William Angus McIlvanney

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William Angus McIlvanney

William Angus McIlvanney nasce il 25 novembre 1936 nella città operaia e mineraria di Kilmarnock, nella Scozia sud-occidentale. In quel contesto sociale, dove i libri suscitavano diffidenza, se non addirittura fastidio, era inevitabile che un giovane con l'ambizione di fare lo scrittore corresse il rischio - sono parole dello stesso McIlvanney - di sentirsi "un'orchidea al Polo Nord". Quel clima di sospetto nei confronti della cultura, tuttavia, gli ha insegnato, anche dopo essere diventato un romanziere famoso, a chiedersi quotidianamente quale debba essere la funzione dello scrivere.
Nel corso di laboriose riflessioni insieme al fratello Hugh (noto giornalista sportivo che, per il suo stile, potremmo definire il Gianni Brera scozzese), McIlvanney ha maturato la convinzione che per essere degni del proprio talento - ammesso che lo si possieda davvero - bisogna dimostrare alla collettività di volerlo esercitare per un fine giusto come, per esempio, conquistare lettori tra le classi meno abbienti. Il suo rapporto con gli studi universitari potrebbe aiutare a comprendere meglio la sua concezione del ruolo dello scrittore. L'università gli ha insegnato a non perdersi nei labirinti della letteratura e a conoscerne le regole e le mistificazioni (tra le letture più significative che l'hanno introdotto ai segreti del "mestiere della scrittura" ci sono Saroyan e Hemingway) ma McIlvanney non ha mai accettato la rigidità degli schemi intellettuali che venivano imposti agli studenti (un concetto, tra l'altro, espresso con chiarezza dallo stesso Laidlaw). Il docente da lui più stimato, il professor Jack Rillie, rifiutava mode e tendenze nel campo della critica e sosteneva che letteratura e società fossero legate indissolubilmente tra di loro. Della cosiddetta cultura ufficiale McIlvanney non ha mai avuto una grande opinione perché gli studiosi di letteratura trattano i libri come oggetti da far circolare in un circuito chiuso. Libri e parole, invece, hanno valore solo quando sono parte integrante della società. Una sua battuta - pronunciata in una conversazione con due docenti dell'università di Aberdeen, Isobel Murray e Bob Tait - illustra efficacemente il suo pensiero in merito: "Se immagino T.S. Eliot intento ad analizzare François Villon, all'improvviso mi pare di vedere un chimico che studia uno sputo catarroso per dare profondità a questo fenomeno." Ciò che lo scrittore non approva dei critici letterari è che, essendo il loro lavoro solitamente legato alla carriera universitaria, devono adattarsi alle "esigenze di mercato" del loro ambiente e quindi, pur di pubblicare e acquisire titoli, si contraddicono a vicenda, elaborano interpretazioni e teorie senza mostrare di esserne realmente convinti - e soprattutto senza rivolgersi mai al pubblico comune. McIlvanney ha detto che avrebbe scelto comunque di fare lo scrittore ma ha anche ammesso che senza il conseguimento della laurea non si sarebbe mai liberato del tipico complesso di inferiorità che affligge la classe operaia quando aspira a misurarsi in attività legate alla cultura. Nel 1975 McIlvanney decide di smettere di insegnare nei licei per dedicarsi all'impegno di romanziere a tempo pieno. Continua tuttavia a tenere corsi di scrittura creativa presso le università di Strathclyde e Aberdeen. Ha insegnato per un anno all'università di Grenoble. Può essere interessante soffermarsi brevemente su alcuni motivi che l'hanno spinto a quella decisione.

Dopo aver pubblicato i primi romanzi, si rende conto di averli scritti in una lingua inglese che si limitava a riprodurre il "sapore" dello scozzese. Far parlare operai e minatori in quel modo gli pare contraddittorio rispetto al suo proposito di raccontare la società e la cultura di quella parte di Scozia che credeva di conoscere bene. Si chiede allora, prima di tutto, se il sostituire radicalmente il lessico inglese con quello scozzese servirebbe a sottolineare più efficacemente la diversità e l'autonomia dell'identità culturale scozzese rispetto a quella inglese. Si chiede anche se sia corretto individuare nel sistema scolastico una delle cause principali della diffusione dell'inglese e della graduale scomparsa dello scozzese. Al tempo in cui insegnava in una regione di minatori, i ragazzi avevano già superato il disorientamento linguistico ed era naturale per loro parlare in inglese con accento scozzese. Nel tentativo di insegnare ai suoi allievi il lessico locale, si rende conto di essere lui, paradossalmente, quello fuori luogo. La sua conclusione è che privare un popolo della sua lingua è il modo più sottile (una forma incruenta di pulizia etnica, si direbbe oggi) per sopprimere la sua identità. Di conseguenza, preso atto che ormai sarebbe troppo tardi recuperare lo scozzese come lingua veicolare (come invece sono riusciti a fare i gallesi grazie a un'energica campagna culturale), McIlvanney decide di rinunciare all'insegnamento per non contribuire anche lui all'inarrestabile declino della lingua scozzese.

Il ruolo pubblico di McIlvanney non è legato solo alla letteratura. Negli ultimi anni è infatti diventato una figura di primo piano nel dibattito politico sull'autonomia della Scozia. Da anni scrive del futuro del Paese sulle pagine di The Scotsman e The Herald, rispettivamente i quotidiani di Edimburgo e Glasgow. Deluso dal governo di Blair, ideologicamente troppo simile a quello di Mrs Thatcher e John Major, McIlvanney ha dichiarato di sentirsi a homeless socialist, un socialista senza tetto, e ha sostenuto che le democrazie occidentali, abbagliate dalla religione del libero mercato, sono abilissime nel proteggere e garantire determinate categorie privilegiate e nello sfruttarne altre. (Questo pensiero è ampiamente presente nei suoi romanzi. Tutti i suoi personaggi si confrontano faticosamente con il proprio senso di confusione provocato da un sistema che, astutamente, smussa le tensioni non in nome di un ideale di giustizia ma allo scopo di creare l'illusione che si viva in una società equa e controllare meglio la volontà degli individui).

McIlvanney ha stabilito uno stimolante rapporto dialettico con i nazionalisti scozzesi la cui strategia si poggia principalmente sul rifiuto, per quanto motivato, delle ingerenze da parte dell'Inghilterra negli affari scozzesi. Da anni McIlvanney predica lo sviluppo di uno stato scozzese non sui principi sostenuti dai nazionalisti bensì sui valori della giustizia sociale e delle radici culturali. Memorabili sono stati i suoi interventi in numerosi comizi (soprattutto quello del 1992, a Edimburgo, davanti a una folla di 25.000 persone) in cui ammoniva che il valore "anagrafico" è un "plusvalore", non un fattore di discriminazione. Nel suo discorso di benvenuto agli scrittori di tutto il mondo in occasione del convegno internazionale del PEN Club tenutosi a Edimburgo nel 1997,

McIlvanney ha dichiarato che la scottishness, l'identità scozzese, è un patrimonio a cui possono accedere tutti i cittadini del mondo, non un diritto che si acquisisce per nascita. Questo principio disinnesca qualsiasi impulso ottusamente nazionalistico e mira alla valorizzazione dei caratteri distintivi alti di una nazione. Proprio per questa sua autorevole interpretazione del concetto di nazionalismo in chiave non etnica, McIlvanney è tenuto nella massima considerazione dai laburisti che in numerose occasioni gli hanno offerto un ruolo di primo piano nello Scottish Labour Party (in particolare il ministro Gordon Brown, Chancelor of the Exchequer) ma, fino a oggi, proprio per la delusione provocatagli dal governo Blair, si è limitato a svolgere un ruolo di consulente. Molti, tuttavia, continuano a ritenere essenziale un suo contributo nell'ambito del ministero della pubblica istruzione o di quello della cultura (se il parlamento eletto nel maggio del 1999 deciderà di istituirlo). Il desiderio di continuare a dialogare con i suoi lettori gli impedisce però di assumere a tempo pieno un ruolo politico che lo assorbirebbe troppo. Poiché il suo prestigio nella storia della letteratura britannica è ormai consolidato (lo dimostra anche il fatto che il cinema ha adattato il racconto Dreaming e i romanzi Gift for Nessus e The Big Man (ed. it. The Big Man) (per quest'ultimo, interpretato da Liam Neeson e Hugh Grant, Ennio Morricone ha composto la colonna sonora), non è detto che McIlvanney voglia estraniarsi dal processo di sviluppo del parlamento scozzese - il primo dopo l'infausto 1707, quando Inghilterra e Scozia decisero, con il famoso "Act of Union", di unificare le corone.

Dopo Remedy Is None (1966) e Docherty (1975), McIlvanney pubblica nel 1978 Laidlaw (ed. it. Laidlaw. Indagine a Glasgow), un romanzo che per comodità è stato definito poliziesco (un'etichetta che a lui non è mai piaciuta). La sua intenzione era di scrivere una storia in cui Glasgow fosse lo scenario ideale per un personaggio tormentato da mille dubbi sia sul lavoro sia nella vita privata. Il fatto che sia un ispettore di polizia non significa che McIlvanney volesse scrivere una detective story. In realtà il protagonista, Jack Laidlaw, con le sue indagini e le sue riflessioni su ingiustizie, ipocrisie, pregiudizi e, soprattutto, sulla "fatica di vivere" della gente di Glasgow, doveva rappresentare un punto di osservazione privilegiato di situazioni in cui il ricorso alla violenza - non solo quella fisica ma anche quella verbale e, ancora di più, i silenzi che sono una forma di violenza subdola e altrettanto devastante - è un segnale drammatico del livello di malessere della società. Laidlaw. Indagine a Glasgow inizia in un'atmosfera alla Frenzy di Hitchcock: il lettore incontra subito l'omicida che corre per il centro di Glasgow. Il giovane non sta solo fuggendo dal luogo del delitto; sta fuggendo prima di tutto da se stesso e dal terrore di accettare la propria omosessualità. Tutte queste informazioni, però, il lettore non le riceve subito: McIlvanney lo sfida a non esprimere nessun giudizio morale prima di avere capito i moventi. Ricorrendo a un montaggio suggestivo, presenta subito dopo Laidlaw, non nel contesto di lavoro bensì nel suo ambiente domestico, alle prese con la crisi del suo rapporto con la moglie Ena. Laidlaw vive in uno stato di perenne tensione morale, sempre in guerra contro l'ipocrisia del mondo intero, e si impone di non giudicare mai niente e nessuno in base a facili classificazioni e discriminazioni. Infatti mette in pratica questa nobile regola anche quando Bud Lawson si presenta alla Centrale per denunciare la scomparsa della figlia. Laidlaw capisce immediatamente che i principi elementari di quest'uomo si basano sull'uso della violenza ma, pur non provando nessuna simpatia per lui, gli concede la sua sincera comprensione.

Presentando questo personaggio, McIlvanney trova il pretesto per fare una digressione e parlare della realtà sociale di Glasgow. Lawson, accennando al quartiere chiamato Gorbals, prova un curioso senso di nostalgia dei tempi in cui c'era una grande povertà ma, al contrario di oggi, gli uomini possedevano ancora una loro dignità e la determinazione di lottare per tutelare i propri diritti. Nonostante una natura "primitiva" che non gli consente di spiegarsi in modo articolato, Lawson avverte che la società attuale gli appare estranea: tutto sembra migliore ma in realtà la gente ha perso quell'energia che un tempo la spingeva a credere nei propri ideali perché non sa più quale sia il nemico da cui difendersi. Il senso di confusione di Lawson è lo stesso che prova la maggior parte dei personaggi creati da McIlvanney al quale piace stabilire un legame invisibile tra i suoi protagonisti facendoli riapparire in altri romanzi. Succede con il gangster Matt Mason, che ritroviamo in The Big Man del 1985 (ed. it. The Big Man); con l'informatore della polizia Wee Eck, che viene avvelenato in The Papers of Tony Veitch del 1983 (ed. it. Le carte di Tony Veitch); con Ena e Jan, rispettivamente la moglie e l'amante di Laidlaw; con il collega Brian Harkness. Grazie a questo accorgimento narrativo, ogni storia individuale diventa un frammento di un quadro più vasto della città di Glasgow e contribuisce a costruire l'idea di una concatenazione di fatti, persone, luoghi che creano una suggestiva coralità narrativa. Laidlaw è consapevole che nel degrado sociale della grande città scozzese il ruolo istituzionale del poliziotto è inadeguato. E' per questo motivo che, provocando reazioni di fastidio nel giovane collega Harkness, dispensa tesori della sua filosofia basata essenzialmente sulla pratica del dubbio - l'esatto contrario del suo "nemico", il commissario Milligan, sorretto da certezze inattaccabili.

Secondo Laidlaw, ogni omicidio è un messaggio in codice a cui bisogna dare un senso. L'arresto e la condanna di un delinquente non è una vittoria della legge ma un segno del fallimento della società. Risolto un caso, giudicato un uomo, il male non viene sradicato ma soltanto isolato lasciando troppe ombre. L'unica risposta possibile è di provare pietà nei confronti delle miserie umane. Harkness non riesce a legare con Laidlaw, gli è difficile accettare le sue solenni riflessioni sulla teoria del poliziotto che diventa "viaggiatore" e il suo sarcasmo sui metodi di Milligan. Harkness viene da una diversa scuola di pensiero, quella di Milligan, appunto, che crede nella lotta alla criminalità in termini di "mors tua vita mea". Solo quando, casualmente, gli accade di osservare Laidlaw alla stazione mentre parla con un informatore, Harkness si accorge che anche lui ha i suoi momenti di stanchezza e comincia finalmente a stimarlo e a interpretare nel modo giusto il suo carattere ombroso. Per attenersi al principio di non dividere mai gli uomini in categorie che hanno il solo scopo di legittimare l'ipocrisia delle persone cosiddette rispettabili, Laidlaw arriva al punto di non pensare che John Rhodes, l'uomo al quale chiede aiuto per trovare l'assassino di Jennifer, sia un gangster. Harkness assume l'atteggiamento opposto - soprattutto quando manifesta il suo rifiuto dell'omosessualità di Rayburn, l'uomo che vorrebbe far fuggire Tommy da Glasgow. Laidlaw gli risponde tenendogli una lezione di tolleranza e compassione e gli dice, provocatoriamente, che Marlowe, il mitico detective, era omosessuale ma nessuno si è mai sognato di condannarlo per questo. E quando Rayburn si suicida, dopo aver tentato inutilmente di risparmiare a Tommy quelle sofferenze che lui aveva invece patito, Laidlaw si chiede, turbato: "Noi, che ci riteniamo normali, siamo in grado di amare con la stessa intensità?" Rayburn è l'unico personaggio a non nascondersi dietro le apparenze. Matt Mason, il gangster che vuole eliminare Tommy per non avere noie, è ossessionato dall'idea di perdere benessere e rispettabilità conquistati con i suoi traffici illegali; la madre di Tommy nasconde il suo insanabile rancore verso il marito dietro la sua gelida aria mite; Bud Lawson nasconde dietro la sua fede protestante una natura morbosa; Sadie Lawson, a sua volta, nasconde dietro la sua aria sottomessa il disprezzo per il marito; Tommy, terrorizzato dai giudizi della gente, cerca di inventarsi una vita eterosessuale; Jennifer, nell'ansia di fuggire dalle insidie del padre, finge di accettare le sue regole per assumere, fuori di casa, una personalità diversa.

Nel finale concitato e drammatico, Laidlaw costringe Lawson ad ammettere la morbosa attrazione per la figlia. L'uomo crolla sotto il peso della propria vergogna e scarica la sua aggressività spappolandosi la mano con un pugno tremendo contro il muro. Il lettore, a sorpresa, comprende che il vero motivo dei dissapori tra padre e figlia non era affatto la fede cattolica di Tommy. Quello che in superficie sembrava un pregiudizio non era altro che un alibi. McIlvanney affida a Jennifer, Rayburn e Tommy un destino tragico ma sono proprio questi personaggi a uscire "vincitori" perché sono gli unici a esprimere apertamente il loro malessere. Ma degli altri - che continueranno a condurre una vita apparentemente normale - che cosa sarà? Che cosa accadrà a Bud e Sadie? Agli zii di Jennifer? Lennie? Wee Eck? Al pugile suonato? L'ansia di comprendere la disperazione umana porta Laidlaw a volersi prendere cura anche di quelle persone che sono state ferite ma non hanno ancora manifestato la loro sofferenza e dato sfogo al loro rancore. Questo tema verrà approfondito da McIlvanney nella raccolta di racconti, Walking Wounded (ed. it. Feriti vaganti), che offre immagini commoventi di gente che continua a vivere come se niente la sfiorasse ma che porta dentro di sé traumi di cui nessuno saprà mai nulla e che provocheranno comportamenti incomprensibili agli occhi degli altri. Laidlaw è consapevole di tutti questi drammi silenziosi perché il suo carattere è "geneticamente" predisposto a una sensibilità superiore dato che anche lui è un walking wounded. Quando Harkness gli chiede quanti figli ha, risponde di averne tre, nati dal matrimonio con Ena, ma in realtà dovrebbe dire che sono quattro. Racconta allora la storia della ragazza con cui, a vent'anni, aveva concepito un figlio ma che poi gli aveva impedito di riconoscerlo. Non abbiamo la certezza che questa amara esperienza sia vera o se Laidlaw l'abbia inventata per rendere più convincente le sue riflessioni; ma se accettiamo l'ipotesi che sia veramente accaduta, allora possiamo pensare che, forse, questa ferita invisibile, provocata dal senso di colpa di non essere mai riuscito a sapere nulla di quella creatura, permetta a Laidlaw di comprendere meglio il trauma di Tommy Bryson a cui è stato negato, da una madre perbenista, il diritto di conoscere il proprio padre. Mentre l'opinione pubblica e la giustizia si preparano a giudicare e a condannare il giovane, Laidlaw gli offre prontamente la sua pietà - forse per illudersi di lenire il dolore di quella sua ferita invisibile. Occuparsi di Tommy è un modo per riparare al senso di vuoto lasciatogli da quel figlio che lui avrebbe voluto tenere e nel finale, spogliatosi degli abiti di poliziotto, indossa per qualche istante quelli di padre putativo di un giovane che, lasciando esplodere la sua angoscia, ha fatalmente distrutto la sua vita e quella di altre persone che, come lui, non trovavano risposte alla loro "fatica di vivere".

(Scheda a cura di Carmine Mezzacappa)

Contesto: la Gran Bretagna dopo il 1945

 


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