4. Per una cultura "aristocratica"

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Tra erudizione e nuova scienza: i Lincei Riminesi di Giovanni Bianchi (1745)
di Antonio Montanari

4. Per una cultura "aristocratica"

L'atteggiamento di Bianchi, che abbiamo fin qui esaminato, richiama un passo del celebre Discours preliminaire dell'Encyclopédie di d'Alembert: "Non c'è dotto che non ponga volentieri al centro di tutte le scienze quella della quale egli stesso si occupa, press'a poco come i primi uomini si ponevano al centro del mondo, convinti che l'universo fosse fatto per loro" 69. Su questa linea si situa la prima legge lincea che, attribuendo all'Accademia planchiana la qualifica di "aristocratica", corrisponde al "carattere esclusivista" del rifondatore ed alla "tendenza, del resto già evidente nella scelta dei "suoi" Lincei e nelle vicende del sodalizio, a contenere nella sua cerchia illustre, ma assai ristretta" 70 ogni collaborazione. L'intrinseca suggestione della figura del dotto ha stretta correlazione, in Planco, con questa sua psicologia "esclusivista". In tale contesto, il termine "aristocratico" finisce per essere tout court sinonimo di "dogmatico", riducendo l'orizzonte scientifico a quello personale del rifondatore.
Un'inedita ed incompleta carta planchiana, intitolata Discorso sopra il problema dell'Accademia 71, pone il quesito "Se un giovane desideroso della virtù in mancanza di maestro debba, o non debba intraprendere da se qualche letterario esercizio". Bianchi espone soltanto la "parte negativa" della risposta, lasciandoci con la sospensione di un "ma" che potrebbe indicare, oltre al desiderio di trovare argomentazioni per il lato positivo, pure le difficoltà incontrate nel giustificarle. E ciò porterebbe ad un forte contrasto rispetto all'esaltazione che Planco fa, nell'autobiografia latina, della propria esperienza giovanile di autodidatta, ribellatosi all'insegnamento retorico ed antiquato impartito nel collegio dei Loioliti frequentato a Rimini 72. La necessità di un "maestro" proclamata da Bianchi in questi fogli, ci rimanda alla lunga esperienza di docente da lui svolta nella sua scuola privata riminese, iniziata nel 1720 e ripresa dopo il soggiorno senese: egli vi teneva corsi di Filosofia, Medicina 73, Geometria e Lingua greca. Una scuola che Giovanni Paolo Giovenardi definisce "pubblica Università" 74. Ad essa si affiancava "un Museo non meno di cose naturali, che di Medaglie, d'Idoli, d'Iscrizioni, e d'altre cose antiche copioso" 75.
Nel 1751, anno in cui è proposto ma non nominato 76 "Lettore pubblico di Logica", Planco conta più di venticinque scolari fra cui ci sono "alcuni cospicui di ordine religioso, ed altri forestieri delle circonvicine città, che sono venuti a studiare sotto di lui" 77. Anche a Siena Bianchi aveva realizzato un'iniziativa simile 78, seguito addirittura da un allievo riminese, il già ricordato Francesco Maria Pasini.

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