Fiabe e leggende popolari della Norvegia,
di Birgit Hertzberg Johnsen
Un patrimonio culturale
Il nostro patrimonio culturale contiene molti tesori -
le storie ereditate dalla tradizione orale costituiscono
forse uno dei più belli di questi tesori. Anche al
giorno d’oggi, questo genere letterario è caro
al cuore dei norvegesi, mostra le nostre radici culturali
e fa parte della nostra identità. Le fiabe e le leggende
popolari costituiscono, insieme ai canti popolari, la parte
più antica della nostra letteratura popolare.
Le fiabe popolari sono racconti liberi e pieni di fantasia
che si sono tramandati di bocca in bocca per tempi immemorabili.
Trattano le relazioni umane esprimendosi in un linguaggio
fantastico e ricco di simboli. Come per tutta la buona letteratura,
le fiabe prendono spunto dalla vita quotidiana, ma non rimangono
mai nei confini del reale ed in quello che i comuni mortali
sono soliti considerare veritiero e ragionevole. Spesso
contengono elementi sovrannaturali e straordinari.
Lo stile delle fiabe
Le fiabe hanno un proprio stile, tra l’altro una
formula introduttiva fissa: “C’era una volta”,
“C’era una volta un re ed una regina”
oppure “C’era un epoca in cui tutte le cose
potevano parlare”.
Allo stesso modo le fiabe hanno spesso una formula conclusiva
che ci riporta dal mondo della fantasia alla realtà.
Sono dei giochi verbali con delle rime. La più conosciuta
è: “Snipp, snapp snute, så er eventyret
ute”. Spesso la formula ci racconta ciò che
è successo dopo che la storia principale è
terminata: “e se non sono morti allora vivono ancora”
oppure “il macinino è ancora oggi in fondo
al mare e continua a macinare; è per questo che il
mare è salato”.
Nella letteratura popolare le semplificazioni e le schematizzazioni
sono ricorrenti. La fiaba ha un numero di personaggi limitato:
un re o una regina, la figlia o il figlio del re, tre fratelli
oppure tre troll. I personaggi sono schematizzati ancora
di più in quanto hanno valore di modelli: “Askeladden”
(Ceneraccio) è il più importante di tutti
questi. All’inizio della storia si presenta come il
classico buono a nulla, ma porta in sè delle capacità
nascoste di compiere, al momento opportuno, grandi cose.
Aspetta sempre l’occasione propizia per apparire e
per fare quello che nessun altro è capace di fare.
Anche la trama è spesso semplificata e generalmente
vi sono solo due persone che partecipano all’azione
nello stesso tempo.
La fiaba ci da descrizioni corte ed usa la tecnica della
ripetizione per tenere il lettore in sospeso e dare più
peso ai passaggi importanti. Il numero tre si ripete. Incontriamo
tre fratelli, tre figlie del re e tre troll. Nella fiaba
“Hvitebjørn Kong Valemon” (Re Valemon
l’orso bianco), si racconta di un orso che va a rapire
le tre figlie del re tre giovedì sera consecutivi.
La ripetizione è spesso accompagnata da un crescendo
d’intensità drammatico: le difficoltà
ed i pericoli crescono ogni volta che vengono menzionati
e la soluzione dell’intrigo ha luogo di solito alla
terza replica. La storia inizia e termina con un tono pacato,
la giustizia viene sempre resa con poesia: il buono sarà
ricompensato ed il cattivo punito. C’è sempre
il lieto fine.
I vari tipi di fiabe
Le fiabe possono essere classificate in diversi gruppi.
Di solito le distinguiamo in tre gruppi principali: le fiabe
con gli animali, le fiabe sovrannaturali e le fiabe scherzose.
Le fiabe con gli animali hanno come protagonisti sia animali
domestici che bestie selvagge. Gli animali sono dotati della
parola e si comportano come gli umani, conservando allo
stesso tempo alcune delle loro caratteristiche animalesche.
Le fiabe norvegesi appartenenti a questo gruppo mettono
in scena soprattutto l’orso, la volpe ed il lupo,
ed alcune delle fiabe più celebri trattano proprio
di questi animali.
Molte fiabe raccontano l’origine di un tratto caratteristico
dell’animale in questione. La storia della volpe che
si è presa gioco dell’orso facendolo pescare
attraverso il ghiaccio con la propria coda, è conosciuta
in tutta la Norvegia. A causa dell’acqua gelata la
coda dell’orso resta imprigionata nel ghiaccio e quando
egli cerca di tirarla fuori per prendere il pesce, gli viene
troncata. Ed è per questo che l’orso tutt’oggi
ha la coda mozza. Allo stesso modo è molto popolare
la fiaba della volpe che ha rubato il burro, quella del
topo di casa e quello di montagna. La famosa fiaba greca
della scimmia che era tanto fiera dei propri figli, in Norvegia
viene raccontata con un uccello come protagonista, la beccaccia.
Tra gli animali domestici sono soprattutto il gatto, la
capra e la gallina ad essere amati. Ma la fiaba che meglio
caratterizza la Norvegia e che tutti i bambini norvegesi
conoscono è la fiaba dei “tre caproni ciuffoni
che per ingrassare alla malga dovevano andare”,
Le fiabe sovrannaturali, o fiabe magiche, costituiscono
il gruppo più fornito della letteratura fantastica.
Queste fiabe ci parlano di una serie di creature che combattono
draghi, troll e streghe, e di esseri umani dotati di poteri
sovrannaturali. Descrivono anche di certi fenomeni prodigiosi
come gli stivali delle sette leghe, mantelli invisibili,
tovaglie che si stendono e si riempiono di mille vivande,
montagne di cristallo, castelli d’oro e di un gran
numero di cose fantastiche e meravigliose. Queste fiabe
raccontano anche avvenimenti particolari come per esempio
un viaggio di sette ore attraverso sette regni, di gente
che dorme per cento anni, o ancora di metamorfosi in animali
o pietre.
Le fiabe sovrannaturali seguono una struttura particolare.
Gli avvenimenti si svolgono in sequenze che si succedono
con un ordine fisso. Incominciano con un incidente, una
perdita o una sparizione: per esempio quella di una principessa
che è stata rapita da un troll. Poi l’eroe
o l’eroina vengono dotati di poteri favolosi. Ceneraccio,
per esempio, beve una pozione magica che lo rende invincibile
ed in grado di brandire una spada magica con la quale riesce
a tagliare tutte le teste al troll.
Poi si racconta che l’eroe incontra la principessa
o che l’eroina incontra il principe, ma subentrano
complicazioni che ritardano il momento in cui i due potranno
riunirsi. La storia finisce con il trionfo del protagonista
che supera tutte le difficoltà e le avversità
e “conquista la principessa e metà del reame”.
Molte fiabe sovrannaturali mettono in scena dei troll
o hanno per motivo delle metamorfosi. Questi temi, che sono
spesso l’oggetto di canti popolari, sono molto popolari
nella tradizione norvegese. Le storie dei troll riprendono
frequentemente il tema del ragazzo che vince la lotta contro
l’impostore “Ridder Rød” (il Cavaliere
Rosso), uccide il troll e conquista la principessa e metà
del reame.
Le fiabe delle metamorfosi raccontano di uomini che vengono
trasformati in animali o in altre creature. “Østenfor
sol og vestenfor måne” (Ad est del sole e ad
ovest della luna) è tra le più conosciute.
Questa fiaba ed altre storie simili hanno origini che si
ricollegano ai miti greci di Amore e Psiche.
Tra le fiabe il cui tema principale è la realizzazione
di un compito difficile, ne troviamo solo una famosa nella
tradizione norvegese: è la fiaba “Mandattera
og Kjerringdattera” (la figlia del marito e la figlia
della moglie). Tra le fiabe su avvenimenti magici, i racconti
come “Bord dekk deg” (Che la tavola si apparecchi)
e la fiaba “Kvernen som står og maler på
havets bunn” (il macinino che macina sul fondo del
mare), sono le più conosciute tra le fiabe popolari
norvegesi:
Le fiabe scherzose rappresentano il terzo grande gruppo
di fiabe. Dal punto di vista generale gli elementi sovrannaturali
sono meno frequenti in questo tipo di fiaba rispetto alle
altre. In compenso da nessuna altra parte si trova un ricorrere
di trovate stravaganti e bizzarre come in fiabe tipo “Gudbrand
i Lia” (Gudbrand sulla collina) oppure “Kjerringa
mot strømmen” (la moglie contro-corrente).
Le tracce più antiche delle fiabe norvegesi
La grande diffusione delle fiabe nel mondo intero prova
che la tradizione orale resa immortale dalla scrittura è
una delle più antiche forme di espressione letteraria.
La parola ævintyr la ritroviamo in norvegese antico
già nel 12esimo secolo, presa in prestito dalla parola
latina adventura, che significa avvenimento, evento portentoso.
“Seie soger” significa raccontare fiabe. Nella
letteratura norvegese antica si trovano numerosi tratti
e temi che ricordano le favole.
Nel prologo alla saga “Olav Trygvasson” scritta
da Odd Snorresøn, si legge che “è meglio
ascoltare le saghe che non le storie della matrigna, come
quelle che i pastorelli hanno l’abitudine di raccontare.
In queste fiabe non si riesce a distinguere ciò che
è vero da ciò che non lo è, e spesso
la figura del re ne esce piuttosto male.”
Un chiaro segno che lefiabe oppure quei racconti che assomigliano
alle fiabe sulle matrigne cattive, esistessero già
all’epoca quando furono scritte le saghe, lo ritroviamo
anche nella saga di Re Sverre. Nel settimo capitolo ci viene
raccontato quanto segue sul viaggio del re a Värmland:
“Nel corso del viaggio il re dovette sopportare molte
difficoltà; la situazione assomigliava molto ai racconti
delle antiche saghe sui rapporti dei figli del re con le
matrigne cattive”.
In Norvegia le fiabe, anche se antiche, non vennero mai
messe per iscritto prima del secolo scorso, in quanto rappresentavano
un genere letterario non troppo gradito ai letterati delle
epoche precedenti. Lo stesso Ludvig Holberg, il grande scrittore
del XVIII secolo, riteneva che le fiabe fossero di un livello
così puerile che non dovevano uscire dalle pareti
delle stanze dei bambini. Le considerava senza valore e
secondo lui avrebbero dovuto essere proibite. Un cambiamento
di questa opinione avviene con l’influenza del romanticismo
tedesco. I romantici consideravano la letteratura popolare
come l’espressione più chiara e migliore dell’animo
popolare.
I primi ad accorgersi che le fiabe non solo avevano un
significato nazionale ed artistico, ma che potevano anche
avere valore scientifico, furono i due etnologi tedeschi
Jacob e Wilhelm Grimm. L’esigenza di fedeltà
alla tradizione popolare ha rappresentato il filo conduttore
dell’opera dei fratelli Grimm quando si misero a raccogliere
le fiabe tedesche per pubblicarle. I due primi collezionisti
di fiabe norvegesi, Peter Christen Asbjørnsen e Jørgen
Moen, hanno seguito lo spirito dei fratelli Grimm.
Le raccolte di fiabe di Asbjørnsen e Moe
Già agli inizi del 1840, Asbjørnsen e Moe
cominciano a pubblicare le loro fiabe sotto forma di piccoli
fascicoli. La prima raccolta completa venne pubblicata nel
1852. L’opera, redatta in uno stile facilmente accesibile
a tutti, restituisce in modo gioioso e con uno stile autentico
il contenuto delle fiabe.
Asbjørnsen e Moe hanno riepilogato le fiabe norvegesi
donandocene una immagine che non si allontana molto dalla
realtà quotidiana.
La lunga serie di edizioni integrali e raccolte di Asbjørnsen
e Moe sono diventate l’espressione classica della
tradizione norvegese delle fiabe. Magistralmente illustrate
in seguito, queste opere sono rappresentative dei diversi
tipi di fiabe norvegesi, non solo in Norvegia ma anche all’estero.
La loro fedeltà alle fonti e la loro profonda comprensione
del valore inestimabile delle fiabe hanno fatto sì
che la raccolta di Asbjørnsen e Moe sia ancora attuale.
Le raccolte contengono in tutto circa 100 tipi di fiabe,
un pò meno della metà di quelle oggi conosciute
in Norvegia. Dal punto di vista geografico la scelta è
un pò meno rappresentativa, in quanto non riflettono
che parzialmente la tradizione orale norvegese, essendo
state la maggior parte delle fiabe raccolte nella regione
dell’Est, Østlandet. Asbjørnsen e Moe
hanno fatto una netta distinzione tra la compilazione e
la scrittura delle fiabe e l’arte di ripetere una
storia. Si definirono “compilatori e ripetitori”.
La ripetizione implica tra l’altro la modificazione
del linguaggio sforzandosi lo stesso di dare una restituzione
fedele e riproducendole, secondo i loro termini, “più
fedelmente possibile in modo da riflettere quello che abbiamo
inteso dalla bocca del narratore”. Asbjørnsen
e Moe annotarono succintamente la trama delle storie e le
battute di risposta, più che altro per aiutare la
memoria. Si sono accomodati in una sala con dei bravi narratori
e riferirono a modo loro al pubblico le storie che avevano
sentito, così come tutti i buoni narratori di fiabe
erano soliti fare.
Nel corso degli anni le loro fiabe sono state pubblicate
in molte edizioni, e la lingua e lo stile ogni volta è
stato rivisto al fine di conservare nell’opera tutta
la sua freschezza e modernità.
In un secondo momento sono state raccolte fiabe provenienti
da tutte le regioni della Norvegia e sono state pubblicate
numerose raccolte di fiabe, la maggior parte in “nynorsk”,
la seconda lingua ufficiale della Norvegia, o in dialetto.
Esistono anche delle raccolte di fiabe pubblicate in lingua
lappone. Ma queste raccolte di data più recente non
sono mai riuscite a detronizzare l’opera di Asbjørnsen
e Moe nè in popolarità nè per numero
di lettori, nè in Norvegia nè fuori dai confini
della Norvegia.
Fino a che punto sono norvegesi le nostre fiabe?
I tentativi fatti per cercare di mostrare cosa vi sia
di caratteristico norvegese nelle fiabe non sono sempre
stati molto convincenti. Questo è dovuto alla natura
propria delle fiabe che, oltre ad avere un’appartenenza
nazionale possiedono anche un carattere universale. E’
il genere di espressione letteraria più cosmopolita
che esista.
Le fiabe vengono portate di luogo in luogo e migrano attraverso
vaste regioni della terra. Lo studio di raccolte di fiabe
di altri paesi rivelano l’esistenza di numerose caratteristiche
che si potrebbero considerare specificatamente norvegesi.
E’ difficile decidere che cosa appartenga ad un
tipo di fiaba e che cosa sia il frutto dell’evoluzione
del racconto nella sua variante norvegese. In larga misura
tutto dipende dallo stile del narratore e dal carattere
personale che imprime alla narrazione. Lo stile della fiaba
norvegese si distingue essenzialmente dal carattere obiettivo
della scrittura. Per quanto fantastico possa essere il tema,
il narratore adotta spesso uno stile realistico. L’atmosfera
di cui si racconta è tipicamente norvegese, lo stesso
re della fiaba assomiglia spesso ad un grande proprietario
terriero norvegese e Ceneraccio (Askeladden), il buono a
nulla, al figlio del mezzadro. Anche le illustrazioni delle
raccolte di Asbjørnsen e Moe, in particolare i disegni
di Erik Werenskjold, hanno donato alle nostre fiabe una
caratteristica di realismo e di buonsenso paesano tutto
norvegese.
Allo stesso modo molto raramente si descrivono sentimenti
nelle fiabe ed il narratore raramente esprime simpatia o
commiserazione per i personaggi della fiaba. Lo stile realistico
è anche avaro di dettagli e le descrizioni sono rudimentali.
Fiabe e narratori di fiabe
La ricerca ha dimostato che le fiabe, malgrado la loro
definizione di “fiabe popolari” o “folkloristiche”,
non venivano raccontate da chiunque nei tempi passati. Per
raccontare fiabe sono necessarie delle capacità particolari,
i narratori di fiabe possono essere paragonati a degli artigiani
specializzati. In particolare, raccontare le fiabe sovrannaturali
o le fiabe magiche, lunghe e più complicate, era
una prerogativa riservata a pochi.
I narratori dovevano possedere una buona memoria e l’arte
della narrazione. Ciascuno aveva il suo tocco particolare
e lo conferiva alla storia. Un narratore non racconta mai
la fiaba nello stesso modo due volte di seguito e lo stile
narrativo varia da un narratore ad un altro. Di conseguenza
una fiaba non può esistere in una versione corretta
ed unica.
La classe rurale è rimasta troppo tempo abbarbicata
alla vecchia cultura della società agraria ed è
proprio questa la forma di cultura a cui le fiabe appartengono.
All’epoca, quando si è iniziato a raccogliere
le fiabe, era proprio tra il ceto più umile della
società paesana che si trovavano i narratori: erano
braccianti, garzoni, servitori e viaggiatori.
Vi era inoltre un certo rapporto tra il genere maschile
o femminile del narratore e l’eroe o l’eroina
della fiaba. I narratori maschi preferivano raccontare fiabe
il cui personaggio principale era un uomo. Questo trae origine
principalmente dal fatto che la narrazione è una
forma di espressione che permette al narratore di calarsi
in un personaggio fittizio, di compiere quelle azioni che
ha sempre sognato e con le quali potersi identificare. Ma
le fiabe sono anche una specie di sogno da svegli, di natura
collettiva. Il narratore traccia quindi la cornice di un
mondo immaginario al quale possono partecipare anche gli
spettatori.
Le leggende mitiche
La natura norvegese sotto tutti i suoi aspetti è
una componente costante delle credenze popolari. Questo
è un tema che ritorna costantemente nelle leggende
popolari. Ancora oggi queste leggende sono vive nelle piccole
comunità rurali da cui provengono ed alcune sono
conosciute in tutto il paese. Le leggende ispirate ai fenomeni
naturali esistono in tutti i paesi del mondo, ma un paese
rude dalla topografia montagnosa, così particolare
come la Norvegia, è predisposto ad una tradizione
orale assai varia. Il paesaggio è scolpito da strutture
geologiche di forme strane adatte a stimolare la fantasia
popolare. Se un’apertura attraversa da parte a parte
una sommità rocciosa, come l’isolotto denominato
Torghatten nella regione di Helgeland, sembra si renda necessaria
una spiegazione del fenomeno, e da quì nasce una
nuova leggenda.
Le leggende che raccontano di creature sovrannaturali
o di spiriti come i “vetter”, vengono chiamate
leggende “mitiche”. In precedenza i ricercatori
ritenevano che questi esseri sovrannaturali, di cui le leggende
parlavano, fossero in verità discendenti degli antichi
dei, da cui il nome leggende “mitiche”. Per
la verità vi è solo una leggenda norvegese
che fa riferimento agli antichi dei della mitologia nordica,
e parla del dio Tor. Non lontano dal lago Totak, nel Telemark,
si trova un’enorme frana di pietre, detta la frana
di Urebø. La leggenda vuole che l’ammasso di
rocce sia stato provocato dal dio Tor quando ha fatto a
pezzi la montagna sovrastante, e che la valanga di pietre
abbia raso al suolo una piccola fattoria che si trovava
sul suo passaggio.
La letteratura popolare tradizionale offre numerose leggende
che fanno allusione a degli esseri sovrannaturali. Molte
leggende sono legate al mare o evocano dei mostri marini
o lacustri. La più conosciuta parla del gigantesco
serpente che nei tempi lontani abitava il lago di Mjøsa.
Ai nostri giorni è il lago di Seljord che è
divenuto il luogo prediletto di un mostro, una specie di
“Loch Ness” norvegese. Anche il mare è
abitato da strane creature come si racconta nella leggenda
di “Draugen”, lo spettro annunciatore di morte.
E’ considerato come lo spettro di un annegato o come
la personificazione di tutti quelli che sono morti in mare.
Il “Draugen” viene descritto come un pescatore
decapitato, vestito di cuoio. Naviga su una mezza barca
e avverte con i suoi lamenti ogni volta che una persona
sta per annegare.
“Nøkken”, Ondino, il genio abitatore
delle acque, vive nei fiumi e nei laghi. E’ pericoloso
perchè cerca di allettare la gente per attirarla
in acqua. Come il “Draugen” anche lui avverte
quando qualcuno sta sul punto di affogare. Rappresenta il
pericolo e quanto di brutto riserva l’acqua. Questa
creatura sgradevole il “Nøkken” è
stato riprodotto in modo magistrale dal pittore Theodor
Kittelsen. Ispirato da varie leggende che descrivono le
sue apparizioni sotto questa forma, ha anche dipinto il
“nøkken” con le sembianze di un cavallo
bianco.
La tradizione norvegese riserva un posto importante al
genio delle cascate “Fossegrimmen”, che insegna
l’arte del violino. Colui che vuole imparare a suonare
il violino deve andare alla cascata ed offrire del cibo
al genio. Certe leggende ci raccontano che il tentativo
può riuscire a metà se, per esempio, il “fossegrimmen”
trova scarso il cibo. Egli insegna quindi al candidato violinista
solo “å stilla, men ikkje å slå”,
ad accordare lo strumento ma non a suonarlo.
Nelle montagne e nei boschi vive una varietà di
creature mitiche e le leggende che evocano le impronte lasciate
dai troll, si trovano in tutto il paese. Alcune volte i
troll sono pietrificati e si confondono con le rocce, come
“Hestmannen” (il Cavaliere di Nordland) e “Vågekallen”
(il vecchio di Vågan). Le impronte lasciate dai troll
mostrano sempre la loro grandezza, come a testimoniare che
le forme rocciose sono il risultato delle loro azioni: “Jutulhogget”,
il colpo d’ascia del gigante della montagna nella
valle di Østerdal oppure le gigantesche pietre che
i troll hanno gettato contro una chiesa o contro altri troll.
“Haugefolket”, i geni sotterranei, sono quelli
che senza dubbio ricoprono il ruolo più importante
nelle leggende norvegesi. Consistono di un vasto gruppo
di creature sovrannaturali o “vetter” e hanno
molti nomi: “bergfolk” gente di montagna, “haugfolk”
gente di collina, “underjordiske” esseri che
vivono sottoterra, “ huldrefolk” le fate delle
montagne e delle foreste, ed i “tusser” altra
categoria di esseri sovrannaturali che vivono sotto terra.
Sull’origine di queste creature, le leggende raccontano
che discendono da bambini che Eva ha nascoso a Dio. Scoperto
l’inganno, l’Eterno proclamò che quello
che era stato nascosto una volta sarebbe rimasto nascosto
per sempre. Un’altra leggenda racconta che questi
esseri sovrannaturali che vivono sotto terra sono quegli
angeli che il Signore a suo tempo cacciò dal paradiso.
Le creature sovrannatura-li sotterranee sono di solito
considerate esseri di estrazione inferiore rispetto agli
umani che esse invidiano in quanto possono vivere alla luce
del sole. Spesso sono di piccola taglia e si vestono di
blu o grigio. Il loro mondo è molto simile a quello
degli umani: pascolano le greggi, coltivano le fattorie
e pescano a bordo di navi. Come dice il nome vivono sotto
terra o nella parte più profonda delle montagne,
e molte leggende raccontano che a volte si sente la montagna
risuonare della loro vita sotterranea. A volte si riesce
ad incontrarli allo scoperto o a vedere le loro greggi.
Henrik Ibsen ha utilizzato materiale di queste leggende
nella sua opera “Peer Gynt”.
I geni femminili delle montagne e delle foreste o degli
oggetti a loro appartenenti possono approdare nel mondo
degli umani. Certe leggende raccontano di uomini che hanno
sposato delle fate o che hanno ricevuto oggetti d’argento
come un corno per bere o una corona da sposa gettando un
pezzo di metallo su questi oggetti. Molte leggende raccontano
di esseri umani caduti sotto l’incantesimo della montagna,
alcuni spariti per sempre, altri che riescono a tornare
nel mondo dei loro simili.
La tradizione leggendaria è ricca di narrazioni
sugli spiriti domestici, gli “husvetter”, che
vivono alla fattoria a contatto con la famiglia, di generazione
in generazione. Essi combattono con i “nisser”,
gnomi di altre fattorie, sempre pronti a prendersi la rivincita
quando sono oggetto di un affronto. Eccellenti guardiani,
sorvegliano molto bene la fattoria e le greggi e sono maestri
nell’arte di intrecciare la coda e la criniera dei
cavalli.
Le leggende storiche
Le fonti ed i temi della maggior parte delle leggende
norvegesi sono di origine molto più recente. Infatti,
il re Olav Tryggvesson, morto in combattimento ed in seguito
santificato, è l’unico re norvegese dell’epoca
medievale che sia divenuto una figura leggendaria nella
memoria popolare. Di lui si è raccontato in tutto
il paese, ma è soprattutto l’aspetto leggendario
che prevale. Si racconta che la natura conserva ancora tracce
della sua nave e del suo cavallo, che ha conferito numerose
fonti di poteri sovrannaturali e che avrebbe pietrificato
i trolls. In molti luoghi avrebbe permesso la costruzione
di chiese ed avrebbe in innumerevoli occasioni indotto i
trolls a costruirne per lui.
Le leggende aventi come tema la peste nera “Svartedauden”
che si abbattè sulla Norvegia nel 1349-1350, costituiscono
il secondo gruppo per importanza di leggende medievali.
La peste nera è spesso personificata con i tratti
di una vecchia che va in giro per il paese con una ramazza
ed un rastrello. Là dove rastrellava qualcuno si
salvava, ma dove passava la scopa morivano tutti.
Queste leggende costituiscono in realtà una fonte
di informazione interessante sugli effetti e l’estensione
dell’epidemia.
Particolarmente commovente è la leggenda “Førnesbrunen”
di Rauland nel Telemark, il cavallo che, benchè privo
del cavaliere, trasportò i cadaveri attraverso la
landa fino al più vicino cimitero. Molte leggende
ci raccontano che in certi villaggi ed in certe valli sopravvissero
solo poche persone, oppure che erano tutti morti e che la
regione era completamente deserta. L’onomastica ci
rivela che molti nomi di luoghi hanno un legame con queste
leggende. La più conosciuta è la leggenda
“Jostedalsrypa” (la Pernice delle nevi di Jostedal),
che racconta di una ragazza rimasta sola nella valle fino
al giorno in cui viene ritrovata ormai timida e intrattabile
come un uccello selvatico.
Un altro gruppo di leggende è costituito da quelle
sulla famiglia. Da fonti che risalgono al XVIII secolo,
apprendiamo del grande interesse che i contadini norvegesi
avevano per la genealogia e le tradizioni familiari. Il
vescovo di Bergen, Erik Pontoppidan, racconta nel 1753,
che le famiglie contadine norvegesi “si prendono grande
cura di preservare le informazioni che vengono loro fornite
dall’albero genealogico e trasmesse per tradizione”.
Le leggende sulla famiglia vennero scritte dopo il 1850.
Non hanno la stessa qualità artistica delle saghe
islandesi anche se il contenuto è simile: trattano
di liti, di proprietà terriere, di donne, omicidi,
vendette e banditi.
Le storie raccontano dei grandi proprietari terrieri.
Molti ci vengono presentati come dei giganti messi al bando
dopo che avevano compiuto un delitto. Le migliori e la maggior
parte di queste leggende provengono dalle regioni interne
di Agder e Telemark e dalle valli della regione Østlandet.
Il quarto grande gruppo di leggende è quello relativo
alla storia delle comunità rurali la cui struttura
è tipicamente norvegese. Esse mettono in scena alti
funzionari, come Stig Bagge e Erik Munk, e certi preti dalle
abitudini strane che la gente rurale non è riuscita
a dimenticare. Membri del clero in contrasto con la popolazione
del villaggio oppure preti che, si raccontava, avessero
conoscenze di stregoneria, sono i temi di numerose leggende
appartenenti a questo gruppo. Peter Dass è il prete
di cui si è raccontato maggiormente.
Le leggende itineranti
Mai i ricercatori hanno ritenuto che un racconto dovesse
essere antico per essere classificato come leggenda. Ma
in precedenza, vi era una tendenza a collegare la “leggenda”
con la nozione di “antico” e a prendere in considerazione
il suo contenuto che metteva abitualmente in scena la società
contadina. La struttura della società è mutata
radicalmente negli ultimi cento anni e questo ha portato
ad un rinnovamento della tradizione delle leggende. Ai nostri
tempi predomina un tipo di leggenda che chiameremo la “leggenda
itinerante”. Questo genere letterario è stato
spesso divulgato dai giornali e da altri mass-media. Queste
nuove saghe sono solo moderne in apparenza perchè
nel loro contenuto sono adattate al nostro modo di vita
contemporaneo. Di regola generale seguono uno schema epico
tradizionale.
La gente crede ancora alle leggende?
Al contrario delle fiabe, che si svolgono nel mondo dell’immaginario,
le leggende hanno un carattere veritiero e raccontano di
avvenimenti che sarebbero potuti accadere. Gli studi mostrano
che alcuni credono mentre altri si mostrano scettici verso
ciò che le leggende raccontano. Le leggende si trovano
al limite tra la conoscenza reale, la credenza e l’immaginario.
La credibilità non può pertanto essere utilizzata
per definire la leggenda in quanto questa varia da persona
a persona. Per classificare un racconto nella categoria
delle leggende conviene stabilire delle distinzioni formali:
la leggenda è narrata con uno stile che le conferisce
un carattere veritiero: è accaduta una cosa conosciuta
e si svolge in un luogo determinato, etc.
Le leggende si basano su avvenimenti reali? A questa domanda
possiamo rispondere raramente. Spesso vengono raccontate
come se i fatti fossero accaduti realmente. Ma quando la
cornice di riferimento della leggenda si modifica, muta
anche il fondamento sul quale si basa la credenza. Quelle
leggende che raccontano di persone attirate nelle viscere
della terra da esseri sovrannaturali potevano passare per
racconti verosimili fino a che la gente credeva nell’esistenza
di tali creature. Sparita questa credenza popolare, le leggende
venivano raccontate per puro divertimento senza che nessuno
più credesse al loro contenuto. Le leggende danno
un’idea della visione che i narratori hanno del mondo.
Le chimere colmano le lacune esistenti nel campo delle conoscenze
di un individuo. Dal punto di vista stilistico le leggende
hanno una forma narrativa obiettiva, ma sono anche l’espressione
delle opinioni e dei valori propri del narratore.
Esse riflettono inoltre la personalità dei diversi
narratori che le hanno trasmesse, in quanto la stessa leggenda
può avere dato luogo a diverse interpretazioni ed
aver quindi acquisito più significati.
Bibliografia
Liestøl: Norsk Folkedikting, (Letteratura del folklore
norvegese) Oslo 1936.
R.Th. Christiansen: Norske eventyr. Nordisk Kultur IX, (Fiabe
norvegesi - Cultura nordica IX) Oslo 1931.
R.Th. Christiansen e Knut Liestøl: Norske Folkesagner.
Nordisk Kultur IX, (Leggende popolari della Norvegia - Cultura
nordica IX) Oslo 1931.
L’autrice dell’articolo, Birgit Hertzberg Johnsen,
è stata lettrice presso il Dipartimento di folkloristica
dell’Università di Oslo.
Prodotto da Nytt for Norge per il Ministero degli Affari
Esteri norvegese.
Traduttore: Viviana La Cava Eriksen. Testo prodotto nel
1996
Contesto
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