Mai più e ancora
di Sergej. Pubblicato sul n. 112/dicembre 2003 di Girodivite
Mai più e ancora / Renato Pennisi ; premessa di
Silvana La Spina. - Brescia : Edizioni dell'Obliquo, 2003.
- 66 p., br. - (Ozî ; 46). - ISBN 88- 88845-07-0.
Your mother's son-in-law...
Un piccolo libricino di buona fattura editoriale, edito
dalla bresciana Edizioni dell'Obliquo in 500 esemplari,
120 dei quali con acquaforte di Luciano Pea. Pulizia tipografica
del libro, color verde pisello della copertina. Una brossura
solida, con i fogli fascicolati e tenuti a filo. Il cartoncino
spesso della copertina.
What a little moonlight can do...
Un libro di poesie, con una premessa di alcune pagine di
Silvana La Spina. Le poesie sono di una persona che conosco,
Renato Pennisi.
These foolish things...
Silvana La Spina parla di "grazia", riferita alla
poesia di Renato: "l'estasi del piccolo, del quotidiano,
assume il passo di una cerimonia, passo lento cauto e digradante
verso la perdita". E lo descrive come uno "di
quei rari siciliani che tacciono quando vorrebbero urlare
per le ingiustizie, che hanno pazienza, che sono tenaci,
sensibili e ostinati nell'amicizia, fino al personale tracollo"
(p. 7).
I cried for you...
Le poesie sono divise in tre sezioni: La passione (che reca
una didascalia di Juan R. Jiménz: "Vino, primero,
pura / vestida de inocencia. / Y la amé como un niño"),
I volti a me tutti cari (con dedica: "a C. e a G."),
Da domani (con
dedica: "Ad Anna"). Indizi: Caterina e Giacomo
sono i figli, Anna la moglie di Renato. Jiménez è
Jiménez. Le Note finali servono per precisare e chiarire
al lettore, specie non siciliano, di alcuni luoghi geografici
e riferite a persone (con)segnate nel testo: Fontanarossa,
Piazza Stesicoro, Tardaria (vicino Pedara), il Biviere,
i poeti Fiore Torrisi, Salvo Basso.
Leggiamo.
Summertime...
La vicenda del leggere è sempre un'attività
alquanto strana. E il "genere" condiziona il modo
della lettura. Con la poesia cosiddetta accade più
facilmente che con altri generi - il romanzo, la raccolta
di racconti ecc. - quello che Daniel Pennac prescrive costituisca
il piacere della lettura: la possibilità. Possibilità
di poter leggere "tutto d'un fiato", ma anche
di poter riprendere dopo una interruzione, poter cominciare
dalla fine o da metà del libro, poter lasciare la
lettura. La frammentazione che ha subito la stessa struttura
formale della poesia, nella sua fuga novecentesca dalla
retorica, la sua sottrazione all'offesa dell'interesse (economico,
politico...), ha consegnato al genere la libertà
delle piccole dosi. Noi abbiamo letto "Mai più
e ancora", assaporandone la linea unitaria, e poi saltando
qua e là, rileggendo - che è il piacere più
intimo della lettura -. Quando un testo suggerisce la rilettura,
vuol dire che il testo continua a parlarti, e che senti
il bisogno di reincontrare quel testo, quella voce. "La
vita scende le scale con passi / a dirotto, la pioggia fine
/ e noi sotto l'arco, stretti / è la scrittura che
torna" (p. 13), avverte il poeta.
Segni premonitori della vita che il poeta trascrive, piccoli
accadimenti, brevi
frasi illuminanti. Il poeta novecentesco non può
consegnare all'umanità senso né grandi parole
d'ordine. Ma attraverso la vita quotidiana, il senso di
ciò che si vive, l'incontro, l'emozione che ha un
valore intimo e non può essere svenduta nella declamazione
esibita. Il raccoglimento del poeta nella scrittura è
la voce che difende l'essenziale contro la profusione del
consumo e del moderno e dei suoi non-luoghi televisivi e
marketingheschi. Qui, nella scrittura, il poeta conquista
il suo luogo. "Abbasso le palpebre ma non ho sonno,
/ gli occhi voglio che riposino / e in quel buio affiori,
irraggiungibile, / torni nell'ora di cedere, e non cedo,
/ figura che lenta ti cancelli, / di te non è scomparso
che lo sguardo" (p. 21). Lo sguardo miope del poeta
- il tema del vedere, gli occhi, le palpebre sono tra le
parole chiavi del libro - accarezza del mondo quello che
importa, e proprio per questo le cose tornano dall'indifferenza
a risuonare cariche di emozioni: "per ogni oggetto
esiste una parola" (p. 38, la poesia dedicata "A
Sebastiano Addamo", poeta che per molti di noi è
stato maestro). La consapevolezza della morte, di quel "mai
più" che costituisce il rintocco funebre della
prima parte del titolo del libro, e che "non terminerà
mai la pioggia, / non terminerà mai" (p. 46).
Strange fruit...
C'è stato un tempo in cui i poeti venivano esaltati
e si auto-esaltavano nella retorica della "Poesia".
E' poi venuto il tempo dell'annullamento, i poeti sono stati
spazzati via dall'industria editoriale e si sono vergognati:
di chiamarsi "poeta", e di scrivere persino, di
esistere. Nel raccoglimento che ne è seguito, la
ridefinizione di ruolo e di produzione, i poeti hanno continuato
a persistere nella clandestinità di un mestiere che
non aveva più risvolti (né cariche) socializzati
o socializzanti. La "gratuità" della poesia,
la verità del dono. Il poeta torna a riappropriarsi
della propria identità: "farò il poeta,
correrò per il mondo / rimanendo qui ogni ora / della
mia vita" (p. 52). In un mondo che torna a interrogarsi
sulle questioni dell'indentità - Zygmunt Bauman parla
di "identità liquida" a proposito dei tempi
che viviamo -, affermarsi poeta e (soprattutto) scrivere
poesia assume un aspetto particolare. E' l'aspetto della
resistenza, il nocciolo duro che gli acidi inquinanti della
modernità non riescono a sciogliere. Ciò che
l'individuo oppone al mondo e alla morte, il diritto di
dire: "preferirei di no". L' "ancora"
del libro di Pennisi sta probabilmente qui, l'affermazione
al diritto di vivere e di amare. Di ricordare. "Ho
molto dentro di me da cancellare, / i sacri obblighi, le
devozioni, / il sonno che dall'antistaminico / si scioglie
nei tessuti / anche quando alte / vorrei le palpebre luttuose,
/ e sulla vita punto / le caviglie e cancello / soltando
risparmiando / il mignolo rimasto a metà libro"
(p. 39).
Yesterdays...
E' nella sezione brevissima, ma densa, "I volti a me
tutti cari" che Pennisi compie un distacco anche stilistico
e di tono rispetto al resto della raccolta. E' la parte
migliore del libro. Il tono intimo, teso a cogliere il senso
simbolico delle cose, la voce monologante e assorta che
accomuna in fondo il resto delle poesie di Pennisi alla
(migliore) produzione poetica contemporanea, qui subisce
uno scarto. La voce conquista un interlocutore ben preciso,
e soprattutto conquista il gioco, e l'ironia del gioco.
"Sapete, avere due bimbi due / come voi significa /
avere per casa un solo profumo: / di cacca" (p. 28).
Non è più "il poeta" che parla,
ma il padre poeta che umanizzandosi si rivolge ai propri
figli. All'identità del poeta si sovrappone quella
del padre, e la voce cambia. "Il tempo se ne va, /
ingrigio, / ridente commenta l'amico. / Ma il tempo dove
va? / domanda Caterina." (p. 29). Sono bellissime pagine.
"Con te per mano non ho paura, / con lei a destra,
lui a sinistra, / un imperatore romano / addirittura"
(p. 29). Nel giro di pochissime righe Renato Pennisi compie
il miracolo più vero, l'equilibrio tra ciò
che si ama e il sorriso: "Il muso dispettoso a tu per
tu, / il muso tutto rosso di ragù" (p. 29).
Pennisi narratore di fiabe (il Libro dell'amore profondo,
La prigione di ghiaccio) narra ai propri figli la fiaba
di se stesso, del proprio essere padre ("Il altro tempo
in altro luogo / accadeva che papà vostro..."
p. 27) e nel tentare risposte alle loro domande ("Quando
finisce la morte, papà?..." p. 28) ridefinisce
il proprio
ruolo poetico e la propria voce, il proprio senso ("ciò
che temo è l'inutile attesa. / Inventare scuse /
alle vostre dimenticanze", p. 30).
Ps. Abbiamo letto il libro di Renato Pennisi con in sottofondo
la voce di Billie Holiday. Incontri casuali che si rivelano
alla fine meno casuali del caso. Lo swing blues della grande
Lady elegante dolce straziante, la poesia ferma e
raccolta di Pennisi. Non male.
Contesto
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