Non di solo occidente

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Non di solo occidente


Cosa è "occidente" e cosa non lo è. Nell'uso del termine "oc cidente" c'è qualcosa di falso: il termine deriva da una colloca zione eurocentrica, rafforzata quando, dopo la guerra 1939-45, l'europa fu divisa in una parte occidentale e una orientale. E' chiaro che, in termini assoluti, "occidente" non avrebbe molto senso (la terra è pur sempre rotonda); risalendo all'eurocentri smo dei fatti culturali e delle ideologie dominanti la cosa co mincia a spiegarsi meglio. Negli ultimi cinque secoli si sono sviluppate in alcune regioni dell'europa una serie di fenomeni culturali e sociali che hanno influito in maniera determinante altre e vaste aree del mondo. Non è stata una cultura omogenea né esattamente unitaria; ma ha svolto nel mondo una funzione egemo ne, nel bene e nel male. Per una serie di cause - sviluppo tecno logico ed economico particolari - queste regioni hanno acquistato una leadership, che concretamente ha portato alla costituzione di imperi coloniali. In questo periodo il fatto nuovo che si eviden zia proprio nel 1917 è la sconfitta di un modello di dominio e il profilarsi all'orizzonte di altri modelli (quello sovietico e quello nordamericano) che nel giro di pochi decenni prenderanno il posto, nella leadership mondiale, dei vecchi imperi europei. Ciò non sarà senza scosse all'interno del "vecchio continente", e il periodo in esame, quello tra le due guerre, è proprio il periodo in cui si decidono le sorti anche di questo. Non a caso è un periodo così denso di contraddizioni e di tendenze distruttive: la nuova guerra europea infatti porterà alla fine definitiva di quella egemonia.
Ma, per cercare di rispondere alla domanda iniziale, su cosa è occidente (e, dunque, cosa non lo è), vediamo di procedere con alcune indicazioni di massima. Innanzitutto "occidente" è ciò che viene a elaborarsi culturalmente e socialmente in alcune regioni europee, ciò che a queste aree appartiene alla cultura dominante. Paris, London, Berlin certo. Ma anche le aree americane: quella del nord con una potenza come quella degli Stati Uniti d'America; e quelle centrali e meridionali con gli stati a lingua castiglia na e portoghese. Ma mentre gli Stati Uniti d'America riescono a acquisire un ruolo di potenza anche politica, e dunque a rientra re nell'ambito della cultura "occidentale" appieno, le altre due aree, rimanendo subordinate, deviano dall'appartenenza al ruolo. Per essere "occidentali" occorre infatti un altro requisito oltre a quello dell'appartenenza geografica: occorre far parte di nazioni egemoni. All'interno dell'"occidente" vi sono le divisioni tra paesi dominanti e paesi periferici o provinciali.
Può esser d'aiuto un termine d'uso della moda, del modo di ve stire delle popolazioni. "Vestire all'occidentale" è un termine estremamente indicativo. Usare fogge di questo tipo significa es sere o guardare all'"occidente", in maniera evidente, esibita. Vestono "all'occidentale" i figli delle classi dirigenti dei pae si non europei che però guardano all'"occidente" con desiderio di emulazione. Non vestono "all'occidentale" chi rifiuta l'"occidente" per vari motivi.
Nel periodo tra le due guerre si gettano i semi per i tentativi di superamento delle dipendenze dal dominio "occidentale" che si verificherà soprattutto nel dopoguerra. Non è da dire solo del sorgere di movimenti culturali "antioccidentali" nelle aree "non-occidentali". Esiste un altro fenomeno di cui occorre dire, ed è il desiderio di altro che sorge all'interno delle aree culturali "occidentali". Si tratta di un desiderio che nella maggior parte dei casi si esaurisce con l'esotismo; ma diventa nei casi più radicali, abbandono dell'"occidente" nel tentativo di ritro vare nell'altro una spontaneità, un modo d'essere alternativo. E' il fenomeno (romanticista) del primitivismo. Così Gaugen che abbandona l'europa; e l'attenzione del circolo di Gertrude Stein o di Tzara per il primitivo africano o asiatico; mentre in altri è una tendenza universalistica, il desiderio di conglobare in sé la cultura umana e non solo una cultura particolare: così l'atten zione di Brecht per il teatro giapponese, e in diverso modo le spinte mistico-orientalizzanti di Hesse ecc. Dall'interno dell'occidente sono spinte che vorrebbero andar oltre l'occidente portatore di mali e contraddizioni insanabili: occorre allora distinguere in questi fenomeni ciò che è alienazione e desi- derio di fuga dalla realtà, dal desiderio di miglioramento e di lotta per una alternativa.
Mentre, all'interno delle aree non-occidentali, guardare all'"occidente" può avere diversi significati, a seconda delle condizioni sociali e politiche del momento: può essere il frutto della dipendenza culturale di un paese dall'imperialismo "straniero", fenomeno di asservimento: richiamarsi "alla" tradizione in questo contesto ha significato progressista; ma può anche essere il bisogno di modernizzazione, di eliminare soprusi e sfruttamenti rappresentate dalle vecchie classi al potere ancora a sistemi feudali di vita: essere "occidentale" e anti- tradizione in questo contesto ha significato opposto, non di asservimento ma di lotta per il miglioramento. E' quest'ultimo il caso della Russia e della Cina, nel 1917 e nel 1919 rispettivamente.
I distinguo fin qui fatti dovrebbero far comprendere come non è possibile un discorso di "aree geografiche" quando si parla di fattori culturali, di etichette che sfruttino indicazioni geografiche. L'uso di queste etichette finisce per essere fuorviante e di prestarsi a storture ideologiche notevoli.
Nelle aree culturali che riescono a mantenere una propria au tonomia culturale (quelle asiatiche cinese e giapponese soprat tutto, ma senza dimenticare aree specifiche come quella vietnami ta ecc.; quella araba e più vastamente musulmana) rispetto alla dominanza egemonica occidentale, tutte debbono fare i conti con le prospettive della mondializzazione della cultura e l'interna zionalizzazione dei problemi.
La reazione rispetto al problema della tradizione e rispetto al "problema occidente" varia a seconda delle condizioni specifiche della varie regioni. Così in Cina è il problema della necessità della modernizzazione a essere posto con maggior forza, e dunque l'ingerenza delle potenze occidentali e giapponese viene culturalmente combattuta con l'avvicinamento alle posizioni fondatamente anticapitalistiche e di derivazione marxista prospettate dalla rivoluzione russa. In Giappone invece la modernizzazione industriale è un passo già compiuto, ma la lotta tra i gruppi nazionali-industriali spinge verso posizioni sempre più nazionalistiche e militariste.
Discorso a parte merita quello della nascita e diffusione dei primi sentimenti indipendentistici delle popolazioni africane (négritude) e all'interno delle comunità urbane afro-nordamericane (Harlem renaissance). Nel primo caso siamo ancora a un processo germinale, nel secondo a un processo interno al mondo eterogeneo e complesso del nordamerica: per entrambi le manifestazioni più grosse saranno nel dopoguerra.



[1997]


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