Russia, racconti dal sottosuolo

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Russia, racconti dal sottosuolo

Lo pseudonimo Dmitri Bakin nasconde un camionista. Le sue storie sono un caso letterario europeo, di Alessandra Iadicicco (Il Giornale - 7 febbraio 2002)

Chiunque ci sarebbe cascato. Tanto più che la scena, avvolta in un silenzio solenne, illuminata da uno straniante raggio lunare, prometteva la realizzazione di un sogno.

«Lei si spogliò lentamente e lui vide il corpo giovane ed elastico. Non è lei. È lei. Lei si sdraiò. Il suo viso era vivace e infantile, perfino alla luce della luna che rende morti i vivi. Ora dirà: “Vieni da me”. Lei disse “Vieni da me”. Lui si spogliò e si sdraiò. Venne sfiorato da fresche mani di donna. Ora dirà “Non m’importa di tutti gli altri. Io aspettavo solo te. Non andartene mai più”. Lei disse: “Non m’importa di tutti gli altri, io aspettavo solo te, non andartene mai più”. Lo guardava con occhi teneri e indifesi, trattenendo le lacrime. Lui la baciò. Ora chiederà: “Mi ami?” Lei chiese: “Mi ami?”, e lo guardò con occhi imploranti. Lui disse: “Sì, ti amo”. Ora chiederà “Molto?”, Lui disse: “Molto”. Ora chiederà: “E non mi abbandonerai?” Lei chiese: “Non mi abbandonerai, vero? Non mi abbandonerai?” E lo guardò con occhi inondati di lacrime, incarnazione della sincerità di una monaca, dell’innocenza di un feto. Erano tutt’uno con la terra. Tutto. E allora lei si stirò pigramente, si girò verso di lui, con aria beffarda curvò le labbra pallide, screpolate dal vento, e con aria di scherno disse: “Bene”».

Come il protagonista del racconto di Dmitri Bakin, anche il lettore, credulo (volontariamente o involontariamente) per definizione, veleggiava fiducioso verso il lieto fine. Eppure, ultimando la lettura della penultima delle sette narrazioni raccolte in Terra d’origine (ottimamente tradotte da Valerio Piccolo per Minimum fax, 158 pagine, 11,50 euro) si dovrebbe ormai prevedere che il finale non sarà lieto. Il coup de théâtre, sberleffo cinico di un autore che sa manovrare con precisione cronometrica le reazioni del suo destinatario, arriva immancabilmente nelle ultime righe. Sempre sorprendente.

Già gli attacchi però, per ciascuno dei raccontini, suonano fulminanti: «Dalla vita precedente gli era rimasto un ronzio alle orecchie…»; «Per prima cosa bruciò tutti i libri, i quadri, le stampe e le fotografie, pensando che avrebbero potuto deconcentrarlo»; «Con loro faceva i conti alla fine della giornata, scrupolosamente, calcolando con molta attenzione la quantità di mosche uccise dentro casa, che pagava un copeco l’una». Tra gli aggettivi, poi, non uno che sia prevedibile: il deliquio è “salvifico”, l’onestà “senile, la sedia “zoppa”, il passato “inesorabile. Tra le metafore, non una che non sia viva: “il terreno abbandonato del risveglio”, “il vento penetrante delle voci della gente”, “le sabbie mobili delle strategie commerciali”, “gli strati di cera del silenzio”.

Una scrittura elegante, insomma, e originalissima. Elaborata per distillazione, per decantazione: nei tempi lunghi e sulle lunghe distanze. L’autore infatti, mascherato sotto il nom de plume di Dmitri Bakin, classe 1964, nativo della provincia russa meridionale, di professione fa il camionista. Nel 1996 ha attirato l’attenzione della Mosca letteraria con questa che, per ora, resta la sua opera prima e unica, già tradotta con successo in Inghilterra, Francia a Germania. Più che per l’anomalo impiego di autista o per l’éscamotage dello pseudonimo Bakin (che, seppur raramente, si concede alle interviste, per comunicare “opinioni salde e chiare sia in fatto di politica che di letteratura”: è un conservatore e coltiva la perfezione della forma) si fa notare per l’esiguità della produzione. Non più di sette racconti, limati, con maniacale disciplina stilistica, come medaglioni emblematici della narrativa russa contemporanea.

Al di là dell’inconfondibile marchio autoriale, infatti, la prosa di Bakin, innervata dal cinismo, ricamata sullo sfondo “del male” e di una “desolazione infernale”, declinata su temi ripresi - seppur con diffidenza - dalla tradizione dei classici (l’arcaicità russa, l’anima russa, la terra d’origine) va inquadrata nel contesto della letteratura post-sovietica anni Novanta. È un’arte che, dopo il silenzio seguito al crollo del Muro e alla disintegrazione dell’Urss, riprende la parola per fare questione, appunto, di una parola resa morta, vuota, mummificata dalla retorica di regime. O dai canoni della letteratura di opposizione al regime: improntata agli stessi modelli poetici sentenziosi e predicatori dell’umanesimo populista [...].

Contesto

P come post-: nuovi scenari della letteratura russa

 


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