Giuseppe Antonio Borgese

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Giuseppe Antonio Borgese


Nacque a Polizzi-Generosa [Palermo] nel 1882, formatosi a Firenze dove frequentò la facoltà di lettere riuscendo a convincere il padre che invece lo voleva avvocato, Giuseppe Antonio Borgese fu giovanissimo direttore della rivista «Hermes» (1904-1906), dopo aver partecipato alla fallita rivista «Medusa» nel 1902. Si perfezionò in Germania, dove conobbe tra l'altro Hauptmann e la musica tedesca, e che gli permise di scrivere articoli e saggi per una cultura italiana al lora poco aperta all'esterno. Fu giornalista: nel 1909 capitò per caso a Messina - era diretto a Palermo ma sbagliò nave -, il giorno successivo al terremoto di cui diede annuncio per primo tramite un articolo per il «Mattino» di Napoli. Professore di letteratura tedesca e di estetica in italia e dal 1931 negli Sta ti Uniti dove si considerò in esilio politico, soprattutto dopo la pubblicazione di Goliath (1937) severa requisitoria contro il fascismo. Tornò in Italia negli ultimi anni di vita. Morì a Fiesole [Firenze] nel 1952.


Esordì come saggista con una "Storia della critica romantica in Italia" (1905) che si affiancò all'azione teorica di Croce contro l'ancòra prevalente cultura positivistica, in nome di un rinnovato idealismo che riprendesse la tradizione desanctiana. Borgese si staccò da Croce - intorno al 1910 i primi screzi tra i due - per elaborare una sua teoria estetica culminata nella "Poetica dell'unità" (1934). Attento soprattutto agli aspetti psicologici e ideologici presenti nelle opere, ebbe molto peso nella formazione del gusto del primo novecento: si ricordino il suo "Gabriele D'Annunzio" (1909) pubblicato dagli editori Ricciardi, i tre volumi di "La vita e il libro" (1910-13) editi da Bocca e poi da Zanichelli (nel 1923), la sua individuazione del crepuscolarismo, i giudizi sull'ultimo Pascoli ecc.

Fu autore di romanzi in cui analizza, con elaborato cerebralismo, complesse situazioni psicologiche e morali: dopo lo scolastico esordio con il racconto Re Cuono pubblicato nel 1902 su «Medusa», ancora dannunziano e bozzettistico, la sua narrativa si mostra matura con I vivi e i morti (1923), e Il pellegrino appassionato (1933). Spicca tra essi Rubè (1921), drammatico ritratto di una generazione colpita dalla guerra e di un intellettuale senza ideali. Il romanzo fu definito da un altro grande scrittore siciliano, *Leonardo Sciascia, sessant'anni dopo, "tra i più importanti della narrativa italiana di questo secolo (e peggio per chi ancora non l'ha capito)" [Leonardo Sciascia, "Per un ritratto dello scrittore da giovane", Palermo : Sellerio, 1985].

Protagonista del romanzo è Filippo Rubè, giovane avvocato siciliano a Roma per trovare lavoro. Finisce per arruolarsi volontario nella prima guerra mondiale. L'esperienza della guerra lo trasforma, da interventista a dubbioso e tormentato uomo che della realtà post-bellica non sa cogliere che precarietà e confusione. Nemmeno la bella e delicata moglie può dargli la felicità, il matrimonio fallisce per l'incapacità di Rubè a avere franchi rapporti umani. La sua situazione economica da precaria diventa disperata. Solo una vincita al gioco gli apre uno spiraglio. Rubè, simbolo dei suoi tempi, non riesce a dare ordine alla sua vita, ogni sua decisione produce effetti opposti. Parte per Paris ma si ferma sul lago Maggiore, incontra un'amica con cui ha una relazione che si conclude con la morte della donna a causa di un incidente. Egli non è colpevole di quanto accaduto ma viene processato. Assoluzione e scarcerazione non bastano a ridargli fiducia. Tormentato e inquieto cerca invano di riallacciare rapporti affettivi con un amico, con la madre, con la moglie. La sua vita si conclude tragicamente, con un banale incidente.

Borgese tenta una rappresentazione dei punti nodali della contemporanea storia italica: l'interventismo, la guerra, il confuso e drammatico dopoguerra. Non c'è l'esaltato soggettivismo di "Un uomo finito" di Papini; né il diarismo dolente di Jahier ("Con me e con gli alpini") o di Lussu ("Un anno sull'altopiano") ecc. E' la prima dolente contestazione delle mitologie dannunziane, di cui Borgese mette in luce l'arido estetismo, le infatuazioni per la vita inimitabile, la retorica del bel gesto che avevano suggestionato gli intellettuali piccolo-borghesi (di cui Filippo Rubè fa parte). E' anche grazie a Borgese che gli scrittori successivi faticheranno meno a staccarsi dall'influenza estetista e velleitaria del dannunzianesimo. Dà un apporto notevole alla configurazione di un esemplare che nella tipologia di questi anni si incontra sempre più frequentemente: portato a analizzare se stesso, sgretolato nelle certezze e nella volontà, straziato dalla solitudine, incapace di fedi e di miti, l'uomo di Borgese è vittima del caso e dell'assurdo di vivere, "indifferente" e "straniero" (come si dirà) alla società, oppresso da una esistenziale angoscia. Siamo nel filone di Svevo, Moravia, Montale.

Di sé lasciò scritta questa 'speranza': «Aspiro, per quando sia morto, a una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda per un sentimento abietto o malvagio». Estraneo al provin cialismo sia della vita culturale siciliana che di quella italiana, maturato in «quella concezione serenamente pessimistica della vita, senza la quale non si è che avventurieri», come scrisse in una lettera alla sorella nel 1912, Borgese fu un esempio importante di intellettuale né servo né cialtrone.


Bibliografia: Giuseppe Antonio Borgese

narrativa e poesia:

Rubè (1921)

I vivi e i morti (1923)

Il pellegrino appassionato (1933)

saggistica:

Storia della critica romantica in Italia (1905)

Gabriele D'Annunzio (1909)

La vita e il libro (1910-13)

Poetica dell'unità (1934)

Goliath (1937)



© Antenati - 1994-1997


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