Torquato Tasso: "Aminta"

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Torquato Tasso: "Aminta"


Più originale, rispetto al giovanile "Rinaldo", è Aminta (1573), favola pastorale in cinque atti, in settenari e endecasillabi. Aminta è un giovane pastore che si innamora della bellissima ninfa Silvia. Silvia, seguace di Diana e dedita unicamente alla caccia, disprezza il suo amore. L'amico Tirsi e l'esperta ninfa Dafne tentano invano di aiutare Aminta. Quando si sparge la voce che Silvia è morta divorata dai lupi, Aminta disperato si getta da una rupe. Silvia, che in realtà è viva, è a tal punto commossa dal gesto dell'innamorato pastore che comprende di amarlo. Aminta, incolume perché trattenuto nella caduta da una siepe di rovi, ottiene infine la ninfa orgogliosa. L'opera rientra nel genere del teatro pastorale, allora molto vivo a Ferrara. Al di là del gusto cortigiano, che nella idillica finzione pastorale trasferisce e purifica i propri riti mondani, e che cela dietro le figure della favola persone reali dell'am biente estense, Tasso vi esprime una propria visione dell'amore. Un amore colto nel sotterraneo iniziare, nell'irresistibile pro rompere, nel trapassare da gioco a passione, da malizia a sincerità, inclinando ora verso una voluttà edonistica, ora nella no stalgia, e nello struggimento inguaribile. Motivi fondamentali di quest'opera sono il desiderio di impossibili evasioni liberato rie, e per una convivenza sociale governata dalla legge del pia cere anziché da quella dell'onore. Linguisticamente l'opera è piena di assonanze, ripetizioni e corrispondenze foniche, echi che producono effetti di complessa e suadente musicalità.



[1997]


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