brigate rosse", il 1980 è anche l'anno di Ustica, della stazione di Bologna, dell'uccisione di Bachelet).

Bocca ha partecipato alla evoluzione del giornalismo italiano, dal primo dopoguerra (la cronaca, i giornalisti della guerra fredda e cresciuti nell'italietta del fascismo), al boom degli anni Sessanta, alle inchieste sociali, fino al giornalismo che negli anni Settanta conosce il terrorismo e le rivendicazioni sociali, la crisi economica. Da quel processo di ristrutturazione emergerà la società della comunicazione degli anni Ottanta che proprio sulla televisione - la televisione privata di Berlusconi - baserà il suo nuovo potere.

"l'obiettività [...] non consiste nel giudizio sulle fonti, ma nel sapere, nell'appurare che si tratta di notizie vere" (p. 79).

"La mia libertà, la mia autonomia consistono in questo: nessun partito italiano, nessun centro di potere può offrirmi qualcosa di meglio di quanto mi dia la professione giornalistica e di scrittore; nessuno perciò è in grado di ricattarmi" (p. 111).

"Se un giornalista vuole durare, vuole restare agganciato all'attualità, deve sapere cosa capita fra i giovani che sono i lettori di domani; chi perde questo contatto viene espulso" (p. 137).

Sui sessantottini: "erano veramente convinti che si fosse alla vigilia della rivoluzione. Che cosa glielo facesse credere possibile non si sa. Eppure quella generazione si è sentita delusa, frodata dalla mancata rivoluzione. C'erano fra quei giovani dei cervelli di prim'ordine, ma come in stato di abbrezza. Non li ho mai sentiti fare un'analisi seria della situazione inetrnazionale, della civiltà industriale, di che significa in essa realmente conflitto di classe e rivoluzione; non li ho mai sentiti occuparsi delle risorse del mondo, paragonare la nostra condizione a quella del mondo, rendersi conto che siamo per la prima volta fra i ricchi della terra. Niente. Sognavano la rivoluzione come un grande fastoso happening" (p. 84).

Quello che ne emerge è il ritratto di un giornalista spigoloso, che non ha nessuna indulgenza verso se stesso. E' il tratto etico di questo libro.

(Scheda a cura di sandro letta, 21 aprile 2002)

 
 
 

 

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