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Un mondo privo di certezze e l’inutile ricerca della verità in "Così è (se vi pare)" di Pirandello

Realtà e apparenza, ipocrisia e dolore nel dramma dell’esistenza. Intervista a Giulio Bosetti regista e interprete della commedia

di Antonio Carollo - giovedì 21 dicembre 2006 - 6475 letture

In diversi teatri della Penisola viene rappresentato uno dei capolavori di Luigi Pirandello, “Così è (se vi pare)” nell’allestimento della Compagnia del Teatro Carcano per la regia di Giulio Bosetti. La commedia è interpretata dallo stesso Bosetti nelle vesti del personaggio Lamberto Laudisi, Marina Bonfigli, Francesco Migliaccio, Silvia Ferretti, Roberto Milani, Elena Croce, Sandra Franzo, Nora Fuser, Alberto Mancioppi, Umberto Tabarelli, Giuseppe Scordio, Anna Canzi, Nadia Moretti, Emanuele Giuliano. Scene di Nicola Rubertelli, costumi di Carla Ricotti, musiche di Giancarlo Chiaramello.

Tre personaggi arrivano in una cittadina di provincia, reduci dal terremoto della Marsica. Sono un funzionario di prefettura, la moglie e la suocera. Subito vengono notate delle stranezze. Non vanno a vivere tutti insieme. La Signora Frola, la suocera, prende alloggio al centro; i coniugi Ponza vanno a vivere in un anonimo palazzo di periferia. La giovane sposa non esce mai di casa. Sembra che, in assenza del marito, resti chiusa a chiave. Non ha contatti con l’anziana madre; può scambiare solo dei bigliettini che vengono calati con un cestino da una finestra nel cortile.

Si scatena la curiosità della società piccolo borghese della cittadina. Messa alle strette, la Signora Frola rivela che il genero è un povero pazzo; tiene segregata sua figlia Lina credendola, però, la sua seconda moglie. Viceversa il Signor Ponza accusa di pazzia la suocera perchè si ostina a scambiare l’attuale sua moglie, Giulia, con la figlia Lina, morta invece durante il terremoto. Dove sta la verità? La commedia, o la parabola come la definisce lo stesso autore, è ricca di colpi di scena che si susseguono con ritmo incalzante, seguendo l’onda delle opposte convinzioni acquisite dal coro di piccoli borghesi a seconda dell’ascolto dell’uno o dell’altro racconto dei due protagonisti; si chiude con un finale a sorpresa. Il dramma sta, più che nel contrasto tra individui, in quello tra il gruppo dei benpensanti e la triade, Signora Frola, genero e figlia, immersi nel mistero di un groviglio di paure, risentimenti, ansie.

In altri termini, tra l’aggressiva ricerca di verità e l’impossibilità di trovarla. Qui sta la modernità di Pirandello. Una tesi filosofica che si fa dolore, angoscia, follia, amore, attraverso la rappresentazione realistica della convulsa vita di esseri umani presi nel vortice dell’insensatezza di un mondo privo di certezze. In “Così è (se vi pare)” traspare anche il sentimento di pietas dell’autore per la condizione di solitudine dell’uomo.

Su Pirandello e il teatro in Italia, oggi, abbiamo sentito Giulio Bosetti.

D. Luigi Pirandello e Giulio Bosetti. Lei ha una lunga frequentazione con le opere di Pirandello. Ha interpretato e diretto diverse sue commedie. Cos’è che l’attira in Pirandello?

R. Pirandello è un autore siciliano, è nato ad Agrigento, e magari uno pensa che debba essere interpretato e capito dal mondo del sud, siciliano. In realtà Pirandello è un genio che si fa capire da tutti, se uno cerca di scrutare, di lavorare e d’impegnarsi nella ricerca di quelle verità che sono particolarmente vive nei suoi testi. Questi personaggi mi hanno sempre affascinato. Quando feci “Tutto per bene”, la storia di un uomo che ha dentro di se una dote di candore perché crede che la moglie lo abbia sempre amato e va ogni giorno sulla sua tomba a portarle i fiori; poi si rende conto che invece l’ha tradito. Sono personaggi che come attore ho amato molto. Poi indubbiamente passando alla regia ho cercato di far venir fuori quelle verità che spesso sono nascoste, mascherate, se non ci si sforza di capire, sfuggono. Ho letto recentemente in un saggio di un grande critico inglese che i grandi scrittori spesso nascondono molto, vorrebbero che il lettore si comportasse come un minatore che va cercare l’oro. In Pirandello se uno si sforza trova delle verità assolute che sono sempre valide.

D. “Così è (se vi pare)” è una commedia molto rappresentata; ha avuto tantissimi successi e tanti allestimenti, con angolature diverse. La commedia si presta, è al confine tra il verismo e il teatro veramente moderno. Lei quale aspetto privilegia?

R. Mah, devo dire che questa commedia è molto rappresentata in Italia; un paio di edizioni non mi sono piaciute: nè quella diretta da Zeffirelli, con Paola Borboni, né quella di Giorgio De Lullo, con Morelli e Stoppa. Devo dire che hanno seguito il testo in maniera un po’ convenzionale. Pirandello usa, come dice il Russo, la forma della stracca commedia borghese, in realtà va oltre. In queste edizioni ho visto appunto un approccio abbastanza diretto e magari anche con una certa volontà di prendere in giro questa provincia pettegola dando poco valore ai personaggi. L’edizione De Lullo, per esempio, faceva vedere in nero i tre personaggi che vengono da un terremoto e dei quali non si riesce a sapere nulla. Essi sono vittime di una società, che li mette sotto accusa alludendo ad una loro condizione di ebrei. Io invece li rappresento come personaggi di cui non si riesce a capire da dove vengono, dove vanno: costituiscono quasi un allarme per la società; la mettono in crisi. Aggiungo, poi un elemento fantasmatico: Pirandello dice che sono reduci da un terremoto dove tutto è stato distrutto, tutti sono morti; allora io faccio intendere che potrebbero essere morti anche loro e, quindi, essere tre fantasmi. Poi c’è il problema del rapporto tra suocera e genero, spesso trascurato. Secondo me esiste un rapporto di sesso tra la suocera e il genero. Infatti c’è una battuta del mio personaggio, Laudisi, “Sospettate che facciano l’amore suocera e genero”, e alla fine l’autore, quando loro se ne vanno, dice che se ne vanno abbracciandosi e piangendo insieme. Tutto questo ti fa pensare a questa possibilità che io ho voluto sottolineare senza calcare troppo; in tutte le cose bisogna essere un po’ ambigui e lasciare che lo spettatore colga da certi gesti, da certe apparizioni, da certe interpretazioni la sua interpretazione. Il personaggio della Signora Frola, che spesso viene rappresentata come una vecchietta noiosa e piagnucolosa, io lo faccio apparire addirittura in sottoveste per far capire che anche ad una certa età sussiste il problema dell’amore. Quando ero ragazzo credevo che a quarant’anni era tutto finito. Invece non è vero. Sentiamo dalla televisione che degli ottantenni hanno rapporti sessuali.

D. Lei parla dell’aspetto drammatico della commedia. C’è qualche elemento comico?

R. Si, c’è qualche cosa. Ma secondo me è la parte meno interessante. Accentuare troppo il pettegolezzo della società non serve. La scenografia potrebbe essere un salotto, ma è una specie di camera di tribunale. Ho voluto fare una specie d’inchiesta, un tentativo di arrivare a quella verità che non si raggiunge mai.

D. La commedia consiste in una tesi filosofica, in una parabola. E’ il genio di Pirandello che fa incarnare questo concetto, di per sé astratto e freddo, in personaggi vivi. Non Le pare?

R. Ma questo fa parte della grandezza, della genialità di Pirandello La commedia è tratta da una novella. Tutte le novelle pirandelliane sono belle, ma non raggiungono mai l’apice del teatro. Lui era un grande uomo di teatro; sapeva fare diventare teatrale, vivo, quello che alla lettura pareva una cosa monotona e noiosa.

D. Ricordo le Sue storiche interpretazioni televisive in tante commedie. Oggi attori, commedie ed autori sono spariti dagli schermi televisivi. Non Le sembra che il pubblico ne sia depauperato?.

R. Non c’è spazio e questo, lo dicevo l’altro giorno ad un politico, mi fa mettere in dubbio il senso della democrazia: la maggioranza è la guida della democrazia, ma se la maggioranza è fatta da mediocri la conseguenza è il degrado. La televisione non ci dà la prosa, quella che negli anni Sessanta era un appuntamento; non ci dà la musica, non ci dà tante cose perché la maggioranza vuole le sciocchezze. La televisione di Stato dovrebbe lasciare uno spazio alla cultura. Dico io: hanno creato i passaggi per gli handicappati, allora immaginiamo che anche noi, che amiamo la musica, il teatro, siamo degli handicappati; lasciateci qualche ora. Anche nei giornali non ci sono più i critici. Mastroianni diceva: “Possibile che i giornali sono diventati come i settimanali rosa, pieni di pettegolezzi?”.

D. Che c’è di cambiato oggi nel vostro mondo rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta?

R. C’è un cambiamento in peggio. Prima di tutto siamo preoccupati perché non c’è sufficiente ricambio generazionale: quando moriremo noi, e pochi altri, non so chi porterà avanti il teatro. Il teatro ormai è considerato nulla. Noi recitavamo per l’applauso; tuttora l’applauso ci conforta; anche la critica era importante. Una volta c’era Renato Simoni, del Corriere della Sera, poi vennero Roberto De Monticelli, Nicola Chiaramonti, Angelo Maria Ripellino, Sandro De Feo. C’era una tensione spirituale; adesso non c’è più niente. Il triste della vita non è non riuscire a raggiungere quel che si vuole, ma di capire che quel che si vuole non esiste più.

D. La penuria di autori di teatro è una conseguenza di questo clima?

R. Credo di sì. Ai tempi di Goldoni, anche di Pirandello, c’erano i professionisti; si scriveva per vivere. Adesso gli autori professionisti scrivono per la la pubblicità e per la fiction; così non maturano.

D. Ricorda un personaggio, un episodio della sua vita teatrale che Le è rimasto impresso?

R. La persona che mi ha fatto sentire la serietà del lavoro in teatro è stato Vittorio Gassman. Io venivo da un’epoca in cui si pensava che l’attore fosse genio e sregolatezza, un personaggio romantico, magari poco lavoratore; invece, con lui, ho capito che il teatro è volontà, sacrificio. Gassman era un esempio per quanto riguarda il lavoro. Quando andai con lui erano momenti di splendore, ma lui accettava di andare anche in certi teatri disagiati. Gassman era una grande star teatrale. Ne ebbi la precisa sensazione quando venne apposta per me a Verona nel 1954. Ancora non aveva fatto cinema. Ero molto giovane. Stavo facendo al Teatro Romano una parte nella tragedia Romeo e Giulietta. Ci sedemmo in piazza Brano, fuori, ai tavolini di un bar. Cominciammo a parlare: “Sai, devo fare l’Edipo Re , ti farò dare una grossa parte”, mi disse. Ad un tratto mi giro e vedo 3-400 persone vicino a noi; la piazza si stava riempiendo. Erano lì per Gassman.

D. Come Gassman Lei non scherza quanto a interpretazioni in ruoli importanti in tragedie, drammi e commedie.

R. Ho interpretato Creonte nell’Antigone di Sofocle. Vidi, la prima volta, questo personaggio con Randone a Siracusa. Rimasi colpito. Poi con Randone feci La Figlia di Iorio: io ero Aligi, lui Lazzaro. In viaggio, in macchina, mi raccontava tutte le cose dei vecchi attori. Ricordo che mi diceva delle lettere che Pirandello scriveva a Ruggero Ruggeri: lo supplicava di rappresentare le sue commedie. Ruggeri si rifiutò di dirigere “Così e (se vi pare)”, non voleva interpretare la parte di Laudisi perché non è il protagonista assoluto. Io invece tenevo molto a fare questa regia per dare una soddisfazione alla mia compagna Marina Bonfigli, che spesso si sacrifica nel fare le parti; in questa commedia può sfoderare la sua bravura.

Dopo la guerra si pensò che il teatro fosse morto, c’era il cinema. Si pensava che fosse inutile. A Bergamo chiusero due teatri. Ma il teatro non morirà mai: è un punto d’incontro, al cinema sei solo.

D. Che ne pensa dell’indifferenza del potere politico verso la cultura?

R. I politici pensano a prendere i voti. Non c’è una tensione spirituale, non sanno che il teatro è una cosa fondamentale. Ricordo che i miei maestri mi dicevano: il teatro è lo specchio della società. Se il teatro va male è perché la società va male. Noi siamo seguiti da un certo pubblico medio. Anche gli intellettuali non vengono più perché una recita teatrale non è più un avvenimento. Compito del teatro è mantenere viva la fonte della poesia. I giovani, se vedono i nostri spettacoli, rimangono incantati.

Antonio Carollo


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