L'Epopea di Gilgamesh

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L'Epopea di Gilgamesh

Il 3 dicembre 1872 a London, durante una assemblea della Società archeologica biblica, a cui assisteva anche il primo ministro britannico Gladstone, fu comunicata la sensazionale (per i tempi e la cultura occidentale di allora) notizia del rinvenimento, tra le migliaia di tavolette d'argilla portate alla luce dagli archeologi provenienti dalla Mesopotamia, del racconto caldeo sul diluvio universale. Ne era scopritore George Smith, un ex incisore della zecca di stato inglese e collaboratore del British Museum, nel corso di un lavoro di riordino di testi assiri di contenuto mitologico.
Il racconto sul diluvio sumero (poi ripreso dalle civiltà successive della regione) è contenuto nell'XI tavola dell'Epopea di Gilgamesh. Con questa epopea siamo davanti a uno dei testi-basi dell'umanità. Il testo fu diviso dagli antichi scribi in 12 tavole o canti, scritti in stile ritmico, per un totale presunto di circa 3500 versi; attraverso i frammenti di varia estensione neo-assiri, neo-babilonesi, antico-babilonesi e ittiti (da Hattusas, circa 1500 [-]) è possibile ricostruirne poco più di 1/3. Narra le gesta dell'antichissimo re di Uruk, Gilgamesh. Secondo alcuni studiosi che danno realtà storica a questo personaggio, sarebbe vissuto attorno al 2800 (-). Secondo una tradizione babilonese, autore dell'"Epopea" sarebbe lo scriba Sinleqi-unnini. Anche su quest'altro dato non possiamo dare nulla con certezza né con probabilità. Tra le tavolette trovate nel 1988 nella città di Sippar, durante uno scavo condotto dagli studiosi dell'Università di Baghdad, è stata trovata (tra le migliaia di altri importantissimi documenti e testi), la seconda Tavola dell'"Epopea", trascritta da uno scriba di nome Sillaja, che nel colophon affermava di essere proprio discendente di Sinleqi-unnini. Cfr. Il boccone di Gilgamesh / Giovanni Pettinato, in: Il sole 24 ore, 31 gennaio 1993, n.30, p.23.

Dopo un prologo in cui si elogia la città di Uruk, sita nella Mesopotamia meridionale, le sue ciclopiche mura di difesa fatte costruire da Gilgamesh, si narra la nascita di questo essere straordinario, per 2/3 dio e per 1/3 uomo. La sua forza fa sì che nessuno lo possa contrastare; invece di essere un pastore diventa un assillo per i cittadini di Uruk che si lamentano presso gli dèi. L'assemblea divina decide di creare un altro essere straordinario, Enkiddu, in modo da contrastare il re di Uruk. Gilgamesh è l'uomo civilizzato; Enkiddu è l'uomo primordiale, bruca l'erba insieme alle gazzelle, sazia la sete bevendo come i buoi, soddisfa le sue esigenze sessuali con le bestie selvatiche. Dal loro incontro nascerà una salda amicizia. Enkiddu vive nella steppa selvaggia, deve essere civilizzato: viene così fatto incontrare con una prostituta, Shamhat. La donna, insegnando a Enkiddu come fare l'amore, lo fa abbandonare dalle fiere che non lo riconoscono più come uno di loro.
"Shambat denudò il suo seno, aprì le sue gambe ed egli penetrò in essa. | Ella non lo respinse, lo abbracciò fortemente, | aprì le sue vesti e egli giacque su di lei. | Ella donò a lui, l'uomo primitivo, l'arte della donna, | ed egli saziò con lei le sue brame amorose. | Per sei giorni e sette notti Enkiddu giacque con Shambat e la possedette. | Dopo essersi saziato del suo fascino, | volse lo sguardo al suo bestiame: | le gazzelle guardano Enkiddu e fuggono, | gli animali della steppa si tengono lontani da lui. | Enkiddu era diverso, una volta che il suo corpo era stato | purificato: | le sue gambe, che tenevano il passo delle bestie, erano diventate | rigide. | Enkiddu non aveva più forze [...]. | Egli però aveva ottenuto l'intelligenza; il suo sapere era divenuto vasto. | Egli desistette e si accovacciò ai piedi della prostituta. | La prostituta lo guarda attentamente, | e ciò che gli diceva la prostituta egli andava ascoltando attentamente".
Enkiddu si mette in viaggio verso Uruk. Gilgamesh era stato preavvertito dell'arrivo di Enkiddu da due sogni: la nuova creatura era rappresentata prima come il firmamento di Anu, poi come un'ascia di guerra che si abbatteva sul re di Uruk: egli cercava nei due sogni di sollevarli ma non ci riusciva, finché , riconoscendo in essi un essere umano, non lo abbracciava e ne diventava amico. La divina Ninsun, madre di Gilgamesh, spiega i sogni al figlio. Enkiddu arriva davvero. I due eroi lottano tra di loro. Enkiddu prevale, ma mentre Gilgamesh è piegato, gli riconosce la sua superiorità, re per nascita divina. I due si abbracciano, amici. Gilgamesh presenta Enkidu alla madre Ninsun, perché lo riconosca come figlio: Ninsun deve rifiutare, perché Enkidu è una semplice creatura umana. Alle lacrime del figlio che si dispera per questa situazione, lei risponde che esiste una possibilità remota per Enkiddu di diventare uguale a Gilgamesh. Egli deve uccidere il mostro Khubaba, e mangiare il dio ucciso per impadronirsi dei poteri divini che lo avrebbero reso uguale al divino Gilgamesh. Insieme i due compiono gesti sovrumani: dopo l'uccisione del divino mostro Khubaba messo a guardia della foresta dei cedri, l'uccisione del Toro Celeste mandato sulla terra dall'inferocita dea dell'amore Ishtar che si era vista rifiutare da Gilgamesh. L'assemblea divina interviene di nuovo: i due hanno violato l'ordine universale uccidendo il Toro Celeste e soprattutto Khubaba, e in particolare tentando, da parte di un mortale, di diventare divino. Si decide di condannare Enkiddu, l'essere non divino che aveva oltraggiato Ishtar lanciandole contro la coscia del Toro ucciso. Enkiddu si ammala, giace sul letto 12 giorni, le forze si affievoliscono, muore. Della morte dell'amico Gilgamesh non sa capacitarsi. Veglia il cadavere sperando che una qualche forza lo risvegli, finché non vede uscire dalle sue narici i vermi. Gilgamesh si pone per la prima volta direttamente il problema della morte.
A questo punto dell'epopea si ha una modifica: prima era il racconto delle gesta eroiche; ora Gilgamesh è tutto proteso alla ricerca dell'immortalità. Intraprende un lunghissimo viaggio per raggiungere l'unico uomo che possa rispondere al suo sconforto. Si tratta di Utanapishtim, l'eroe del diluvio, suo antenato.
Il viaggio di Gilgamesh è insidioso, la prima tappa è la montagna Mashu i cui guardiani sono gli uomini scorpione, esseri semidivini che proteggono l'entrata e l'uscita della via che percorre il dio Sole all'alba e al tramonto. A loro Gilgamesh chiede su come potrà raggiungere Utanapishtim. Essi, che hanno riconosciuto i 2/3 di divinità di Gilgamesh acconsentono a che attraversi le viscere della montagna dove "per dodici doppie ore densa è l'oscurità, non vi è alcuna luce". All'uscita, Gilgamesh si ritrova in un giardino paradisiaco, dove tutte le specie di alberi sono pietre preziose. E' il giardino del dio Sole, dove soggiorna Siduri, la divina taverniera. A Gilgamesh che gli chiede come raggiungere Utanapishtim, la dea risponde che solo Shamash, il dio del sole, può attraversare il mare: il luogo dove abita Utanapishtim è circondato da acque di morte. Il consiglio della taverniera è di rinunciare alla ricerca:
"Gilgamesh, dove stai andando? | La vita che tu cerchi, tu non la troverai. | Quando gli dèi crearono l'umanità, | essi assegnarono la morte per l'umanità, | tennero la vita nelle loro mani. | Così , Gilgamesh, riempi il tuo stomaco, | giorno e notte canta e danza, | che i tuoi vestiti siano puliti, | che la tua testa sia lavata, lavati con acqua, | gioisci del bambino che tiene stretta la tua mano, | possa tua moglie godere del tuo petto".
L'unico uomo che riesca a attraversare quel mare è il traghettatore Urshanabi. Gilgamesh ormai stanco ed emanciato, si rivolge a lui. Urshanabi lo prende sulla sua barca e lo porta da Utanapishtim. E' uno degli incontri più commoventi dell'epopea: Utanapishtim sa che il desiderio di Gilgamesh è irrealizzabile, giacché tutti gli uomini sono destinati alla morte, ma Gilgamesh insiste. Alla domanda su come Utanapishtim sia diventato dio, questo risponde narrando l'episodio del diluvio (voluto dagli dei per punire gli uomini), e di come alla fine il dio della saggezza Enki suggerì a Enlil di elevare Utanapishtim e sua moglie al rango di dei. Per Gilgamesh sarebbe impossibile far radunare tutti gli dei per decidere sulla sua immortalità; Utanapishtim sottopone allora Gilgamesh alla prova del sonno. Il re di Uruk deve stare sveglio per 6 giorni e 7 notti. Ma Gilgamesh è stanco per tutte le prove che ha dovuto affrontare: si sdraia a terra, si addormenta. Gilgamesh fallisce la prova determinante. Utanapishtim prima di mandarlo indietro, invita Urshanabi a portarlo al lavatoio per farlo diventare bianco come la neve, lo fa rivestire di vesti regali affinché non torni nel suo regno come un vagabondo. La moglie di Utanapishtim ha pietà di Gilgamesh, e invita il marito a rivelargli un segreto. Esiste una pianta in fondo al mare che, mangiata, può far tornare giovani. Il nome della pianta infatti è "Un uomo vecchio si trasforma in uomo nella sua piena virilità".
Mentre Gilgamesh e Urshanabi sono in viaggio di ritorno, durante una pausa, Gilgamesh si tuffa in un pozzo per rinfrescarsi. Un serpente annusata la fragranza della pianta si avvicina silenziosamente e la mangia, perdendo immediatamente la sua vecchia pelle: "Gilgamesh in quel giorno, sedette e pianse, | le lacrime scorrevano sulle sue guance".
Per il re di Uruk la delusione è cocente, si rivolge a Rrshanabi con parole commoventi:
"O Urshanabi, per che cosa si sono affaticate le mie braccia? | Per quale scopo è scorso il sangue nelle mie vene? | Non sono stato capace di ottenere niente di buono per me stesso".
L'epopea si chiude con l'inno alla città di Uruk. Ma già nell'antichità fu aggiunta una XII tavola, in cui lo scriba fa evocare da Gilgamesh il suo amico Enkiddu morto, e quando gli dei consentono al suo temporaneo ritorno sulla terra, in un colloquio molto toccante Enkiddu rivela la triste sorte degli uomini nell'aldilà:
"Il mio corpo che tu potevi toccare, e del quale il tuo cuore gioiva, | il mio corpo è mangiato dai vermi come un vecchio vestito. | Il mio corpo che tu potevi toccare, e del quale il tuo cuore gioiva, | è come una crepa del terreno, piena di polvere".
L'epopea di Gilgamesh è forse la più alta opera poetica proveniente dalla regione mesopotamica, la più affine al sentimento moderno: l'amicizia, il dolore, la morte, il pessimismo, la ricerca dell'immortalità ne sono i temi. La mitologia esprime le segrete e perenni inquietudini umane.

Contesto: la letteratura babilonese

 

 


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