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Vantaggi di una crisi

La crisi ha avuto per primo effetto salutare di allentare i prezzi, che stanno tutti rifluendo più o meno in buon ordine: dal settore immobiliare al petrolio passando per i prodotti alimentari e le materie prime.

di Thierry Abdon AVI - mercoledì 29 ottobre 2008 - 3767 letture

Nel mondo anglosassone si usa dire che “le cose che non possono avanzare indefinitamente, un giorno si fermano”; nell’Islam si professa che “il negativo d’oggi è forse portatore di vantaggi che appariranno domani”. Questi due richiami al realismo ed alla speranza mi sembrano applicarsi alla situazione attuale: dovevamo aspettarci che la crisi nella quale stiamo entrando ci avrebbe prima o poi colpiti, per correggere gli eccessi del liberalismo economico e ricordarci che la globalizzazione è una medaglia che ha il suo rovescio. Farà danni, genererà sofferenze, ma purgherà il tessuto economico, introdurrà correttivi necessari, obbligherà gli operatori e più in generale tutti a bandire il lassismo e la faciloneria, costringendoci alla disciplina.

La mia sensazione è che questa crisi economica sia portatrice di vantaggi, di cui alcuni, nell’immediato si stanno già spostando dal campo economico, per abbracciare la politica. Proviamo ad elencarne solo alcuni, poiché è sufficiente guardarsi attorno per vedere gli altri.

1.Ricordiamoci di quello che ci impensieriva tutti, alcune settimane fa: il prezzo del petrolio e dei metalli, quello dei prodotti alimentari. Non smettevano di salire, arrivando a dei livelli senza precedenti, creando degli squilibri nei bilanci degli Stati come in quelli delle famiglie. Stroncata venti anni fa, l’inflazione era ritornata in forza e, nonostante le barriere elaborate dalle banche centrali, minacciava di rendere impossibile qualsiasi vero progresso economico, in particolare quello dei paesi emergenti. La crisi ha avuto per primo effetto salutare di allentare i prezzi, che stanno tutti rifluendo più o meno in buon ordine: dal settore immobiliare al petrolio passando per i prodotti alimentari e le materie prime. All’improvviso, le banche centrali, senza più temere l’inflazione, si sono messe ad abbassare i tassi di sconto: appena le banche si rimetteranno a funzionare normalmente, il denaro sarà nuovamente disponibile, ma… meno caro.

2. L’invasione dell’Iraq che l’attuale presidente degli Stati Uniti ha deciso di intraprendere nel 2003 quando egli cercava “qualcuno (un musulmano) da abbattere” avrebbe avuto luogo se l’America si fosse preoccupata dei suoi problemi economici? In ogni caso, il successore di Bush, anche se per disgrazia dovesse essere McCain, non potrà proseguirla perché sarà nell’impossibilità di finanziarla, dovendo necessariamente provvedere al risanamento economico del proprio paese. Hugo Chávez avrebbe potuto dedicarsi alle sue stravaganze politiche e finanziarie se il prezzo del petrolio non fosse salito? E Vladimir Putin, si sarebbe lanciato nella guerra della Georgia se non avesse avuto la sensazione che il suo paese fosse ridiventato ricco e potente? Probabilmente la crisi raffredderà gli impulsi esagerati e guerrieri dell’uno e dell’altro, come pure quelli dei loro emuli. I responsabili politici e gli economisti: dicono che “la crisi ci deve indurre a cambiare modello di crescita, a trovare fonti di finanziamento domestiche piuttosto che contare sui capitali stranieri. Ci costringerà ad un consolidamento del settore bancario ed al suo risanamento”.

3. I produttori di automobili soffriranno e metteranno operai in disoccupazione. Ma il mondo ha veramente bisogno di 50/60 milioni di automobili che vengono prodotte ogni anno e di cui circa la metà sono inadatte alle reti stradali, sinonimo di lusso sfrenato, fonti di spreco e d’inquinamento? La crisi costringerà gli industriali ed i privati ad una pausa che permetterà, agli uni ed agli altri, di riflettere… e di adattarsi.

4. In realtà, la crisi è un ribilanciamento: c’era “surriscaldamento", crescita troppo rapida della domanda, tensione sui prezzi. Questo perché il mondo non può fare fronte al “sempre più” del miliardo di abitanti dei paesi sviluppati e, simultaneamente, ad una crescita economica cinese che persiste a situarsi, da una ventina di anni, a più del 10% all’anno, alla quale si aggiunge, da un decennio, una crescita indiana all’8% l’anno. Questi due paesi, dove vive circa il 40% della popolazione mondiale, si sono svegliati quasi allo stesso tempo dopo tre secoli di letargo. Tanto meglio, ma il loro recupero frenetico che si aggiunge a quello di alcuni altri paesi dell’ex Terzo Mondo, è fattore di surriscaldamento economico e se il miliardo di Africani si fosse messo su quella linea, l’insieme avrebbe fatto esplodere la macchina.

Poiché la globalizzazione ha fatto del pianeta un unico insieme economico, un villaggio, diventa imperativo cercare un equilibrio globale tra l’offerta e la domanda come tra le necessità degli uni e degli altri. I dissensi che si osservano, le gravi divergenze che hanno reso impossibile un accordo tra gli stati membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) mostrano, evidentemente, che siamo ancora all’era degli squilibri e delle contraddizioni. E sarà così finché i paesi avanzati si aggrapperanno ai vantaggi acquisiti e vorranno impadronirsi della direzione del mondo.

L’attuale presidente della Banca mondiale Robert Zoellick, un grande americano , ha avuto il coraggio di dire, questo 7 ottobre: “Il mondo ha bisogno di istituzioni nuove per aiutarlo a superare l’attuale crisi finanziaria. Economie emergenti come quelle di Brasile, la Cina, la Russia e l’Arabia Saudita devono parteciparvi. Il G7 (gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, la Francia, il Regno Unito, l’Italia ed il Canada) non funziona più. Occorre costituire un gruppo migliore per un’epoca diversa. Deve essere aperto, flessibile ed essere in grado di evolversi col tempo. Altri paesi possono partecipare, soprattutto se la loro influenza crescente si accompagna ad una determinazione a prendersi delle responsabilità”. La risposta alle nuove crisi dovrà essere più ampia e mondiale.

Se, invece di McCain, sarà Obama ad essere eletto il prossimo 4 novembre, noi lo dovremo per buona parte alla crisi, come dire: non sempre il male viene per nuocere.


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