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Sulla teoria dei fluidi

La fluidità è la condizione antropologica dell’uomo occidentale. Non vi sono verità e riferimenti stabili, tutto è all’insegna della metamorfosi...

di Salvatore A. Bravo - giovedì 19 settembre 2024 - 318 letture

Come la mosca nella bottiglia

La fluidità è la condizione antropologica dell’uomo occidentale. Non vi sono verità e riferimenti stabili, tutto è all’insegna della metamorfosi. La fluidità in campo affettivo, politico e lavorativo è divenuta il paradigma con cui non solo l’occidente si pensa, ma specialmente essa è divenuta lo slogan con cui l’occidente si contrappone ai valori e alle società tradizionali.

Queste ultime sono colpevoli di essere illiberali, in quanto credono e praticano la stabilità e l’identità. L’occidente si è emancipato da ogni vincolo, non discerne il bene dal male e la verità dalla menzogna. L’informe non ha fondamento veritativo, non può averlo, poiché le parole sono solo indicatori di significati temporanei. Nel tumultuoso fluire dell’informe nulla e nessuno resta eguale a se stesso, si è come l’acqua che passa in una miriade di bicchieri, ci si adatta, ma presto si avrà una nuova forma.

Fluidità e passività sono sinonimi, benché la fluidità sia presentata dai trombettieri del potere come la liberazione da ogni vincolo etico, identitario e di genere. Se il soggetto lo desidera, può ricostruirsi come vuole, può cambiare genere. Può diventare un laboratorio di esperienze e di valorizzazione di ogni parte del suo corpo o delle sue competenze.

La propaganda indica la metamorfosi da percorrere e a cui i soggetti in libertà devono adattarsi. Il desiderio è sollecitato e stimolato, fino a diventare ciò che il sistema vuole. La menzogna e la manipolazione non sono riconosciute, poiché il “fluente fluido” non ha paradigmi solidi e argomentati con cui decodificare la realtà, egli semplicemente segue l’onda nel suo tumulto adattivo-passivo. Il movimento è scambiato per attività, in realtà esso è solo il riflesso di forze incontrollabili esterne.

Vi è dunque da porsi il problema donde provenga la fluidità divenuta l’indiscutibile fondamento del decadente occidente. Ad un esame più attento, la fluidità è il corrispettivo dell’economia capitalistica, o meglio della riproduzione automatica del profitto che si infiltra e si adatta ad ogni contesto per penetrarlo e trarne il “godimento amorale” somatizzato. Il denaro nel suo ciclo irrefrenabile non ha limiti, è liquido, pecunia non olet, fonda mercati, soddisfa desideri, li sollecita, invade e sostituisce ogni tradizione ed etica con i suoi fondamenti onto-assiologici. Siamo gli artefici obbedienti attraverso cui l’automatismo si riproduce in modo anonimo e autonomo fonda personalità fluide.

Lo spirito del denaro marchia le personalità, le incorpora fino a naturalizzare le personalità. Si diventa denaro corrente, tanto più che non vi sono etiche e prospettive politiche che contengono e denunciano tale dinamica disegnando una diversa prospettiva. Se non vi sono opposizioni dialettiche al regno del denaro la consapevolezza sociale declina e si consolida l’automatismo irriflesso. Quest’ultimo non corrisponde al denaro materiale, ma è il modo di pensare e relazionarsi del nostro tempo. La potenza del denaro non è “fuori” ma dentro, è nel sangue e nella carne. La fluidità, di cui il gender è l’espressione più avanzata e realizzata di tale dinamica è la logica del denaro assimilata nei pensieri, nei gesti e nelle parole.

L’archeologia del sapere necessita dell’azione-pensiero collettiva al fine di far emergere l’ovvio in cui siamo e che ci “rifiutiamo” di trasformare in concetto. Non vi può essere libertà senza l’emancipazione concettualizzata del capitalismo che vive nelle relazioni, nei desideri e nei pensieri degli uomini e delle donne nel tempo del capitalismo assoluto.

Il fluido, categoria onnipresente nei media e nei pensieri, e che fonda ogni relazione e personalità ha la sua causa profonda nell’economicismo penetrato nel linguaggio-pensiero. La rivoluzione del denaro iniziata con l’anno Mille e la fondazione dell’economia del profitto hanno vinto nella sua corsa le resistenze politiche ed etiche al suo imperialismo; il nostro è il tempo della massima realizzazione dell’economicismo, la parabola è giunta alla sua matura inclusione dell’umano e del suo corpo vissuto nell’economicismo. Ora è il tempo dell’uscita, come la mosca di Ludwig Wittgenstein prigioniera nella bottiglia dobbiamo cercare l’esodo dall’incubo che ci cannibalizza.

La liberazione è dunque azione politica e linguistica capace di fondare un modello economico nel quale la comunità governa l’economia per imprimerle l’etica e le finalità teoriche senza le quali l’umanità è al servizio di potenze divisorie-diaboliche. In sintesi il denaro è misura del valore, mezzo di scambio ed è serbatoio di valore economico. Le tre funzioni correlate sono diventate il modo di vivere non pensato degli individui dominati dal capitale.

Si misura ogni esperienza con la categoria della quantità; l’esperienza è solo un investimento che deve fruttare nel serbatoio dell’individualità, affinché ciò possa essere bisogna essere disponibile al valore di scambio: a vendersi e vendere, per cui solo con la liberazione dalle resistenze etiche la fluidità diventa universale, adattabile e amorale. Alla fine di tale processo l’essere umano che necessita della “forma” per donare senso alla sua esistenza è prigioniero dell’informe e dell’insensato, da tutto questo come la mosca di Wittgenstein dobbiamo fuggire con la processualità dialettica della politica-filosofia. L’Apocalisse si paga ogni giorno, i suoi segni sono nei nostri corpi e nei linguaggi sfigurati dall’insensato.


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