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L'immortalità...

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L'immortalità / Milan Kundera ; traduzione di Alessandra Mura. - Milano: RL Libri, 1999 ; su licenza Adelphi, 1990. - 372 p., br. ; 17,8 cm. - (Superpocket). - ISBN 88-462-0085-3. - Tit.orig.: Nesmrtelnost. - [Up]
Kundera è scrittore delicato, capace di notazioni psicologiche precise e intelligenti. "L'immortalità" non è forse tra i suoi migliori racconti, la divagazione rischia di avere la preminenza e così certe intromissioni biografiche, personali -. Tra io narrante (Kundera) e il personaggio di Avenarius si stabilisce un gioco di specchi in cui Avenarius diviene il "doppio" di Kundera. Vi si dice a un certo punto: "L'insostenibile leggerezza dell'essere" aveva il titolo sbagliato, era questo invece il romanzo che avrebbe dovuto avere quel titolo. Kundera sbaglia. Non c'è "leggerezza" in questo romanzo, se non una pertinace malinconia, effetto dell'insostenibilità del gioco. E' il personaggio di Avenarius che, alla fine delle illusioni e delle ideologie, può solo mettersi a giocare con se stesso, come un bambino cui manca un fratellino, e Kundera con Goethe e la sua non-storia con Bettina Brentano. E' un romanzo delicato, specie quando si annotano le figure di donne - forse un'unica figura di donna, dai molti nomi e dalle diverse facce, tutte a convergere nella dissipazione dell'immortalità...


Le citazioni dal libro

"Con una certa parte del nostro essere viviamo tutti fuori dal tempo. Forse è solo in momenti eccezionali che ci rendiamo conto dei nostri anni, mentre per la maggior parte del tempo siamo dei senza-età" (L'immortalità / Milan Kundera, p. 14).

"Si disse: quando un giorno l'assalto della bruttezza fosse diventato del tutto insostenibile, si sarebbe comprata dal fioraio una violetta, una sola violetta, quello stelo delicato col suo minuscolo fiorellino, sarebbe uscita in strada tenendolo davanti al viso l'avrebbe fissato spasmodicamente, per vedere solo quello, per vederlo come fosse l'ultima cosa che voleva conservare, per se stessa e per i suoi occhi, di un mondo che aveva ormai smesso di amare. Sarebbe andata così per le strade di Parigi, la gente presto avrebbe cominciata a conoscerla, i bambini l'avrebbero ricorsa, derisa, le avrebbero tirato oggetti addosso e tutta Parigi l'avrebbe chiamata: la pazza con la violetta..." (Kundera, id., p. 33).

"Solitudine: dolce assenza di sguardi. [...] Gli sguardi erano come pesi che la buttavano a terra, oppure come baci che le succhiavano le forze; che le rughe che aveva in volto erano state incise dagli aghi degli sguardi" (Kundera, id., p. 41).

I romantici (fine Settecento, inizio Ottocento), "erano abbagliati dalla morte fin dall'istante in cui aprivano gli occhi alla luce. Novalis non arrivò a trent'anni eppure, anche se così giovane, niente lo ispirò mai come la morte, la maga morte, la morte transustanziata nell'alcool della poesia. Vivevano tutti nella trascendenza, nel superamento di sé, tendevano le mani verso le lontananze, verso la fine della loro vita e più lontano ancora, verso l'immensità del non essere. E come già detto, dove c'è la morte c'è anche l'immortalità, sua compagna" (Kundera, p. 79).

"Mosè non ha incluso fra i dieci comandamenti di Dio 'non mentire'. Non è un caso! Perché chi dice: 'Non mentire', prima ha detto per forza: 'Rispondi', e Dio non ha dato a nessuno il diritto di pretendere dal prossimo una risposta. 'Non mentire', 'rispondi la verità' sono parole che un uomo non dovrebbe mai dire a un altro uomo, finché lo considera un suo pari. Forse soltanto Dio avrebbe il diritto di dirle, ma Dio non ha alcun motivo per farlo, visto che sa tutto e non ha bisogno della nostra risposta" (Kundera, id., p. 125).

"Ai due avversari ora interessa soltanto chi di loro verrà riconosciuto da quella piccola opinione pubblica come colui che possiede la verità, perché essere riconosciuto come colui che non la possiede sarebbe per ognuno di loro la stessa cosa che perdere l'onore. Oppure perdere un pezzo del proprio io" (Kundera, id., p. 138).

"La grande cultura non è altro che la figlia di quella perversione europea che si chiama storia, vale a dire l'ossessione di andare sempre avanti, di considerare il succedersi delle generazioni come una corsa a staffetta, in cui ognuno supera chi lo precede per essere superato da chi lo segue. Senza questa corsa a staffetta chiamata storia, non ci sarebbe l'arte europea e ciò che la caratterizza: il desiderio di originalità, il desiderio di cambiamento" (Kundera, id., p. 138).

"Nell'attimo in cui non ci interessa più come ci vede la persona che amiamo, abbiamo cessato di amarla" (Kundera, id., p. 145). Kundera fa questa notazione "intima" dopo aver parlato del ruolo degli "imagologi", i livellatori di immagine che dominano la società moderna.

"L'ho sentimentalis non può essere definito come un uomo che ha sentimenti (poiché tutti li abbiamo), ma come un uomo che ha innalzato i sentimenti a valori. Nell'istante in cui il sentimento viene considerato un valore, tutti vogliono averlo; e poiché tutti amiamo vantarci dei nostri valori, abbiamo la tendenza a ostentare i nostri sentimenti. la trasformazione del sentimento in valore si verificò in Europa nel dodicesimo secolo: i trovatori [...]" (Kundera, id., p. 214).

"Strada: striscia di terra che si percorre a piedi. Diversa dalla strada è la strada asfaltata, che si distingue non solo perché la si percorre con la macchina, ma in quanto è una semplice linea che unisce un punto a un altro. La strada asfaltata non ha senso in se stessa; hanno senso solo i due punti che essa unisce. La strada è una lode allo spazio. Ogni tratto di strada ha senso in se stesso e ci invita alla sosta. La strada asfaltata è una trionfale svalutazione dello spazio, che per suo merito oggi non è che un semplice ostacolo al movimento dell'uomo e una perdita di tempo. Prima ancora di scomparire dal paesaggio, le strade sono scomparse dall'animo umano: l'uomo ha smesso di desiderare di camminare con le proprie gambe e di gioire per questo. Anche la propria vita ormai non la vede più come una strada, bensì come una strada sfaltata: come una linea che conduce da un punto a un altro, dal grado di capitano al grado di generale, dal ruolo di moglie al ruolo di vedova. Il tempo della vita è diventato per lui un semplice ostacolo che è necessario superare a velocità sempre maggiori" (Kundera, id., p. 242-243).

"Tutto il mio passato di rivoluzionario è finito in una delusione e oggi per me ha importanza una sola domanda: che cosa resta da fare a uno che ha capito che contro Satania qualsiasi lotta organizzata, efficace e ragionevole è impossibile? Gli restano solo due possibilità: o rassegnarsi e smettere di essere se stesso, oppure continuare a coltivare in sé un bisogno interiore di ribellione e manifestarlo di tanto in tanto. Non per cambiare il mondo [...] ma perché vie è costretto da un intimo imperativo morale" (Kundera, id., p. 247-248), il personaggio di Avenarius.

"Nella profondità di ciascuno di noi è iscritto un Grund che è la causa permanente delle nostre azioni, che è il suolo sul quale cresce il nostro destino. Io cerco di cogliere in ognuno dei miei personaggi il suo Grund" (Kundera, id., p. 256). "In tedesco ragione nel senso di causa si dice Grund, parola che non ha niente a che vedere con la ratio latina e che significa in origine suolo e poi fondamento" (id., p. 256).

"Il fondamento della vergogna non è il nostro sbaglio personale ma l'oltraggio, l'umiliazione che proviamo per essere costretti ad essere ciò che siamo senza averlo scelto, e l'insopportabile sensazione che questa umiliazione sia visibile da ogni parte" (Kundera, id., p. 267).

"Il nostro secolo si rifiuta di riconoscere alla gente il diritto di non essere d'accordo con il mondo e perciò i conventi in cui poteva fuggire un Fabrizio [il protagonista de "La certosa di Parma" di Stendhal] non si trovano più" (Kundera, id., p. 276).

"Quel che nella vita è insostenibile non è essere, ma essere il proprio io" (Kundera, id., p. 277).

"Nessun episodio è condannato a priori a restare per sempre un episodio, poiché ogni avvenimento, anche il più irrilevante, nasconde in sé la possibilità di diventare prima o poi la causa di altri avvenimenti e trasformarsi così in una storia o in un'avventura. Gli episodi sono come le mine. La maggior parte non esplode mai, ma proprio il più modesto un giorno si trasforma in una storia che vi sarà fatale" (Kundera, id., p. 323).

"Se le nostre vite fossero infinite, come le vite degli Dei antichi, il concetto di episodio perderebbe senso, perché nell'infinito ogni avvenimento, anche il più irrilevante, avrebbe la sua conseguenza e si svilupperebbe in una storia" (id., p. 324): trovo molto affascinante questa borgesiana idea. "Se la nostra epoca, contrariamente allo spirito dei grandi pittori, ha fatto del riso la forma privilegiata del volto umano, significa che l'assenza di volontà e di ragione è diventata lo stato ideale dell'uomo. [...] Gli uomini d'oggi hanno innalzato la contrazione del riso a immagine ideale, dietro la quale hanno deciso di nascondersi" (Kundera, id., p. 343).

"Dissi: 'Tu giochi con il mondo come un bambino malinconico che non ha fratellini'. Sì, questa è la metafora per Avenarius! E' da quando lo conosco che la cerco! Finalmente! Avenarius sorrideva come un bambino malinconico. Poi disse: 'Fratellini non ne ho, ma ho te' ". (Kundera, p. 365).


Ritrovamento: (Dove) Bancarella libri metà prezzo, piazza Trento (Catania). (Quando) maggio 1999. (In che condizioni era) Ottime. (Che fine ha fatto) La copia individuata è stata acquistata per 3 mila lire. - [Up]
Scheda a cura di Sergio Failla - Ultimo aggiornamento: 14 settembre 1999

La delicata malinconia della mortalitàL'immortalità / Milan Kundera ; traduzione di Alessandra Mura. - Milano: RL Libri, 1999 ; su licenza Adelphi, 1990. - 372 p., br. ; 17,8 cm. - (Superpocket). - ISBN 88-462-0085-3. - Tit.orig.: Nesmrtelnost. Bancarella 2
 
 
 

 

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