Tra letteratura e creatività, di Giovanna Mulas
“Con innocenza e purezza io custodirò la
mia vita e la mia arte.”.
(Ippocrate, GIURAMENTO)
“Tu, proprio tu. Tu che sorprendi e ti sorprendi,tu
che professi d’ essergli amico, tu alchimista di chiaroscuri,si;
tu.
Non basta l’Amore a salvare l’amore di colui
per il quale la rosa appena colta è già appassita.
Digli che nei miei silenzi è presente.
Digli che lui è nei miei canti, nei voli,in rabbia
e risate, nei pianti, nei sogni ancora e sempre.
Digli che c’è anche se non vorrei,digli che
lui c’è perché è l’anima
mia,la vita stessa…coro e lughe,su coro meu!
Lo dirai?LO DIRAI A LUI? Qualunque cosa,qualunque cosa io
farò, con chiunque io sarò, in realtà
sarò in lui.
E tu fiume che scorri
E lo nutri
Sole ch’irradi e papaveri ad Eolo, e muschio e canne
naufraghi d’ erba di maggio
Che lo tocchi, l’odori
Ditegli voi che io sono qui.
Sa reina è qui.
Ancora.”.
(G.M., CONTOS)
Se non è possibile spiegare la poesia giacché
le spiegazioni,sono convinta, circoscrivono e ingabbiano,
inibiscono la passione e la significatività delle
espressioni linguistiche dell’autore; si può
comunque azzardare una ricerca nell’infanzia delle
prime tracce di fantasia poetica.Il gioco è l’occupazione
più intensa e prediletta dal bambino che,giocando,si
comporta come un poeta,nel momento stesso in cui crea un
mondo proprio o mentre riordina in modo tutto personale
le cose del suo mondo.Egli, è chiaro, prende sul
serio il gioco,prodigandovi una vasta quantità di
emozioni.L’opposto del gioco non è ciò
che è serio,ma ciò che è reale;nonostante
le emozioni sul mondo dei suoi giochi,il bambino lo distingue
benissimo dalla realtà,ama legare gli oggetti e le
situazioni immaginate alle cose tangibili e visibili del
mondo reale.E’ questo collegamento che differenzia
il gioco del bambino dal fantasticare.Un po’ come
lo scrittore ed il poeta,dunque,che si comportano come il
bambino che gioca:creano un mondo di fantasie investendovi
una grande carica emotiva,e lo separano nettamente dalla
realtà.Secondo Freud (“il poeta e la fantasia”,1908)
la lingua stessa ha sublimato il rapporto tra il gioco del
bambino e la creazione poetica,definendo col termine Spiel
(gioco) quelle forme di composizione poetica che devono
essere collegate ad oggetti tangibili,e che sono destinate
alla rappresentazione; troviamo così indicati con
Lustspiel (recita) la commedia,con Trauerspiel (gioco luttuoso)
la tragedia e con Schauspieler (“chi dà spettacolo”
o “giocatore”) coloro che eseguono la rappresentazione.L’irrealtà
del mondo fantasioso dello scrittore dà luogo a conseguenze
molto importanti per la tecnica artistica giacchè
molte cose,viste nella loro realtà,non potrebbero
regalare godimento alcuno,ma possono invece darlo nel gioco
della fantasia.Crescendo, gli uomini smettono di giocare
e pare che rinuncino al piacere del gioco ma in verità
non è nell’umana natura rinunciare ad un piacere;semplicemente
lo si sostituisce con un altro.Nella creazione dei narratori,una
caratteristica colpisce particolarmente: c’è
sempre un eroe al centro dell’interesse;un eroe collocato
sotto l’ala materna di Natura o Provvidenza o identificato
in essa come ho avuto modo di evidenziare in alcuni studi
sulla poesia egiziana del XIII secolo; in particolare su
Ibn Fàrid e la sua tipica espressione “io sono
Ella”; concetto in seguito ritrovato ne l’Acerbo
di Cecco d’Ascoli (“Donqua io son Ella”)
e i semi di queste stesse parole in Ibn Hazm (XI secolo)
e in Ibn Daoud (IX secolo).E’ il vero sentimento eroico
(Ignis aurum probat,miseria fortes viros) che uno tra i
migliori scrittori di teatro, Anzengruber, ha espresso nella
frase “nulla mi può accadere!”, e ritengo
interessante come,attraverso questo aspetto rivelatore d’invulnerabilità
che ho tra l’altro trovato piacevolmente e debitamente
trattato nell’ottima Enciclopedia Poetica della Princeton
University Press; si possa riconoscere –come sottolinea
il Freud- l’estremo ego dell’autore,l’eroe
di tutti i sogni ad occhi aperti, in pieno contrasto col
tipo di una certa romanzeria;eroe esiguamente attivo, placido
voyeur di sofferenze e azioni altrui. Si ritiene che molte
delle opere di Zola appartengano a questa categoria.L’Ars
Poetica consiste essenzialmente nel superare il senso di
ripugnanza presente in ogni uomo;senso connesso alle barriere
erette tra ogni singolo individuo e gli altri (Die Freude
verallgemeinert,der Schmerz individualisiert den Menschen*)
seppure non è corretto rendere l’artista responsabile
del risultato finale delle proprie opere.Curiosa trovo resti,in
merito, la posizione di Leonardo da Vinci;il Faust italiano
che nel “modus operandi” sposò cristianesimo
e politeismo; colui col quale si può richiamare alla
mente Nietzsche: “…come uno spirito di uccello
profetico, che guarda all’indietro quando racconta
ciò che verrà”.Il Solmi cita le osservazioni
di uno degli allievi del da Vinci:”Pareva che ad ogni
ora tremasse,quando si poneva a dipingere,e però
non diede mai fine ad ogni cosa cominciata,considerando
la grandezza dell’arte tal che egli scorgeva errori
in quelle cose,che ad altri parevano miracoli”.I suoi
ultimi quadri,egli continua; la Leda,la Madonna di Sant’Onofrio,Bacco
e il S. Giovannino restarono incompiuti “come quasi
intervenne di tutte le cose sue”. Lomazzo, che fece
una copia dell’Ultima Cena,allude in un sonetto alla
notoria capacità di Leonardo a terminare le sue opere:
“Protogen che il pennel di sue pitture/non levava,agguagliò
il Vinci Divo/Di cui opra non è finita pure”.
Era proverbiale la lentezza con la quale lavorava Leonardo.Dopo
gli studi preparatori più approfonditi, dipinse l’Ultima
Cena nel convento di Santa Maria delle Grazie,a Milano,
impiegando tre lunghi anni.Uno dei suoi contemporanei,lo
storiografo Matteo Bandello,che a quel tempo era un giovane
monaco del convento, racconta che Leonardo era solito arrampicarsi
sull’impalcatura di mattina presto e restarci sino
al crepuscolo,senza mai deporre il pennello e senza pensare
a bere o mangiare.Poi passavano giorni senza che egli ci
lavorasse.Secondo il Vasari,egli impiegò quattro
anni a dipingere il ritratto di Monna Lisa,la moglie del
fiorentino Francesco del Giocondo,senza essere capace di
portarla completamente a termine. In un saggio tratto dalle
Conferenze fiorentine viene citata questa affermazione di
Leonardo,che fornisce la chiave per comprendere la sua natura:
-nessuna cosa si può amare né odiare,se prima
non si ha cognition di quella-. Cioè si dovrebbe
amare in modo tale da trattenere l’affetto,sottoporlo
al processo di riflessione e lasciargli prendere il suo
corso solo dopo che ha superato la prova del pensiero. Autocontrollo.Gli
affetti di Leonardo erano controllati e sottoposti all’istinto
di ricerca;incredibilmente,per la natura impulsiva dell’uomo,
immolati a quello. Egli non amava e non odiava,ma si chiedeva
l’origine ed il valore di ciò che doveva amare
o odiare.Aveva semplicemente trasformato la sua passione
in sete di conoscenza.Un altro probabile esempio di creazione
della sua fantasia si ritrova nell’Accademia Vinciana,la
cui discussa esistenza è stata postulata da cinque
o sei emblemi dai disegni intrecciati ed estremamente intricati
che contengono il nome dell’Accademia.E’ facile
che l’istinto del gioco in Leonardo svanisse nella
maturità,inserendosi anch’esso nell’attività
di ricerca che rappresentò l’ultima e la più
alta espansione della sua eclettica personalità.Voglio,
infine, prendere in considerazione il capolavoro di Shakespeare,
amante spudorato del plagio. Accadde che uno dei drammaturghi
beffati si presentò a lui infuriato, rinfacciandogli
d’aver cancellato una scena intera dalla sua tragedia.E
un Shakespeare sornione e ubriaco rispose:- E’ una
figlia che ho tolto dalla cattiva compagnia per metterla
sulla buona strada.-. Ma questa è un’altra
storia. Secondo la coinvolgente scia del Freud si consideri
l’Amleto, rappresentato forse per la prima volta nel
1602.L’autore domanda la comprensione del lettore
per un uomo malato,per una debole creatura intellettuale
o per un idealista troppo buono per il mondo reale?E quante
di queste interpretazioni plasmano un lettore placebamente
topico tanto da non riuscire a spiegare l’effetto
del dramma e spingendolo a pensare che la sua magica attrattiva
derivi unicamente dalle profonde riflessioni e dall’autentico
splendore del linguaggio.Non sono questi tentativi una prova
giocosa che risveglia nel lettore l’urgenza di scoprire
nell’opera qualche ancestrale fonte di potere al di
là di essi?
*F. Hebbel
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