Vietare e tacere, tacere e vietare…

L’introduzione dello psicoreato nei sistemi democratici

di Alberto Giovanni Biuso - venerdì 26 gennaio 2007 - 6560 letture

Va diffondendosi come una furia del vietare, del proibire, del tacere, in queste nostre società orgogliosamente democratiche e miseramente autoritarie. Come la percezione di una fragilità così grande da rendere necessario un sempre più analitico e pedante elenco non solo di ciò che può essere fatto o no ma anche di quanto può essere detto o taciuto.

Già nel dicembre del 2005 rivolgevo su queste pagine una critica argomentata (spero!) all’assurdità del controllo giudiziario della storiografia. Ora sembra che nonostante l’opposizione di centinaia di storici di ogni tendenza e contro ogni buon senso democratico, si voglia introdurre anche in Italia il reato di opinione riguardante la vicenda dell’ebraismo europeo durante la Seconda guerra mondiale. Lo psicoreato immaginato da quella grande mente politica e visionaria che fu George Orwell diventa quindi realtà e tassello dopo tassello il totalitarismo cupo e demagogico di 1984 va compiendosi. Perché davvero «chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato» (Mondadori, 1998, pag. 260). E tra storiografia e lotta politico-ideologica non c’è più separazione alcuna. Tutto deve contribuire a creare un mondo uniforme dove ogni minimo atteggiamento di critica verso l’Ideale Supremo della Bontà Universale deve essere stroncato con punizioni esemplari.

I vertici del Potere mostrano tutto il loro zelo in quest’opera di devastazione della libertà di pensiero: «antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele». Il Presidente di uno Stato si fa così portavoce dell’ideologia sionista nella sua forma più trasparente. Israele ha sempre ragione: ha ragione nel reclamare la Terra dei Padri; ha ragione nel perseguitare i palestinesi cacciandoli dalle loro case, vite, lavoro; ha ragione nel rivendicare a sé solo il possesso dell’arma atomica nell’area del Vicino Oriente; ha ragione nel rappresentare gli interessi statunitensi, ha ragione nell’edificare muri; ha ragione nel praticare l’apartheid; ha ragione nella teoria e pratica razzista che lo ispirano. E per chi formula qualche critica è pronta la più infame delle accuse: antisemita, negazionista.

Di fronte a tanta disperata e violenta sfiducia nel valore storiografico, scientifico e critico delle proprie opinioni –perché solo una tale sfiducia può indurre a incarcerare chi la pensa diversamente invece che confrontarsi con lui tramite argomenti razionali e prove empiriche, tanto più se le sue tesi vengono ritenute (e sullo sterminio lo sono) palesemente assurde-, ricordo la splendida posizione di un grande ebreo, Baruch Spinoza, il quale nel suo Tractatus theologico-politicus (Amsterdam, 1670) sostiene che parte essenziale della sicurezza di uno Stato è la libertà di espressione garantita a tutti; infatti, non potendo le autorità reprimere il pensiero ma solo la sua pubblica manifestazione, ogni controllo condurrebbe all’ipocrisia: la gente penserebbe una cosa e ne direbbe un’altra.

Senza saperlo, è questo che si favorisce minacciando di galera chi non parla e scrive come il potere costituito desidera. Oggi sulla Shoà, domani –a poco a poco- su tutto il resto.

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Vietare e tacere, tacere e vietare…
27 gennaio 2007, di : Alcon

D’accordo con lei sull’idea che la storiografia non debba diventare terreno di disputa giudiziaria. Anche perché gli storici stessi non sono giudici che distribuiscono sentenze (assolto/colpevole), ma studiosi che, con mezzi tante volte ridotti, cercano di comprendere i fatti del passato. Assurda, quindi e certamente totalitaria questa idea, almeno nel suo principio ispiratore. Resta tuttavia delicata la questione dell’uso politico della storia. In Italia abbiamo avuto l’esempio degenere di Renzo De Felice, che ha eretto una gigantesca biografia di Mussolini "dittatore illuminato", rimuovendo di fatto la conventio ad excludendum che impediva al Msi di accedere al governo (e infatti nel giro di pochi anni il suo leader è diventato ministro degli Esteri). E ancora più delicata è la questione Shoah: anche perché appare indiscutibile che negli ultimi anni, come ha sottolineato giustamente il Presidente della Repubblica, l’antisionismo di matrice islamista abbia inequivocabilmente recuperato l’intero repertorio di stereotipi antisemiti che furono del nazi-fascismo. Basta ricordare come in tanti paesi arabi, nemici di Israele, nelle scuole venga negata l’esistenza dei campi di concentramento nazisti, o vadano a ruba vecchi libelli della Germania hitleriana che accreditavano l’autenticità dei Protocolli dei Savi di Sion. Senza contare il fatto che esiste una continuità politica e storica tra i movimenti nazi-fascisti e il fondamentalismo che incendia il Medio Oriente. Mussolini nel 1937 ricevette la Spada dell’Islam e arabi e italiani percorsero un lungo tragitto in comune negli anni prima e durante la guerra con l’obiettivo di sovvertire l’egemonia franco-inglese nel Mediterraneo. E non è tutto: Adolf Hitler nel suo testamento politico sottolineava come l’Islam e l’Europa erano mondi destinati ad incontrarsi, avendo in comune alcuni valori e nemici, come "l’ateismo marxista e capitalista e l’azione del giudeo sfruttatore" (tratto da Stefano Fabei, "La politica maghrebina del Terzo Reich"). Sbagliato quindi vietare, ma obbligatorio vigilare: l’antisionismo rischia di diventare inequivocabilmente un antisemitismo travestito.
Vietare e tacere, tacere e vietare…
28 gennaio 2007, di : Giofilo

D’accordo pienamente con ciò che scrive Biuso, mi sento anche di aggiungere che una cosa:

La formula del tipo antisionismo=antisemitismo è errata ma, come ha ricordato Alcon, fattualmente è una realtà per colpa di certi gruppi nazi-fascisti che diventano ogni giorno sempre più forti (senza per questo farne un pericolo imminente). Io mi sono chiesto perchè risulti così facile questo accostamento. Il motivo, secondo me, è che esso si gioca, ancora, tutto nella biopolitica. Cioè: equiparando antisionismo ed antisemitismo, non si fa altro che restare imbrigliati nella dialettica discriminatoria, non si fa altro che utilizzare categorie razziste. Se il controllo del passato si compie con il controllo delle menti di chi è presente, lo si sta facendo, sempre e comunque, sottacendo e ribadendo (anche inconsciamente) la sostanziale "differenza" del popolo ebraico, una differenza di razza. Questo atteggiamento avrà un "effetto boumerang" sui perbenisti del presente, essi cercano di controllare il passato controllando il presente, ma il futuro rischia di sfuggirgli clamorosamente e tragicamente di mano.

Spero di non essere stato eccessivamente astratto. In sintesi, posso dire che l’errore di un ragionamento come quello esplicitato da Napolitano sta (oltre ai motivi scritti da Biuso) nell’utilizzare categorie abusate che non fanno altro che dare importanza ai già troppo forti gruppi neo-nazi-fascisti.

Giofilo

    Biopolitica
    29 gennaio 2007, di : Alberto Giovanni Biuso

    Caro Giovanni, la ringrazio del commento all’articolo, che introduce nella discussione un punto secondo me decisivo e che costituisce il "cuore oscuro" di tutta la questione: la convinzione millenaria del popolo ebraico di essere la comunità eletta da Jahweh e quindi razzialmente superiore a ogni altra.

    Lei ha detto proprio bene: finché sarà questo il basso continuo della vicenda, la musica non potrà che essere stonata. Per questo nel Novecento e ancor oggi il sionismo rappresenta una delle più profonde scaturigini dell’antisemitismo. Si dimentica spesso, poi, e con una leggerezza storiograficamente sconcertante e pericolosa, che il germe del nazionalsocialismo fu posto nel 1919 a Versailles con i Trattati di pace tracotanti e vendicativi verso la Germania. La storia è complessa e non la si comprende con i fervorini, le omelie, i luoghi comuni o la retorica. Anche per questo va studiata bene, a fondo e sui Documenti!

Vietare e tacere, tacere e vietare…
29 gennaio 2007, di : Giofilo

Gentile Prof. Biuso,

Io non conosco la Storia e non l’ho studiata come si deve, tuttavia sento di farne parte; ed in quanto parte della storia, cerco di vivere il clima del presente. Ecco cosa, brevemente e banalmente, secondo me sta succedendo: il monito di Primo Levi, "non dimenticate" (ne hanno fatto una specie di "slogan televisivo"), sta agendo nella mente umana in modo contorto e perverso. I miei pochi studi sulla memoria (grazie alla Filosofia della mente e la Psicologia) mi hanno fatto comprendere quanto una buona dose di oblio sia oggi necessaria, affinchè si produca "nuova storia" e "nuova vita". Rileggere oggi la Seconda Inattuale di Nietzsche, può far comprendere che la malattia dell’uomo storico è anche rimaner legati al terribile nazi-fascismo. I mass-media, la chiesa e la politica ce lo mettono continuamente davanti in tutta la sua crudezza; ancora si parla di colpe, di vittime e di colpevoli. Ho l’impressione che, in questo modo, rimarremo così fortemente legati alla Shoa da non poterne più fare a meno, ne saremo dipendenti e avremo sempre bisogno di opporla come "Male", per poter fare del "Bene"... o per illuderci di fare del bene.

Giovanni - Giofilo

    Memoria e oblio
    29 gennaio 2007, di : Alberto Giovanni Biuso

    Anche in questa sua risposta c’è la conferma di uno sguardo acuto e soprattutto libero sulle cose, che è l’unico sguardo veramente filosofico. Il suo riferimento alla II Inattuale è del tutto opportuno. È proprio quello che sta accadendo: una bulimia di memoria che non garantirà nessuno ma produrrà -come tutti gli eccessi- una reazione di rigetto.

    La memoria di Primo Levi ridotta a «slogan televisivo» è una formula efficace che descrive quanto sta accadendo. Mi accorgo già, seguendo anche delle liste scolastiche e conoscendo dall’interno la realtà della scuola secondaria, che a volte i ragazzi “non ne possono più” -dicono- del concentrarsi della memoria soltanto sulla Shoà ed esprimono questo loro stato d’animo in forme che possono davvero portare all’antisemitismo.

    L’oblio è necessario ai singoli e alle comunità quanto lo stesso ricordare, perché senza di esso non è possibile alcun futuro. Se, come si ripete spesso, “chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”, chi non dimentica mai nulla (come l’Ireneo Funes di Borges) è destinato ad autodistruggersi. Al di là del caso specifico di cui stiamo discutendo, l’enorme database di informazioni, immagini, testi e ricordi che intesse la vita contemporanea, rischia di uccidere l’angelo della dimenticanza. Fare in modo che esso possa ancora aprire le sue ali di pietà è forse il compito più importante che ogni nuova generazione deve affrontare. Poiché davvero «per ogni agire ci vuole oblio (…) è sempre una cosa sola quella per cui la felicità diventa felicità: il poter dimenticare» (Sull’utilità e il danno della storia per la vita, pag. 264)

Vietare e tacere, tacere e vietare…
30 gennaio 2007, di : Alcon

Il nostro bravo professore usa il suo miglior armamentario filosofico per argomentare un pensiero facile facile: se l’Iran tra qualche anno rovescerà la bomba atomica su Israele (come avrebbbe fatto cinquant’anni Adolf Hitler contro l’Europa e gli Stati Uniti), la spiegazione sarà la convinzione millenaria del popolo ebraico di essere eletto, razzialmente superiore. In una parola se la saranno meritata! Caro professore, è proprio questa la migliore lezione per una generazione che ha perso la memoria!
Sull’utilità della storia per la vita...
30 gennaio 2007, di : Alcon

Il nostro professore dice che "la storia è complessa e non la si comprende con i fervorini, le omelie, i luoghi comuni o la retorica". Giustissimo: sicuramente però è un luogo comune, per non dire di peggio, l’affermazione secondo la quale "il sionismo rappresenta una delle più profonde scaturigini dell’antisemitismo" (Biuso dixit, sic!). In realtà l’antisemitismo nasce ben prima del sionismo. E l’antisionismo, l’ho già detto nel precedente post, è soltanto un antisemitismo travestito. Basti pensare soltanto che gli attuali nemici di Israele nel Medio Oriente erano antisemiti ancor prima della nascita di Israele stessa. La dimostrazione? Siamo nel 1937, dopo che Mussolini riceve in Libia la Spada dell’Islam, si sviluppano con sempre maggiore seguito organizzazioni arabe filo-fasciste che, specificatamente in Palestina, intrattengono costanti e stretti rapporti con l’Italia al fine di contrastare il mandato britannico e soprattutto l’infiltrazione ebraica. Questi movimenti politici o organizzazioni paramilitari ammirano l’organizzazione, il culto del capo, il militarismo del fascismo e, tra le loro fila, possiamo annoverare, tra gli altri, il Partito del Giovane Egitto, il Partito Nazionalsociale Siriano, le Camicie Verdi Egiziane, la Guarda Nazionale siriana, la Gioventù Nazionale siriana, la Falange Libanese ed i gruppi iracheni legati a Rashid Alì el-Kailani. Per non parlare del seguito, enorme, di AI-Husseini, Gran Muftì di Gerusalemme, personaggio ammirato e altamente tenuto in considerazione da Heinrich Himmler (l’artefice della "soluzione finale" contro il popolo ebraico) e dal Fuhrer in persona, il quale concede all’alto dignitario islamico un privilegio mai concesso a nessun’altro prima di allora in Germania: l’ospitalità nel Palazzo Imperiale di Berlino, con la disposizione affinché su quell’edificio la bandiera della Palestina sventoli più alta di quella del Reich. Lo Stato di Israele non era ancora nato, ma il germe dell’antisemitismo nel Medio Oriente, già allora, era stato inequivocabilmente gettato. Ha proprio ragione professore, la Storia va studiata bene, a fondo e sui documenti!