Diodata Saluzzo Roero

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Diodata Saluzzo Roero


La torinese Diodata Saluzzo Roero (1775\1840) che coltivò la "poesia delle rovine", una poesia che rappresenta paesaggi grandiosi e malinconici, disseminati di rovine monumentali: un tipo di produzione che ebbe migliore espressione nelle parti migliori del romanzo-visione-saggio de "Le notti romane al sepolcro degli Scipioni" (1792-1804) di Alessandro Verri. Il suo gusto per le "rovine" e la scelta di argomenti prevalentemente medievali riscossero molta ammirazioni tra i contemporanei della Salluzzo. La sua lirica intitolata Le rovine fu considerata da *Di Breme un modello di poesia romanticista. Lei ha lasciato una raccolta di Versi (1796, in edizione accresciuta nel 1816), di Poesie postume (1843), e vari poemetti di ispirazione ossianica, oltre a otto Racconti (Novelle, 1830) in prosa, commedie, tragedie storiche (Erminia e Tullia, 1817) e un ambizioso romanzo in versi, Ipazia ovvero delle filosofie (1827 e 1830). Ebbene, la Saluzzo, che proveniva da una famiglia nobile, era una arcadista (il suo nome di arcade era Glaucilla Eurotea), e ciò indica certe connessioni esistenti tra questo gusto sentimentale e il classicismo, e una matrice fortemente connotata dal punto di vista ideologico e di classe di questa produzione: ciò che differenzia in fondo la produzione romanticista da questa produzione.



[1997]


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