Le soste inquiete di un vagabondo geniale
A proposito di Lorenzo Da Ponte, di Riccardo Insolia
È vero. Non si può neanche iniziare a parlare
di Lorenzo Da Ponte cioè del librettista italiano
de Le nozze di Figaro e poi del Don Giovanni e di Così
fan tutte senza ammettere subito che la sua bella quota
dimmortalità è in fondo dovuta allincontro
viennese con il grandissimo Wolfgang Amadeus Mozart. Eppure
proprio per questo abbiamo il dovere dessere più
curiosi nei suoi confronti, di andare oltre il fatto, a tutti
noto, chegli ebbe la ventura di partecipare alla nascita
di tre straordinari capolavori della cultura europea, di chiederci
insomma: chi era veramente Lorenzo Da Ponte? da dove veniva?
cosa fece dopo lirripetibile evento della collaborazione
mozartiana? che ci mise di suo?
Cercare le risposte a questi interrogativi può condurci
ad intraprendere un viaggio affascinante attraverso lEuropa
di quegli anni da Venezia a Vienna a Londra
per giungere alla fine addirittura a New York.
Può essere faticoso, ma, ve lo assicuro, ne vale la
pena, perché Da Ponte fu uno di quei personaggi che
lItalia del XVIII secolo esportava nel mondo: uno della
stirpe dei Cagliostro e dei Casanova, geniali e libertini,
avventurieri e poeti, capaci di procurarsi tanto di fama e
amori, quanto di risentimenti e veleni. Sempre al centro dellattenzione,
attivissimi ed inquieti, audaci e ingenui, condannati alla
fuga e al peregrinare senza pace da un luogo allaltro,
ma, alla fine, anche in grado di congegnare la propria vita
come un grandioso spettacolo teatrale e come ricerca, pur
fra mille infingimenti, della libertà.
Nasce dunque il nostro Lorenzo nel 1749 a Ceneda, lattuale
Vittorio Veneto, e non col nome Lorenzo, né col cognome
Da Ponte: si chiamava in verità Emmanuel Conegliano,
di famiglia ebraica e viveva col padre Geremia e i fratelli
Baruch e Anania nel piccolo ghetto appena una decina
di famiglie di Ceneda.
Lorenzo appare sulla scena, primogenito quattordicenne già
precoce per intelligenza vivissima e per fascino personale,
mentre Emmanuel scompare per sempre, nel corso di una solenne
cerimonia che ha luogo nellanno 1763: una cerimonia
di conversione della sua intera famiglia al Cattolicesimo.
Spettacolare dovette essere tutto lallestimento di quella
manifestazione, con tiri di cannone, concerti di campane,
unintera orchestra appositamente convocata, fuochi dartificio
e maestosa processione. Loccasione fu enfatizzata anche
con la stampa di un opuscolo: Distinta narrazione del solenne
Battesimo conferito nella Cattedrale di Ceneda ad un padre,
e tre figli del ghetto di detta città nella giornata
del 29 agosto 1763.
Con il battesimo, Emmanuel Conegliano diventa Lorenzo Da Ponte,
assumendo il nome e il cognome del vescovo Lorenzo Da Ponte,
che aveva preparato la famiglia alla conversione e che nera
ormai il protettore e il garante.
A questo punto il passaggio obbligato e ambito, per un giovane
che mostrava segni evidenti di talento, prontezza di spirito
e memoria formidabile, era quello dello studio nel seminario
di Ceneda. Così Lorenzo entra nel seminario, da subito
indisciplinato e geniale, abilissimo a scrivere versi forse
privi di particolare profondità, ma perfettamente idonei
a riprodurre mimeticamente lo stile dei poeti che il giovane
legge e impara a memoria con sorprendente facilità.
Ordinato prete nel 1773, decide di trasferirsi subito a Venezia
come istitutore presso una famiglia dellaristocrazia.
Venezia rappresenta finalmente la libertà, la possibilità
di far valere il proprio talento, di inseguire le proprie
ambizioni, ma anche di esplorare con voluttà indefessa
luniverso femminile. Inizia così una fase dominata
dalla passione per le donne e per il gioco dazzardo.
Il fratello Girolamo lo ritrae «in possesso di una amorosa
passione che lo acceca onninamente» e afferma che Lorenzo
«ha solo questo trastullo, di goder la notte a
teatri, al redotto, e l giorno starsi dormendo».
Ovviamente perde il posto di lavoro. Vi è già
in quei primi furori veneziani un elemento che sarà
costante nella vita di Lorenzo: accanto alla sfrenatezza anche
lincapacità di calcolo, la generosità,
la voglia di essere se stesso. Molti anni dopo avrebbe scritto,
ritengo con sincerità: «Io credo che il mio cuore
sia fatto di materiale diverso da quello degli altri uomini...Io
sono come un soldato che, spronato dal desiderio di gloria,
si precipita contro la bocca del cannone, come un amante che
si getta tra le braccia della donna che lo tormenta».
Costretto ad abbandonare Venezia, lo ritroviamo a Treviso
dove insegna latino e poi retorica presso il seminario. Ma
a Treviso Lorenzo trova modo di proporre in discussione temi
allora proibiti che derivavano direttamente da Rousseau. Dovendo
presentare, nella sua qualità di maestro di retorica,
il tema annuale per laccademia del 1776, sceglie il
seguente pericolosissimo oggetto di trattazione: «Se
gli uomini per le leggi e per le distribuzioni della civil
società abbiano il sentiero della felicità umana
appianato o ristretto...». Davanti al vescovo, alle
autorità, agli ecclesiastici ed alle famiglie più
importanti della città, le tesi proposte e discusse
da Lorenzo dovettero suonare di natura estremamente eversiva.
Il risultato fu un processo con relativa condanna ed espulsione
dallinsegnamento. Negli atti della commissione che istruì
il caso si legge che negli scritti di Da Ponte «si ravvisa
il raro talento dun uomo che scrive bene, ma che pensa
male». In particolare in uno dei componimenti si trattava
di un uomo che preferiva ritornare a vivere fra i selvaggi
dellAmerica, dove «nessuno vi è, che inventi
leggi con condizioni immutabili, che tenga la terra sotto
il proprio dominio. A tutti sono dati un giusto diritto e
un giusto potere».
Vedremo più avanti che dellAmerica dovremo tornare
a parlare, proprio a proposito del nostro poeta che vi trascorrerà
gli ultimi trentanni di una lunga e avventurosa esistenza.
Intanto è di nuovo a Venezia, riprende il lavoro di
istitutore privato, questa volta presso un nobile, Giorgio
Pisani che aveva posizioni rinnovatrici e di opposizione nei
confronti delloligarchia cittadina. Qui politica e sesso
sintrecciano in modo inestricabile. Fatto sta che Pisani
viene arrestato per le sue idee e Da Ponte, nel 1779, per
una storia di donne, viene «bandito da Venezia, e Dogado,
e da tutte le altre città, terre e luoghi del Serenissimo
Dominio, terrestri o marittimi, navigli armati e disarmati,
per 15 anni continui». Fugge a Gorizia, in un territorio
dipendente da Vienna, dove nel 1773 aveva trovato rifugio
per alcuni mesi anche Casanova, poi è a Dresda e, finalmente,
nel 1781, a Vienna.
Si apre, a questo punto, quasi miracolosamente, il periodo
più fruttuoso per il nostro irrequieto poeta. A Vienna
il teatro è una istituzione importantissima, quello
italiano è ancora al centro dellattenzione. Lo
stesso imperatore, Giuseppe II, ha competenze musicali non
comuni (suona la viola, il violoncello e il cembalo) e si
occupa personalmente e puntigliosamente del teatro di corte.
Nella capitale operano già, con tutta la vivacità
e la forza della loro giovinezza, Mozart e Salieri. Nel 1781
hanno rispettivamente venticinque e trentuno anni. Da Ponte
ne ha trentadue e riesce ad inserirsi subito con successo
negli ambienti viennesi.
Già nel 1783 Mozart scrive al padre: «Qui come
Poeta abbiamo un certo abate Da Ponte. Ora è terribilmente
occupato con le correzioni in teatro e deve scrivere per obligo
un libretto completamente nuovo per Salieri: prima di due
mesi non sarà pronto. Mi ha promesso di scrivermene
uno nuovo; ma chissà se potrà o vorrà!
mantenere la parola. Lei sa bene quanto i signori italiani
siano in apparenza cortesi! Basta, li conosciamo. Se è
daccordo con Salieri, non avrò mai un libretto
finché campo. Ed invece io ho un gran desiderio di
esibirmi anche in unopera italiana».
Lorenzo Da Ponte sfrutta a fondo questa che è la grande
occasione della sua vita: nominato poeta dei teatri imperiali,
fra il 1784 e il 1790 scrive per Salieri Il ricco di un giorno
e Axur re di Ormus, per Martín y Soler Il burbero di
buon cuore (da Goldoni) e Una cosa rara (da Calderón
de la Barca). Per Mozart, e contrariamente alle prime aspettative
del grande Wolfgang, scrive Le nozze di Figaro (da Beaumarchais
nel 1786) e poi Don Giovanni (1787) e Così fan tutte
(1790).
Certo se non fosse stato Mozart a musicare i libretti di Da
Ponte, non staremmo qui a parlarne, ma il poeta italiano fu
in grado di corrispondere alla esigenze del musicista in modo
straordinario e quasi in uno stato di grazia. Verità
drammatica, trasparenza, senso del teatro, comprensione delle
esigenze musicali dei cantanti e del compositore sono dati
di fatto che depongono tutti a favore del lavoro di Da Ponte
librettista. Egli dimostrò di aver compreso perfettamente
un elemento fondamentale di quella complessa operazione creativa
a più mani che è lopera lirica: il libretto
deve essere uno scheletro capace di ricevere compiutezza artistica
e verità psicologica dalla musica, la quale a sua volta
proprio da quelle parole, da quei metri, da quelle situazioni
teatrali inevitabilmente deve prendere spunto e vita.
«Al di là di ciò che vi è di unico
e irripetibile nella solidale affinità con Mozart
scrive Luigi Lunari [...] il Da Ponte che traspare
dai libretti fu un serio e colto uomo di teatro». Mi
sembra un giudizio che rende pienamente giustizia al nostro
inquieto letterato.
Ma il periodo miracolosamente costellato da successi era destinato
a finire. Con lEuropa scossa da drammatiche tensioni
rivoluzionarie, dopo la morte di Giuseppe II nel 1790, anche
il clima viennese diventa sfavorevole. Il nuovo sovrano Leopoldo
II non ha per la musica le stesse attenzioni del suo predecessore
e Casanova, sempre ben informato comprende subito che lopera
buffa italiana rischia di essere «dal nuovo monarca
congedata. Mi dispiacerebbe per labate Da Ponte, quantunque
egli mi abbia dimenticato». È destituito dallincarico
presso il teatro di corte chegli ormai considerava come
la sua casa, abbandona Vienna per Trieste, dove conosce Anna
Celestina Grahl (la giovane inglese Nancy), con la quale decide
di lasciare limpero austro ungarico per recarsi a Parigi.
Da Ponte abbandona Trieste in condizioni già economicamente
difficili, ma scrive nelle Memorie «col
coraggio o, meglio dire, colla temerità dun giovinastro
di ventanni». In Boemia incontra lamico
Giacomo Casanova che lo convince a dirigersi verso Londra,
evitando Parigi, pericolosissima nel clima post-rivoluzionario.
Lincontro fra i due servì a rinsaldare un legame
di vero e autentico affetto. Il vecchio Casanova, più
esperto e anziano aveva nei confronti di Lorenzo un atteggiamento
quasi paterno, egli vedeva in lui una sorta di continuatore
delle sue avventure. Nel castello di Dux, ospite del conte
Waldstein, Casanova si dedicava con ostinazione disperata
alla stesura delle memorie: «costringendomi a scrivere
dieci o dodici pagine al giorno, ho impedito allangoscia
più nera di uccidermi o di farmi perdere la ragione».
Proprio da quella visita nacque in Da Ponte lidea di
iniziare un proprio libro di ricordi.
Giunto a Londra ha la sensazione di essere dimenticato da
tutti, anche dalle antiche conoscenze viennesi: «Credo
che laria di Londra sia della natura delle acque del
Lete», scrive proprio a Casanova. Eppure dopo le prime
difficoltà riesce ad ottenere spazi e lavoro, ad insediarsi
come poeta del Kings Theater grazie alla collaborazione
con William Taylor, impresario e azionista di maggioranza
del teatro. Ecco ancora un periodo di floridezza economica
anche se i libretti ai quali lavora non hanno più il
livello artistico di quelli viennesi e sembrano ormai di routine.
Nel 1798 può permettersi di progettare e realizzare
un viaggio in Italia, e di rivedere la sua Ceneda, dalla quale
era assente dal 1773.
Rifacendosi proprio al passo delle Memorie in cui Da Ponte
racconta del suo ritorno a Ceneda, nellottobre del 1798,
Alphonse de Lamartine, nel suo Cours familier de Littérature
dice ammirato: «Nous ne pouvons résister au désir
de traduire ce delicieux retour de Lorenzo dAponte dans
sa petite ville de l'Etat de Venise». E in effetti in
queste pagine prive della vanagloria, delle polemiche e dei
pettegolezzi che occupano tanta parte delle Memorie si rivela
uno scrittore capace di una sincerità autentica e di
verità poetica: «Quando i miei piedi toccarono
il terreno ovebbi la cuna, ed io spirai le prime aure
di quel cielo che mi nudrì e mi die vita per
tanti anni, mi prese un tremore per tutte le membra, e mi
corse per il sangue un tale spirito di gratitudine e di venerazione
che rimasi del tutto immobile per molto tempo, e non so quanto
forse sarei rimasto così, se udita non avessi alle
finestre una voce, che mi passò al cor dolcemente e
che mi parea di conoscere. Io era smontato dalla carrozza
di posta, a qualche distanza per non dar sospetto, con lo
strepito delle ruote, del mio arrivo».
Ma il viaggio italiano, che doveva anche essere un viaggio
di affari allo scopo di ingaggiare i cantanti per il teatro
londinese, si prolungò eccessivamente, mentre a Londra
si attendevano notizie e la stagione teatrale stava per iniziare.
Il ritardo ebbe effetti devastanti sulla situazione finanziaria
di Taylor e la conseguenza fu il licenziamento di Da Ponte.
Ebbe inizio allora una serie di fallimenti delle attività
di vario genere (da quelle tipografiche a quelle librarie)
che Da Ponte aveva intrapreso a Londra. Questo periodo confuso
e difficile, durante il quale egli fu anche varie volte arrestato
per debiti, si concluse nel 1805 una vera e propria fuga dai
creditori verso lAmerica.
A New York, con la sua famiglia, il poeta riprende uninstancabile
attività di compravendita di libri, di giornalista,
traduttore, editore, insegnante e impresario teatrale. In
un ambiente che era culturalmente il più lontano possibile
da Venezia, Vienna, Londra, dove ancora mancavano buone orchestre
e non cera traccia di tradizione musicale, con un entusiasmo
tanto appassionato quanto velleitario, riesce ancora una volta
a ricostruirsi un ruolo e una missione: questa volta quello
di divulgatore e di difensore della cultura letteraria e musicale
italiana. Insegna al Columbia College, pubblica le Memorie.
Nel 1826 gli riesce di far rappresentare il Don Giovanni con
la compagnia di Manuel García.
Nel 1831, muore lunica vera donna della sua vita, ladorata
Nancy. Per il vecchio poeta è un colpo durissimo. «Il
presunto libertino scrive Aleramo Lanapoppi nella sua
attendibile e documentata biografia di Da Ponte si
era dimostrato marito affettuoso e assolutamente fedele, e
aveva trovato nella bella inglesina e nella sua
famiglia quel punto di riferimento costante di cui aveva assolutamente
bisogno».
Ma già un anno dopo, nel 1832, a ottantatré
anni, trova la forza di promuovere una sottoscrizione per
realizzare una stagione teatrale italiana. In «un paese
di mercadanti che fanno commercio di tutto, persino del divertimento»,
riesce a raccogliere fra New York e Philadelphia ben 6.000
dollari. «La carta delle sottoscrizioni esclamò
orgogliosamente è più lunga della lista
di Don Giovanni».
Nel 1833 si fa promotore di unaltra raccolta di fondi:
quella per la costruzione di un teatro italiano. Ma, man mano
che la costruzione del teatro procedeva, lui si sentiva sempre
più emarginato, a causa di una serie di polemiche alle
quali, come sempre, non sapeva rinunciare. Limpresa
venne effettivamente realizzata in tempi brevissimi: il teatro
fu inaugurato nel novembre del 1833 con La gazza ladra di
Rossini e il pubblico rimase abbagliato per il lusso e la
finezza delle decorazioni.
Bramoso di affari, ambizioso e generoso, inquieto e velleitario
continuò a combattere (e a polemizzare e a inguaiarsi)
con enorme energia vitale fino alla fine. Morì nel
1838 e una grandissima folla seguì il suo funerale
nella cattedrale cattolica di San Patrizio.
Aveva attraversato situazioni storiche drammatiche e assolutamente
eterogenee, passando dalle corti dei sovrani illuminati alla
prima democrazia americana, aveva scritto più di trenta
libretti dopera, e, oltre alle Memorie, opuscoli e versi
doccasione in gran quantità. Avuto modo di conoscere
Gozzi e Metastasio e Foscolo, Casanova, Mozart, Salieri, Maroncelli.
Era stato capace di riempire di mille affanni e di mille attività
la sua lunga esistenza terrena.
Quanto a quella post mortem, sarebbero bastati i cinque anni
di collaborazione con Mozart per renderla lunghissima.
*Per non appesantire il testo ho scelto di non inserire note,
ad eccezione di questa, necessaria per precisare che le citazioni
presenti in questo scritto sono tutte tratte da due fondamentali
volumi di riferimento: Lorenzo Da Ponte, Tre libretti per
Mozart, a cura di Paolo Lecaldano con una introduzione di
Luigi Lunari, Milano, Rizzoli, 1990 e Aleramo Lanapoppi, Lorenzo
Da Ponte. Realtà e leggenda nella vita del librettista
di Mozart, Venezia, Marsilio, 1992.
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