Il Risorgimento Italiano visto da Malta
Sergio Portelli, La stampa periodica in italiano a Malta, Malta University Press 2010, 276 pp.
Recensione a cura del Prof. Nicolò Bucaria
Prima ancora che sui campi di battaglia, il Risorgimento si combatté sulla carta stampata e nelle redazioni dei giornali e per l’unità d’Italia si versò forse più inchiostro che sangue. Era divenuto infatti quanto mai urgente convincere l’opinione pubblica della necessità di far sparire lo stato italiano più avanzato sotto molti profili, ma governato da un’élite imbelle, perché un’altro stato indebitato fino al collo, ma abile sullo schacchiere internazionale, si appropriasse delle sue risorse economiche in nome dell’unità d’Italia. A questa conclusione si potrebbe giungere dopo aver letto il brillante saggio di Sergio Portelli, italianista all’Università di Malta. Che il libro sia stato scritto da un maltese – peraltro in ottimo e godibilissimo italiano – e pubblicato a Malta, cioè in ambiente affatto estraneo alle sempieterne polemiche italiane tra unitaristi e leghisti o neoborbonici, garantisce a priori che non siamo dinanzi alla solita revisione storica, ed è pegno di serenità di giudizio ed equanimità. Benché i maltesi non rivendicarono mai un’unione all’Italia, essi non poterono, né vollero impedire che quelle battaglie in punta di penna si svolgessero proprio nel loro paese. E fu a Malta che si manifestarono per la prima volta e in grande stile quelle tecniche e quelle forme biasimevoli di giornalismo ancora oggi ampiamente praticate sui media italiani. Il giornalismo al servizio di fini personali, della disinformazione piuttosto che dell’informazione, prezzolato dal governo e finalizzato alla calunnia e alla diffamazione dell’avversario fu praticato con profusione di mezzi ed energie nell’unico territorio “italofono” all’epoca libero dalla censura, purché non si criticasse il dominio inglese. A provare la portata del fenomeno basta da solo il numero impressionante di testate registrate nel periodo in esame (1804-1936) in un paese che contava all’epoca non più di 80mila abitanti, fra cui moltissimi analfabeti. Appare subito evidente pertanto, che sia i giornalisti che i loro lettori non potevano essere solo maltesi. Il fenomeno degli esuli risorgimentali non interessò solo Malta, né esso fu particolarmente favorito dalla vicinanza dell’isola alle coste italiane o dal fatto che da secoli l’italiano vi fosse la lingua di cultura. Il canton Ticino era ancora più vicino e certamente più italiano e offrì anch’esso rifugio a non pochi esuli. Ma a Malta, altrimenti che in Svizzera, due fattori predominanti concorsero alla creazione di un humus particolarmente favorevole all’azione giornalistica. Da un lato la soppressione della censura alla caduta del regime dei Cavalieri gerolosomitani, dall’altro il generoso aiuto finanziario della Gran Bretagna, che ad essi era subentrata, ai fogli che le erano favorevoli. I titoli dei giornali dell’epoca sono quanto di meglio potesse escogitare la fantasia italica e annunciano da soli tutto un programma. Giusto per citarne alcuni, si va da L’Ape Religiosa a L’Ape Melitense, L’Asino, La Cicala, La Farfalla, La Lince, Serpinella, La Zanzara, Scannabue Redivivo, Il Naturalista Maltese, Il Protezionista, Il Precursore, Il Diavolino e Il Diavolo Zoppo, Don Basilio e Don Frustinola, dal Biricchino al Teatro a La Campana, Gli Animali Parlanti, L’Occhialetto, Occulta Illustrata, La Sede del Papa, La Palestra del Seminarista, La Sacra Famiglia, Il Vero Gesuita, La Lega Cristiana, La Lega Cattolica, Il Trionfo della Religione, Il Vero Patriota, Il Tempo è Galantuomo, Il Trionfo della Verità, Le Conversazioni di Filoteo, ai più anodini La Gazzetta del Governo, L’Eco di Malta e Gozo, L’Eco di Nazareth, La Croce di Malta, Il Vessillo Maltese, L’Impertinente, L’Innominato, Luce e Verità, Il Monitore Maltese, L’Opinione Pubblica, L’Omnibus di Malta, Il Progressista, La Ragione, La Riforma, Il Popolo e il Popolo di Malta, Risorgimento, Il Secolo XX, La Speranza, Lo Svegliarino, Stenterello, La Vedetta, La Valigia e chi più ne ha più ne metta. Di essi sopravvive oggi solo “La Gazzetta del governo” fondata dal famigerato Gustavo Adolfo Braccini, truffatore di molti compatrioti, ma divenuta col nuovo titolo maltese “Il-Gazett tal-Gvern” la gazzetta ufficiale della Repubblica di Malta.
Scrive nella prefazione Henry Frendo: “Nonostante i giornali abbiano le proprie peculiarità [...] essi sono tuttavia importanti fonti di informazione su tutti gli aspetti della vita ai tempi della loro pubblicazione, talvolta anche per quanto riguarda il passato ancora più lontano”. Molti aspetti del nostro Risorgimento, primo fra tutti la spedizione dei Mille o dei fratelli Bandiera, resterebbero inspiegabili senza la conoscenza del doppio gioco inglese condotto proprio da Malta a mezzo stampa. Se durante le guerre napoleoniche la culla della democrazia e delle libertà civili non aveva esitato ad allearsi con le potenze più reazionarie sul continente europeo, una volta insediatasi a Malta alla Gran Bretagna sembrò giunto il momento propizio per realizzare il suo vecchio sogno di impossessarsi della Sicilia, e dunque di scalzarvi il suo alleato borbonico, cui però continuava ad essere legata da troppi interessi politici e commerciali. A Malta tra gli esuli di ogni risma e provenienza, tutti però in comprensibili strettezze finanziarie, non mancava chi si prestasse alla bisogna. Sinceri patrioti proscritti in patria e nobili in disgrazia, come il principe di Capua, acerrimo nemico di suo fratello il re di Napoli, ma anche agenti segreti e politici in cerca di fortuna oppure geniali ma bizzarri pensatori, come il barone siciliano Giuseppe Corvaja, che teorizzò il microcredito per lo sviluppo con due secoli d’anticipo, tutti esercitarono il giornalismo a Malta, vuoi per passione vuoi per necessità. Tutti fondarono, diressero, animarono e infine chiusero, talvolta solo dopo pochi mesi, se non settimane, giornali agguerritissimi subito rincalzati da sempre più nuovi e più agguerriti concorrenti. Si contano a circa cento i giornali quotidiani, settimanali, mensili, occasionali che in quelli anni circolarono a Malta, ma soprattutto vennero recapitati sulle spiagge italiane al fine di sobillare le popolazioni di stati dispotici e oppressivi. Peccato, si apprende, che i destinatari di queste pubblicazioni, gli analfabeti contadini del Sud, corressero poi subito a consegnarli alla polizia per ricavarne denaro contante. Furono proprio questo tipo di incidenti, associati ad una certa intemperanza da parte della nascente stampa anglofona a Malta, tutta tesa a denigrare la Chiesa cattolica e a convertire al protestantesimo i maltesi - ma anche il fatto che con le loro velleità libertarie gli esuli avevano cominciato a contagiare i sudditi maltesi di Sua Maestà britannica - a costringere il governatore inglese a chiudere temporaneamente o multare salatamente qualche testata un po’ troppo sbrigliata. Ed ecco apparire le prime pagine bianche per protesta. Il 6 novembre 1844 ne esibì ben due Il Mediterraneo, già definito dalla stampa dei Gesuiti “roba da bordello”.
Nel marzo 1853, espulso dal Piemonte, giunse a Malta anche Francesco Crispi. Inizialmente si tenne in disparte dagli altri esuli, ma l’anno successivo finì anch’egli per fondare i suoi giornali intitolati La Valigia il primo e La Staffetta il secondo. E si distinse subito per la chiarezza dei suoi propositi, che suonano ancora oggi di attualità: “Noi non siamo pel Sultano né per lo Czar: sono due barbari coi quali l’Europa dovrebbe finirla.” Oppure “Esse non sono la Francia dell’’89 e né l’Inghilterra di Cromwell e di Milton: sono quelle del Jockey Club e dell’East India House, che si opposero alla Repubblica di Roma e permisero l’eccidio d’Ungheria”. Il mese dopo il giornale fu chiuso. Ma poiché alleato di Francia e Inghilterra era il Piemonte, i giornalisti al soldo del governo piemontese passarono subito alla denigrazione di Crispi senza lesinare gli attacchi personali. Il 30 dicembre 1854 Crispi lasciò definitivamente Malta alla volta di Londra. Si ricorderà però con gratitudine dell’ospitalità di cui aveva goduto nell’isola allorché, divenuto capo del governo, offrì a tutti i maltesi la cittadinanza italiana. Non solo i piemontesi, ma anche i napoletani avevano interesse a che a Malta vi fossero giornali che perorassero la loro causa, e ciò perché la stampa maltese era ritenuta attendibile in Inghilterra e dunque capace di influenzare le scelte politiche del governo. Se il messinese Michelangelo Bottari si fece con Il Corriere Mercantile di Malta portavoce del governo di Torino, i Gesuiti si spesero così tanto per il governo di Napoli sui loro giornali L’Ordine, Portafoglio e Messaggiere Popolare, che qualcuno di loro finì per essere espulso dal governatore inglese. Ma erano le ultime cartucce. Lo sbarco a Marsala e la marcia trionfale dei Mille assecondati da generali borbonici corrotti e fregate inglesi compiacenti aveva ormai reso superflua la battaglia a mezzo stampa e sulla piazza di Malta le parti si invertirono. Gli esuli liberali rientrarono in Italia. Il pugliese Luigi Zuppetta che dalle colonne di Giù la Tirannide! denigrava il re borbone venne eletto alla Camera dei Deputati, ebbe una cattedra a Napoli e redasse il codice penale della Repubblica di San Marino. Michelangelo Bottari che sul Corriere Mercantile aveva soprannominato Crispi Staffettov, per deriderne i presunti sentimenti filo-zaristi, s’imbarcò a Quarto coi Mille e fu anch’egli eletto alla Camera dei Deputati. Presero il loro posto gli esuli e gli agenti borbonici che avevano deciso di lasciare la nuova “patria” di cui non si sentivano figli. Gli scrittori Nicola Crescimanno, Giuseppe Folliero de Luna, Gaetano Corleo in combutta con l’ex console del regno borbonico sull’isola crearono una cordata di periodici fortemente ostili al nuovo stato italiano e al servizio della causa di Francesco II e del Papa Re. Per molti mesi dopo l’unità d’Italia il Portafoglio continuò a riportare le notizie dalla penisola suddivise in tre sezioni: Stato Pontificio, Regno Sardo e Due Sicilie. Ma l’organo di stampa più decisamente reazionario fu il Guerriero Cattolico, sottotitolato Giornale della Legittimità. Di esso lo stesso Crispi disse che “era propagato e diffuso in Sicilia assai meglio che i giornali ministeriali” avvalendosi di una capillare rete di distribuzione costituita dalle diocesi e dalle rispettive parrocchie in tutta Italia. Il console italiano a Malta chiese più volte inutilmente al governatore inglese di espellere i redattori italiani, ma questi osservò di non avere prove inoppugnabili sull’identità degli autori degli articoli offensivi al re d’Italia. Lo scenario politico internazionale era cambiato e anche la stampa filo-borbonica aveva ormai i giorni contati, dopo che repentinamente furono ridotti i sussidi agli esuli. Non così la stampa clericale, radicata nelle parrocchie e tra la popolazione senza distinzione di classi sociali e alimentata dalle ricche risorse delle diocesi maltesi. A questo punto il giornalismo italiano a Malta diventa affare dei soli maltesi e l’espressione di una Chiesa strettamente legata al papa di Roma e alla Chiesa siciliana, e dunque italofona e diffidente dinanzi al lento ma inesorabile processo di anglicizzazione dell’arcipelago messo in atto dagli inglesi con leggi-bavaglio e odiosi ricatti. L’Italia tornerà ad interferire nel giornalismo maltese con l’avvento del fascismo. Ma fu un’incursione di breve durata e limitata per lo più al solo foglio italiano superstite, il Malta dei fratelli Mizzi, leader del partito nazionalista maltese. L’appoggio del governo fascista non giovò però alle sorti del partito e del giornale, che finirono per attirarsi le accuse di irredentismo e di fascismo da parte dei loro oppositori. Ciò consigliò a Enrico Mizzi di non accettare che moderate inserzioni pubblicitarie e sottoscrizioni dall’Italia – poca cosa rispetto alle esigenze economiche della testata - e convinse lo stesso Mussolini che i maltesi erano sì anti-inglesi ma non per questo aspiravano ad unirsi all’Italia. Come se non bastasse, nel 1936 gli inglesi abolirono definitivamente l’italiano dalla vita pubblica e chiusero i giornali considerati sovversivi. Curioso particolare è che questa decisione aveva cominciato a maturare dopo che nel 1933 Enrico Mizzi aveva pubblicato un suo articolo precedentemente apparso su Il Giornale di Sicilia intitolato “La leggenda dell’oro”, in cui dimostrava che gli inglesi non procuravano affatto ricchezza e benessere economico alla popolazione maltese. Nella chiusa del libro, il capitolo VII passa in rassegna le riviste letterarie italiane a Malta tra ‘800 e ‘900. È un capitolo che interesserà molto gli studiosi di letteratura italiana, dove si apprende che al Malta Letteraria collaborarono ai loro esordi gli scrittori siciliani Luigi Capuana, Cecilia Deni, Zino Ardizzone e Pietro Sancio, tra gli altri. Oppure il vate della letteratura moderna maltese, quel Dun Karm, che prima di scrivere l’inno nazionale maltese aveva composto pregevoli poesie in italiano. Insomma, un secolo di dominio britannico aveva riportato la vita culturale maltese ad una dimensione rigidamente provinciale e tradizionalista a causa dell’attenuazione dell’interazione dei letterati maltesi con quelli italiani dopo il 1860. E la letteratura italiana era tutto quanto fosse rimasto ai maltesi per tenersi in contatto col mondo esterno ed esprimere la loro insoddisfazione di popolo colonizzato.
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