La condizione femminile nella Grecia di Pericle, di Giovanna
Mulas
Ad Atene, come gli schiavi, le donne non disponevano di
alcun diritto giuridico o politico; avevano perso il ruolo
importante sostenuto nella società micenea ed in
parte conservato in età omerica. E’ interessante
rilevare come la condizione subordinata della donna ateniese
apparisse prima di tutto nella vita delle fanciulle e nel
modo in cui accedevano al matrimonio.La giovinetta non poteva
incontrare liberamente dei giovani perché non lasciava
mai il gineceo. E se le donne sposate varcavano di rado
la soglia esterna di casa, le giovinette a stento apparivano
nel cortile interno; dovevano vivere lontano dagli sguardi
persino dei membri maschi della propria famiglia. Secondo
La vie quotidienne en Grèce au siècle de Périclès,
di R. Flacelière; l’Atene del V secolo non
conosce nulla di paragonabile a istituti per giovinette
di elevata condizione come quello diretto dalla poetessa
Saffo nell’isola di Lesbo all’inizio del VI
secolo e nemmeno agli esercizi fisici delle giovinette di
Sparta,vestite in abiti corti che “mostravano le cosce”
(phainomerides).Tutto ciò che per una giovane ateniese
era utile imparare –lavori domestici, filatura e tessitura
della lana,cucina e sporadicamente qualche elemento di musica
e lettura- lo apprendeva dalla propria madre, da un’ava
o dalle serve di famiglia. La sola occasione normale di
uscita per le fanciulle, come sublimamente documentato da
A. Loloi in The Abiko Literary Quarterly; era costituita
da alcune feste religiose nelle quali partecipavano alle
processioni o assistevano al sacrificio, come sul fregio
delle Panatenee sul Partenone; probabilmente alcune imparavano
a cantare e danzare per partecipare ai cori religiosi, sempre
e comunque rigidamente scissi dai cori dei giovani di sesso
opposto. Dall’Economico di Senofonte (7,5); Iscomaco
dice della sua giovane sposa: “Che cosa poteva sapere,
Socrate, quando l’ho presa con me? Non aveva ancora
quindici anni quando è venuta nella mia casa; fino
allora era vissuta sotto stretta sorveglianza, doveva vedere
meno cose possibili, udirne il meno possibili e fare meno
domande possibili”. Tale era dunque l’ideale
della buona educazione, della sofrosine per le fanciulle.
E’ il tutore della giovinetta –padre o nonno
o tutore legale-, nel momento giusto, a scegliere il marito
decidendo per lei e senza che il consenso dell’interessata
fosse necessario. La principale ragione del matrimonio era
di ordine religioso; ci si sposava per avere dei figli maschi,
almeno uno che perpetuasse la razza e assicurasse a suo
padre il culto che questi aveva dedicato ai suoi antenati,
indispensabile per la felicità del defunto nell’al
di là (tutta la vita era scandita dal ritmo delle
feste religiose della famiglia,del demo, della città
e dalla minuziosa esecuzione dei riti ereditati dagli antenati;
tà patria). Curiosamente, gl’irriducibili celibi
spartani erano puniti dalla legge. Ad Atene non esisteva
pressione legale ma quella dell’opinione pubblica
era molto forte; il celibato maschile era circondato da
biasimo e disistima seppure coloro che avevano un fratello
maggiore sposato e con figli erano dispensati con maggiore
facilità dal matrimonio.A quanto riporta Menandro
alla fine del IV secolo, il matrimonio era, per gli ateniesi,
un “male necessario”. D’altra parte ci
si chiede come avrebbe potuto, un giovane ateniese,innamorarsi
di una fanciulla mai vista. Ciò non significa comunque
che l’amore non potesse successivamente nascere tra
gli sposi (i greci del V e del IV secolo usavano preferibilmente
la parola eros, amore, per indicare il sentimento appassionato
che unisce l’eromene e l’eraste,ciò che
si definisce “amore greco”). Solo il tardo stoicismo,
probabilmente grazie all’influenza dei costumi romani,
riabilitò in Grecia l’amore coniugale. La tradizione
filosofica favorevole all’amore fra uomini era così
forte che Plutarco ancora si sentiva in dovere,prima di
fare l’apologia del matrimonio,di dimostrare che le
fanciulle,come i ragazzi,erano capaci di suscitare eros
(Cfr.Plutarco, “dialogo sull’amore” e
R. Flacelière,”Les epicuriens et l’amour”
–Revue d’etudes grecques- 67, 1954, pp. 69/81).
L’incesto, ad Atene, non era proibito da una legge
della città, ma l’unione tra ascendente e discendente
era considerata abominevole e tale da attirare il castigo
degli dei come da l’Edipo Re di Sofocle. La fanciulla
epiclere, cioè che ereditava da suo padre in assenza
di eredi maschi, doveva sposare il più prossimo parente
di suo padre, se questi acconsentiva; ed in ciò appare
in primo piano la preoccupazione di continuare la razza
ed il culto familiare. I giovani non si sposavano mai prima
della maggiore età; spesso aspettavano molto oltre
i due anni di efebia, cioè di servizio militare,che
prestavano dai 18 ai 20 anni.Le fanciulle potevano sposarsi
appena raggiungevano la pubertà,verso i 12 o 13 anni
ma in genere si aspettava che ne avessero 14 o 15. Esiodo
consigliava all’uomo di sposarsi verso i 30 anni con
una fanciulla di 16 (“le opere e i giorni”,
vv. 696-698). Il matrimonio legittimo fra un cittadino ed
una figlia di cittadino era caratterizzato ad Atene dall’engyesis
(“consegna di un pegno”) ch’era più
di un semplice fidanzamento. Era in realtà un accordo
che si ha ragione di credere avesse luogo presso l’altare
domestico; una convenzione orale ma solenne fra due persone:
da una parte il pretendente, dall’altra il kyrios
della fanciulla che era il padre, se ancora in vita.Ci si
scambiava la stretta di mano e qualche frase rituale (da
“La fanciulla dai capelli corti”,Menandro, vv.435-437):
PATAICOS -ti do questa fanciulla perché metta al
mondo dei figli legittimi.-
POLEMON -Io l’accolgo.-
PATAICOS -Aggiungo una dote di tre talenti- (il talento
valeva 6.000 dracme, n.d.r.)
POLEMON -L’accolgo con piacere.-.
A tale accordo dovevano assistere dei testimoni. Il padre
di famiglia aveva sui figli gli stessi diritti che sugli
schiavi e poteva venderli; pratica sussistente ancora nel
V secolo ma non in Attica.In Atene una fanciulla poteva
anche sposarsi senza dote ma era un caso eccezionale; l’esistenza
della dote pare servisse a distinguere un matrimonio legale
da un concubinato. Dunque il matrimonio esiste legalmente
già dopo l’engyesis ma la coabitazione degli
sposi ne è lo scopo finale; non dimentichiamo che
è contratto essenzialmente per far nascere gli eredi
maschi. Il gamos, la consumazione del matrimonio, richiede
il trasferimento della fidanzata alla casa del pretendente;
tale trasferimento costituisce la principale cerimonia di
matrimonio che in generale aveva luogo in un periodo vicinissimo
all’engyesis. Pare che la superstizione inducesse
i greci a scegliere, per sposarsi, soprattutto l’inverno
e il periodo della luna piena; i matrimoni dovevano essere
particolarmente numerosi nel mese di Gamelion (gennaio),
il settimo dell’anno ateniese dedicato ad Era,la dea
del matrimonio ed il cui nome significava,appunto,”mese
dei matrimoni”.Le cerimonie cominciavano la vigilia
del giorno in cui la fidanzata doveva cambiare di focolare.
Si offriva un sacrificio alle divinità protettrici
del matrimonio: Zeus, Era, Artemide, Apollo, Pheito (la
persuasione). La fidanzata dedicava agli dei i suoi giocattoli
e gli oggetti familiari che l’avevano circondata nell’infanzia.
Ma il rito principale, di purificazione, è il bagno
dela fidanzata per il quale una processione andava a raccogliere
l’acqua ad una fonte speciale, la Calliroe.Tale processione,
rappresentata in numerose pitture vascolari, comprendeva
donne recanti torce e in mezzo ad esse un suonatore di oboe
che camminava davanti ad una donna che recava un vaso di
forma particolare destinato a raccogliere l’acqua
del bagno, una lutrofora di forma ovoide,collo affilato
e due anse sui fianchi. Il giorno delle nozze le case della
sposa e del marito venivano decorate da ghirlande di foglie
d’olivo e di alloro (Cfr. Plutarco, “Dialogo
sull’amore”, 755 A.) e nella casa del padre
della fidanzata si tenevano un banchetto ed un sacrificio
ai quali la giovane assisteva velata, coi suoi abiti più
belli e una corona in testa, circondata dalle amiche e con
al fianco la ninfeutria; donna che l’avrebbe guidata
ed assistita durante l’intera cerimonia del matrimonio.
Il fidanzato aveva al suo fianco il parochos. Nella sala
del banchetto uomini e donne erano separati. Il pasto comprendeva
cibi tradizionali quali i dolci di sesamo, garanzia di fecondità.
Fra i convitati passava un giovane, che doveva avere i genitori
viventi, amphitales (Cfr. L.Robert, “Ath. Studies
pres. To W.S.Ferguson, pp.509-519), incaricato di offrire
il pane in un cesto pronunziando parole rituali che ricordano
le formule delle religioni misteriche : Ho fuggito il male,
ho trovato il meglio. Alla fine del pasto la fidanzata riceveva
dei doni e forse a questo punto il velo veniva tolto, ma
non è sicuro, come da P. Roussell e le sue “Lettres
d’humanité, 9 (1950), p. 10:
se il velo era destinato a proteggerla contro le influenze
malefiche nel periodo pericoloso in cui passava a una nuova
condizione, è più probabile che lo svelamento
avvenisse solo al momento dell’arrivo alla casa dello
sposo. Verso sera si formava un corteo che accompagnava
la fidanzata alla nuova casa. Interessante il rito del matrimonio
a Sparta, come descritto nel “Licurgo” di Plutarco,
15, 4-7: a Sparta ci si sposava rapendo la propria moglie.La
fanciulla rapita era affidata alle mani di una donna chiamata
nimfeutria che le rasava i capelli,la infagottava con abiti
e calzari maschili e la faceva coricare su di un pagliericcio,sola
e al buio.Il fidanzato,che aveva consumato il pasto con
i suoi compagni,come al solito, entrava,le scioglieva la
cintura e,prendendola fra le sue braccia,la portava sul
letto.Dopo aver passato con lei un tempo assai breve,tornava
a dormire coi suoi compagni. Ad Atene,all’ingresso
della casa del marito,la fidanzata trovava ad accoglierla
il padre e la madre di quello,il primo coronato di mirto,la
seconda con una torcia.La giovane veniva cosparsa di noci
e fichi secchi.Le si offriva una parte del dolce nuziale,di
sesamo e miele,e un dattero o una mela cotogna, simboli
di fecondità. In seguito la coppia entrava nella
camera nuziale (thalamos), la porta veniva chiusa e sorvegliata
da un amico del marito (Thyronos) mentre gli altri cantavano
ad alta voce un inno nuziale e facevano rumore, si pensa
per spaventare gli spiriti maligni. Il lusso e lo splendore
della cerimonia comunque, variavano a seconda delle fortune
della famiglia.L’indomani del matrimonio era ancora
giorno di festa,i genitori della sposa portavano solennemente,al
suono dell’oboe, doni alla nuova coppia (epaulia),
e certamente a questo punto veniva consegnata la dote promessa
in occasione dell’engyesis.In seguito il novello sposo
offriva un banchetto con un sacrificio ai membri della sua
fratria. Non presentava sua moglie ma spiegava loro solennemente
che si era sposato,cosa importante perché in futuro
i bambini maschi sarebbero stati ricevuti nella fratria
stessa. Un marito aveva sempre il diritto di ripudiare la
propria moglie,anche senza alcun motivo valido. L’adulterio
della donna,quando giuridicamente accertato; rendeva addirittura
obbligatorio il ripudio,pena l’atimia per il marito
che non lo intimasse. Altra causa frequente di ripudio era
la sterilità; rimandando al padre la moglie sterile,
lo sposo adempiva addirittura a un obbligo religioso e patriottico.
E in ogni caso l’ eventuale gravidanza della moglie
non costituiva ostacolo al ripudio. Il marito che ripudiava
la moglie, però, doveva restituirne la dote e questa
costrizione costituiva il solo freno –spesso efficace-
al moltiplicarsi dei divorzi. Ben diversa era la situazione
quando a volersi separare era la moglie,collocata dalla
legge in una condizione d’endemica incapacità
giuridica. La donna aveva una sola possibilità; rivolgersi
all’arconte, protettore naturale degli incapaci, e
consegnargli una dichiarazione scritta dove venivano esposti
i motivi sui quali si fondava la sua richiesta di separazione.
E’ probabile che l’evidente infedeltà
del marito non bastasse a far deliberare all’arconte
la separazione giacchè i costumi tolleravano la libertà
sessuale del maschio; al contrario percosse e maltrattamenti
subiti dalla moglie, se accertati nel corso dell’inchiesta,costituivano
motivo valido seppure l’opinione pubblica sarebbe
rimasta comunque sfavorevole alle donne che si separavano
dai mariti: “Lasciare lo sposo è infamante
per le donne e non è loro permesso di ripudiarlo.”(Euripide,
“Medea”, vv.236-237).
Il matrimonio non metteva fine alla vita sedentaria delle
donne.Ad Atene i ginecei non erano chiusi a chiave (tranne
che di notte) né avevano finestre con le grate ma
il costume rigoroso, espresso in formule imperative quali
“una donna deve restare a casa; la strada è
per la donna da nulla”, non ammetteva replica. Erano
gli uomini o gli schiavi,di solito, a recarsi all’agorà
a fare gli acquisti necessari alla vita quotidiana; solo
gli ateniesi poveri permettevano facilmente alle loro donne,
e per necessità, di uscire. Gli ateniesi della classe
media e quelli della ricca disponevano di una vasto gineceo,
spesso di un cortile interno dove le donne potevano prendere
un po’ d’aria al riparo da sguardi indiscreti.
Trovo curioso come ad Atene ci si sforzasse di andare incontro
alle improprie esigenze femminili di libertà; risulta
esistesse una festa riservata alle sole donne sposate, le
Tesmoforie. In realtà la donna non doveva nemmeno
interessarsi a ciò che accadeva fuori delle mura
domestiche; erano cose che riguardavano l’uomo e solo
l’uomo. Non aveva occasione di parlare a lungo col
proprio marito che era quasi sempre fuori e che a quanto
pare non consumava i pasti con la moglie. Quando un ateniese
invitava a casa sua degli amici, sua moglie non compariva
nella sala delle feste,l’androon, se non per sorvegliare
gli schiavi che servivano il pasto.Non accompagnava il marito
quando era invitato a sua volta da un amico. Esclusivamente
durante le feste familiari le donne stavano assieme agli
uomini.Tuttavia era la moglie a regnare nella casa a patto
che ciò compiacesse il suo signore e padrone; per
i suoi schiavi era la despoina. L’insegna dell’autorità,
per la sposa, erano le chiavi che portava con sé;
in particolare quelle del magazzino delle provviste e della
cantina ma la ghiottoneria,la tendenza al bere e la prodigalità
di una donna potevano indurre il marito a toglierle le chiavi.
Da Montaigne, “Essais”,Libro III,cap.V,pp. 88
e 90: In questo saggio mercato gli appettiti non si manifestano
nella loro follia,sono oscuri e più sfumati.Non ci
si sposa per se stessi,checchè se ne dica;ci si sposa
altrettanto e di più per la propria discendenza e
per la famiglia…E’ quindi una specie di incesto
usare per questo legame familiare sacro e venerabile le
cure e le stravaganze della licenza amorosa…Un buon
matrimonio rifiuta la compagnia e le condizioni dell’amore.
I bisogni fisici e sentimentali che l’ateniese non
appagava in casa, poiché vedeva nella moglie solo
la madre dei propri figli e l’organizzatrice della
propria casa; li soddisfaceva fuori,coi giovinetti o le
cortigiane. “Abbiamo le cortigiane per il piacere,
le concubine per le cure quotidiane,le mogli per darci dei
figli legittimi ed essere le custodi fedeli delle nostre
case”. (Pseudo-Demostene, “Contro Neaira”,
122). E ancora, da Esiodo, “Le opere e i giorni”,
vv. 376-377: Abbi un figlio unico (…)E’ così
che la ricchezza cresce nella casa. Solone invece suggeriva
di “avere commercio almeno tre volte al mese”
e solo con la fanciulla epiclere perché era importante
far nascere quanto prima l’erede maschio. Occorre
fare una distinzione fra il V e il IV secolo. La guerra
del Peloponneso, atroce e durata trent’anni; provocò
grandi cambiamenti nei costumi. La terribile peste del 430-429,
nel corso della quale morì Pericle ( e non posso
non citare l’amore che legò questi alla milesia
Aspasia, bella e intelligente, notevolmente colta, che conobbe
quando già sposato ad una propria parente dalla quale
aveva avuto due figli. Pericle ripudiò la moglie
per vivere con Aspasia, pare in pieno accordo, fino alla
morte.I poeti comici attaccarono duramente la donna arrivando
a presentarla come una prostituta. Certamente non ci si
aspettava che Pericle, primo cittadino e quindi teorico
esempio di virtù private; potesse ripudiare un ateniese
per sostituirla con una straniera. Da “Périclès”
di Marie Delcourt, p.77: Nessuno avrebbe trovato scorretto
che Pericle amasse i giovinetti, né che maltrattasse
la prima moglie, ma ci si scandalizzava che egli considerasse
la seconda un essere umano,che vivesse con lei invece di
relegarla nel gineceo,che invitasse a casa sua gli amici
con le loro mogli.Tutto ciò era troppo stupefacente
per essere naturale e Aspasia era troppo brillante per essere
una donna onesta.), fu diretta conseguenza del conflitto
che arrivò a riflettersi negativamente anche sulla
morale pubblica. Molte donne assunsero abitudini più
libere a imitazione delle donne spartiate.”(…)
ci si credeva in dovere di cercare la voluttà nell’idea
che si possedevano i propri beni e la propria vita solo
per un giorno” (Tucidide, 2, 53).Tale disordine provocò
una magistratura speciale (il magistrato era detto gineconomo)
incaricata di sorvegliare il comportamento delle donne e
soprattutto il lusso di queste, di cui già Solone
un tempo si era occupato. (Aristotele, “Politica”,6,
15,1299 a.).Da Posidippo, frammento 11: un figlio lo si
alleva comunque, anche se si è poveri, mentre una
figlia la si espone anche se si è ricchi.
Contesto
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