Francisco de Quevedo

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Francisco de Quevedo

Nato a Madrid nel 1580. Il padre, Pedro Gómez era segretario dell'imperatrice Maria d'Austria e, più tardi, della regina Anna d'Austria, moglie di Filippo II. La madre dama d'onore di Anna d'Austria. Francisco visse a lungo a corte, vicino ai personaggi di maggior spicco del suo tempo, di cui cercò la protezione. Svolse funzioni politiche e diplomatiche, sentendo sempre l'attrazione del potere. Nel 1596-1600 studiò cultura classica greco-latina, lingue moderne e filosofia all'Università di Alcalá-de- Henares.
Nel 1601, quando il duca di Lerma trasferì la sede della corte, lo seguì a Valladolid: qui studiò teologia fino al 1604. Risale a questo periodo il carteggio con l'umanista fiammingo Joest Lips, che ebbe su di lui un'influenza non trascurabile. Inizia a occuparsi di poesia: nel 1603 è presentato nell'antologia di Pe dro de Espinosa.
Nel 1606 la corte tornò a Madrid, e Quevedo vi rimase per alcuni anni, dedicandosi alla poesia.
Diventato amico del duca di Osuna, vicerè di Sicilia e poi di Napoli, nel 1611 lo accompagnò in Italia imboscato come consigliere. Si inserì nella vita politica italiana del tempo, allora piuttosto torbida, protagonista di eventi non sempre chiari. Nel 1616 tornò in patria, ottenne dal duca di Lerma la nomina di Osuna a vicerè di Napoli. Ebbe incarichi diplomatici in Sicilia e presso la repubblica di Venezia. Fu coinvolto (o organizzò) in una congiura tesa, pare, ad annettere Venezia alla Spagna. La caduta dei suoi amici e protettori segnarono una svolta nella sua carriera. Fu condannato all'esilio, cioè a chiudersi nei suoi possedimenti alla Torre di Juan Abad.
Nel 1621, dopo la morte di Filippo III, il conte duca di Olivares prese il controllo del potere. Quevedo tornò a ricevere i favori ufficiali. Una poesia satirica sulla gestione del potere, trovata sotto il tovagliolo di Filippo IV e attribuita a Quevedo, provocò nel 1639 una nuova condanna. Dal carcere di San Marcos Quevedo uscì solo alla caduta del conte duca di Olivares. Malato, scelse il ritiro nelle sue terre. Morì a Villanueva-de- los-Infantes, nel 1645.

Quevedo fu saggista politico e morale, poeta di alte qualità liriche, scrittore satirico degno di essere accostato ai maggiori della storia letteraria europea. Contemporaneo di Velázquez, di Calderón e di Góngora, fu uno dei rappresentanti più tipici della sua epoca. Il suo pensiero è determinato dal clima di disfatta creatosi nel suo paese, dalla crisi dell'umanesimo, il tentativo di conciliare essenza cristiana e tendenza stoica in un quadro di spietata, amara, paradossale critica di costume.
Dominante in lui l'intellettualismo barocchista, che gli deriva da una condizione umana profondamente vissuta, sofferta, non tollerata. Scrisse molto, ma senza mai pensare, specie in poesia, all'opera chiusa, compiuta.
Una delle caratteristiche di Quevedo fu quella di rendere operanti tutta una serie di influenze letterarie. Plutarco è alla base della Prima parte della vita di Marco Bruto (Primera parte de la vida de Marco Bruto, 1631-1644): è un discorso politico a giustificazione della monarchia. Si richiama a Seneca e a Virgilio Malvezzi di cui tradusse il "Romolo" nel 1631, nella saggistica teologico-filosofica: Politica di Dio e governo di Cristo (Polí tica de Dios y gobierno de Cristo, 1626), Virtù militante contro le quattro pesti del mondo e i quattro fantasmi della vita (Virtud militante contra las cuatro pestes del mundo y los cuatro fantasmas de la vida, 1634-1635), e il Trattato della divina provvidenza (Tratado de la providencia divina, 1641).

Luciano diede a Quevedo l'impostazione fantastico-immaginaria che sta alla base di una delle sue più importanti opere, i Sogni e discorsi di verità scopritrici di abusi, vizi e inganni in tutte le professioni e stati (Sueñ os y discursos de verdades descubridoras de abusos, vicios y engañ os en todos los oficios y estados, 1627). I "Sogni" è una disamina della società che gli sta attorno, un viaggio nell'inferno quotidiano che sembra avere punti di contatto con le pitture di Hieronymus Bosch.
Quevedo raggiunge straordinaria freschezza ironica nel romanzo picaresco Storia della vita del pitocco chiamato Pablos, esempio di vagabondi e specchio d'imbroglioni (Historia de la vida del Buscón, llamado Don Pablos, exemplo de vagabundos y espejo de tacañ os, 1626). Protagonista de "Il pitocco", come si indica quest'opera per brevità, è Pablos. Figlio di un barbiere ladro e di una fattucchiera, a Segovia, frequenta la scuola tra l'ostilità dei compagni che gli rinfacciano le malefatte dei genitori. Si fa amico e servitore di don Diego, figlio del cavaliere don Alonzo Coronel de Zuñ iga. Assieme frequentano anche l'università a Alcalá, dove Pablos è vittima degli scherzi più beffardi. Dopo tante persecuzioni diventa maestro di beffe, di truffe e scelleratezze. Intanto il padre viene giustiziato, la madre imprigionata per diversi delitti. Pablos è costretto a separarsi dall'amico Diego. Càpita a Madrid, dove entra a far parte di una banda di picari che vive di espedienti. Gli è ora compagno l''hidalgo' don Toribio. Per due volte sul punto di sposarsi, altrettante volte imprigionato, fa l'elemosiniere, entra in una compagnia di comici, passa da Tolosa a Sevilla da dove si imbarca per l'America alla ricerca di miglior fortuna.
Sintesi stilistica dei due testi maggiori è un altro capolavoro, L'ora di tutti e la fortuna con senno (la hora de todos y la fortuna con seso, 1635-6), in cui la simbologia è energica proposta morale.
Se in prosa Quevedo fu uno sperimentatore di estremo rigore strutturale, in poesia riuscì ad altissimi livelli, oltre i limiti dell'imperante concettismo. Maggiore fama gli dettero i componimenti più leggeri: letrillas, romances, jácaras. Ma scrisse an che epistole, satire, sonetti amorosi e morali (in cui è la grazia acida di Martialis). Quevedo ha sempre robustezza espressiva e visionaria. L'insieme della sua opera poetica fu pubblicata dopo la sua morte in due volumi. Il Parnaso spagnolo, monte diviso in due vette, con le nove muse castigliane (El Parnaso españ ol, monte en dos cumbres dividido, con las nueve musas castellanas, 1648) e Le tre muse ultime castigliane, seconda cima del Parnaso spagnolo (Las tres musas ú ltimas castellanas, segunda cumbre del Parnaso españ ol, 1670).



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